È invecchiato. Seduto sul bordo del letto, l'aura dell'amabile predicatore scomparsa. Il volto scavato, ulcerato dal freddo. Ricurvo, abbandona per un attimo i pensieri, mi concede uno sguardo vacuo, torna a chinare la testa.
- Cosa dobbiamo fare?
Bernhard Rothmann si passa le mani sulla faccia, chiude gli occhi: - Non buttiamo via tutto. Non sta accadendo come l'avevamo pensato, ma sta accadendo.
- Che cosa, cosa sta succedendo?
Un sospiro: - Qualcosa mai avvenuto prima: l'abolizione del censo, la comunanza dei beni, il riscatto degli ultimi su questa terra...
- Il sangue di Ruecher.
Cupo, di nuovo le mani sul volto.
- Ha cancellato la speranza, Bernhard. Leggi nuove non ce la daranno indietro. Prima Dio combatteva al nostro fianco. Adesso è tornato a terrorizzarci.
Rothmann continua a fissare il vuoto, mormora: - Sto pregando, fratello Gert, sto pregando molto...
Lo lascio solo con l'angoscia che gli piega la schiena a sussurrare invocazioni che non troveranno ascolto.
Quello che devo fare.
***
Mi si para di fronte il sontuoso portale di palazzo Wördemann, fregiato di placche e bulbi di bronzo, incisioni raffinate nel legno secolare, fino alla sommità. È qui, nella dimora dell'uomo piú ricco della città, che il Profeta si è stabilito.
Appena dentro, quattro uomini armati: facce sconosciute, gente di fuori, olandesi probabilmente.
- Devo perquisirti, fratello.
Mi squadra, mi riconosce forse, ma ha ricevuto degli ordini.
Un'occhiata truce: - Sono il Capitano Gert dal Pozzo, che cazzo vuoi?
Intuisce: - Non posso lasciar salire nessuno, se prima non l'ho frugato.
L'altro guardiano annuisce, archibugio in spalla, faccia tonta. Rispondo in olandese: - Sai chi sono.
Alza le spalle imbarazzato: - Jan Matthys mi ha detto di non lasciar entrare nessuno armato. Che posso farci?
E va bene, lascio la pistola e la daga. Una seconda occhiata basta a scoraggiarlo, non osa toccarmi.
Mi accompagna su per le scale illuminando i gradini con la lanterna.
Quello che devo fare.
In cima alla seconda rampa, un corridoio, un'altra luce cattura lo sguardo, viene da una stanza laterale, la porta è aperta: è seduta, spazzola la chioma luminosa, quasi fino a terra. Il gesto ripetuto dall'alto al basso. Si volta: una bellezza terribile, l'innocenza nello sguardo.
- Muoviti -. La voce del guardiano.
- Divara. Non sapevo che l'avesse portata qui.
- E infatti non esiste. Non l'hai vista, è meglio per tutti:
Mi fa strada fino al salone. Un camino gigantesco contiene il fuoco che dà luce all'ambiente.
È seduto su uno scranno imponente, scomposto, lo sguardo puntato sulle fiamme che divorano il ceppo. L'olandese mi fa cenno di entrare, gira sui tacchi e torna indietro.
Soli. Quello che devo fare.
I miei passi risuonano come i rintocchi di una campana, lugubri, pesanti.
Mi fermo e cerco il volto, ma la sua mente è altrove, le ombre disegnano strane figure su quella faccia pallida.
- Ti stavo aspettando, fratello mio.
Gli attizzatoi campeggiano in fila sulla parete del camino, come picche da guerra.
Un candelabro massiccio, sul lungo tavolo di noce.
Il coltello che ha tagliato la carne della cena.
Le mie mani. Forti.
Quello che devo fare.
Si volta appena: uno sguardo senza determinazione, senza minaccia.
- I cuori impavidi amano il cuore della notte. È il momento in cui è piú difficile mentire, tutti siamo piú deboli, vulnerabili. E il rosso del sangue scompare insieme a tutti i colori.
Accavalla la gamba sul bracciolo e la lascia penzolare inerte. - Ci sono fardelli che non è facile portare. Scelte difficili, che la rozza mente degli uomini non può afferrare. Ci sforziamo, lottiamo ogni giorno, per capire. E chiediamo a Dio di darci un segno, un cenno d'assenso per le nostre meschine azioni. Questo chiediamo. Vorremmo essere presi per mano e guidati in questa notte oscura, fino alla luce del giorno che verrà. Vogliamo sapere di non essere soli, di non sbagliare mentre alziamo il coltello su Isacco. E cosí aspettiamo di vedere l'angelo che venga a fermare la nostra lama e ci rassicuri sul bene di Dio. Vorremmo davvero che ci venisse confermata l'inutilità dei nostri gesti, che fosse soltanto una pantomima ridicola, senz'altro scopo che quello di provare il nostro assoluto abbandono alla volontà del Signore. Ma non è cosí. Dio non ci mette alla prova per trastullarsi con queste misere creature forgiate dal fango, per saggiarne la devozione, no. Dio ci fa suoi testimoni, vuole che sacrifichiamo noi stessi, il nostro orgoglio mortale che ci fa amare l'essere amati, osannati, innalzati come profeti, santi. Capitani. Il Signore non sa che farsene della nostra buona fede. Della nostra bontà. E ci trasforma in omicidi, figli di puttana senza scrupoli, cosiccome converte gli omicidi e i lenoni alla sua causa.
La voce di Matthys è un mormorio che sale fino al soffitto, a toccare la testa delle nostre ombre allungate. È la voce di una malattia mortale, di una cancrena profonda: c'è qualcosa di agghiacciante in quelle parole, in quel corpo che ora pare sfinito, qualcosa che mette i brividi a pochi passi dal fuoco. È come se sapesse per che cosa sono venuto. Come se uno specchio rimandasse l'immagine di quello che ho dentro.
- A volte il peso di quella scelta non è piú sopportabile. E si ha voglia di morire, di tapparsi le orecchie e disertare Dio. Perché il Regno, Gert, quello che sogniamo fin da quando eravamo in Olanda, ricordi?, il Regno di Dio, è un gioiello che puoi conquistare soltanto se ti sporchi le mani di fango, di merda e di sangue. E sei tu che devi farlo, non un altro, sarebbe facile, no, tu. Recitare la tua parte nel piano -. Sorride storto agli spettri. - Una volta un uomo mi salvò la vita. Saltò fuori da un pozzo e affrontò da solo quelli che volevano farmi la pelle. Quando affidai a quell'uomo una missione, venire qui, a Münster, e preparare l'avvento del Regno, sapevo che non avrebbe fallito. Perché questo era il suo ruolo nel piano. Come il mio è tenere il trono del Padre fino al giorno prestabilito.
Quello che devo fare.
L'attizzatoio.
Il candelabro.
Il coltello.
- Qual è il giorno, Jan?
Ho parlato, ma era un'altra voce, il pensiero si è composto dentro di me ed è uscito senza bisogno delle labbra. Era la voce della mia mente.
No, si volta, senza esitare: - Pasqua. Quello è il giorno -. Annuisce a se stesso. - E fino ad allora, Gert, fratello mio, affido a te la difesa di questa nostra città dalle schiere delle tenebre che si stanno radunando là fuori. Fai ancora questo. Proteggi il popolo di Dio dall'ultimo sussulto del vecchio mondo.
Sí, lo sai cosa sono venuto a fare. L'hai saputo appena sono entrato.
Ci fissiamo a lungo, la promessa negli occhi: sei un profeta a termine, Jan di Haarlem.
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