È nel giardino della grande casa di messer Weiss. Da dietro una colonna, senza farmi scorgere, ne seguo il profilo affilato, la massa dei capelli che tiene sciolti, le dita sottili sul bordo della vasca.
Un gatto va a strusciarsi contro la sua sottana. Le carezze sembrano i gesti ripetuti di un rito e le parole mormorate quelle di una formula magica: c'è un che di strano nei suoi movimenti, una casualità improbabile e affascinante.
Esco alla luce che piove dall'alto, ma alle sue spalle, senza che mi possa vedere. Mentre le scivolo accanto percepisco l'odore acre di donna, quel misto inebriante di lavanda e umori, quel crocevia tra la terra e il cielo, l'inferno e il paradiso, che in un attimo ci perde e ci fa risorgere. Riempio le narici e osservo da vicino.
Una voce tiepida: - È il mestruo che ti ubriaca, uomo?
Si volta lenta, occhi neri luminosi.
Attonito: - Il tuo odore...
- È l'odore delle cose basse: il terriccio appena smosso, gli umori del corpo, il sangue, la melancolia.
Immergo una mano nell'acqua gelida della vasca. Gli occhi di lei attraggono lo sguardo; la bocca è una curva strana sul volto ovale.
- La melancolia?
Guarda il gatto: - Sí. Hai mai visto l'opera di mastro Dürer?
- Ho visto l'Imitatio Christi, il ciclo sull'Apocalisse...
- L'angelo melancolico no, però. Altrimenti sapresti che è una donna.
- Come?
- Ha i tratti femminili. La melancolia è donna.
Sono confuso, sotto i vestiti si diffonde il prurito.
Scruto il profilo tagliente: - Saresti tu?
Ride, i brividi scrosciano lungo la schiena: - Forse sí. Ma la donna che è anche in te. Ho conosciuto mastro Dürer, ho posato per lui una volta. È un uomo cupo. Spaventato.
- Da cosa?
- Dalla fine, come tutti. E tu hai paura?
È una domanda sincera, curiosa. Penso a Frankenhausen.
- Sí. Ma sono ancora vivo.
Gli occhi le ridono, come se avesse aspettato questa risposta per anni.
- Hai visto scorrere il sangue?
- Troppo.
Annuisce seria: - Gli uomini provano impressione del sangue, per questo fanno la guerra, cercano di scongiurarne il terrore. Le donne no, devono vedere scorrere il proprio a ogni cambio di luna.
Rimaniamo zitti, a guardarci, come se la sua frase avesse sancito il silenzio con una saggezza sacra.
Poi: - Sei Ursula Jost.
- E tu sarai Lienhard Jost?
- Tuo marito.
Lo stesso silenzio, a sancire l'alleanza dei fuggiaschi. Cerca i dettagli del mio viso. La sua mano scivola sotto la sottana, poi sul mio polso, dove è incisa una vecchia cicatrice: il dito la ripercorre tingendola col rosso del sangue.
Sento che impallidisco, un'onda di sudore freddo si spande sotto la camicia insieme al desiderio improvviso di toccarla.
- Sí. Mio marito.
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