Johannes Denck è ad Augusta. Lungo la strada ne ho avuto qualche notizia e ora so con esattezza dove cercarlo. Dietro la grande riunione dei pastori delle comunità, che si prepara per la metà del mese, c'è soprattutto la mano del giovane veterano della rivolta.
La casa che mi è stata indicata è a ridosso di una strada di lanaioli. Mi apre la porta una donna slanciata, con un bimbo in grembo, seguita dalla corsa incerta di una bambina, che si nasconde subito tra le gambe della madre. Sono un vecchio amico del marito, non lo vedo da anni. Resto sulla porta, la bambina mi fissa con aria incuriosita.
Johannes Denck è un abbraccio forte e occhi lucidi e increduli.
Mi offre da bere da una fiaschetta che porta alla cintura e un sorriso sincero, senza parole. Mi tocca le braccia, le spalle, quasi a esser certo che non sia un fantasma riemerso dall'abisso dei suoi incubi peggiori. Sí, sono proprio io. Ma dimenticati il mio nome se non vuoi fare un favore agli sbirri. Ride felice.
- Come devo chiamarti? Redivivo? Il Risorto?
- Per due anni sono stato Gustav Metzger. Oggi sono Lucas Niemanson, mercante di tessuti. Domani, chissà...
Continua a fissarmi esterrefatto. È difficile per tutti e due trovare le parole, scegliere un inizio. Allora rimaniamo cosí, in silenzio, per un tempo infinito, ripensando a tutto quanto. In questo pomeriggio Mühlhausen è un'isola lontana dal mondo e dalla vita, in cui forse un giorno siamo giunti cercando la via del Signore. Da luoghi lontani e alla volta di destini diversi.
- Solo tu?
La voce è greve e impastata di memorie.
- Sí.
Abbassa la testa, a ripescare un volto, una figura, un grido d'euforia e di speranza che riecheggia ormai lontanissimo.
- Come?
- Fortuna, amico mio, fortuna e forse un briciolo della bontà divina che ha voluto assistermi. E tu?
Gli occhi sbarrati nel ricordo, come se facesse fatica, come se parlasse di quando era bambino: - Ci impantanammo dalle parti di Eisenach. Ero riuscito a reclutare un centinaio di uomini e a recuperare una spingarda. Ma ci imbattemmo in una colonna di soldati, che ci costrinse a riparare in un villaggio di cui non ricordo nemmeno il nome -. Solleva lo sguardo su di me. - Mi dispiace, non ce l'ho fatta. Non vi sono stato di alcun aiuto.
Sembra piú amareggiato di me. Penso a quante volte in questi due anni deve essersi rimproverato l'impotenza di quel giorno.
- Sareste stati solo altra carne da macello per i cannoni. Eravamo ottomila e non so di nessuno che si sia salvato.
- Eccetto te.
Sorrido storto e cerco l'ironia della sventura: - Qualcuno doveva pur raccontarlo.
- Ce l'hai fatta. Questo è quello che conta.
- Abbiamo perso tutto.
I suoi occhi ridono, di una saggezza che non ricordavo: - Non conosci forse qualcosa per cui valga la pena perdere tutto?
Una smorfia divertita è tutto quello che riesco a offrirgli. Ma so che ha ragione e che vorrei avere la stessa leggerezza, per soffiare sul passato.
Si fa serio, il tempo di riflettere non gli è mancato: - Quando ho saputo che avevano giustiziato Magister Thomas e Pfeiffer, anch'io ho pensato che fosse finita. Dicono che nelle rappresaglie dopo Frankenhausen siano state uccise oltre centomila persone. Sono scappato, mi sono imboscato e ho cercato di mettere in salvo la pelle. Per mesi non ho dormito nello stesso letto due notti di fila. Ma non ero solo, no, la speranza di ricontattare i fratelli nelle altre città, tutti gli amici e i colleghi dell'università. Questo mi ha tenuto in vita, mi ha dato la forza di non sedermi per terra e aspettare l'ultimo colpo. Se mi fossi fermato, adesso non sarei qui ad accoglierti.
Ci spostiamo fuori, nel cortile che è dietro la casa, dove razzolano alcuni polli spennacchiati e due pelli di cervo si seccano al sole come vecchie vele logore.
Tocca a me raccontare: - Io mi sono seduto. E sono morto. Sono rimasto sottoterra due anni interi, a spaccare legna e ascoltare gli sproloqui dell'unico pazzo che mi ha dato ricovero: Wolfgang Vogel.
- Vogel! Dio Santissimo, ho saputo che l'hanno giustiziato qualche mese fa.
- Per poco non ho fatto la stessa fine.
Sibila tra i denti preoccupato: - Come vi hanno rintracciato?
- Hanno intercettato uno dei compagni di Hut mentre scendeva a sud per cercare qualche scampato. Immagino che lo abbiano torturato e costretto a fare tutti i nomi. Vogel doveva essere uno di quelli e se l'è dovuta dare a gambe. E io con lui. Dei segugi del cazzo. Ci hanno inseguito per due giorni interi, finché non abbiamo deciso che era meglio dividerci. Io ce l'ho fatta, lui no. Ed eccomi qui.
Mi guarda storto: - Tu devi avere una buona stella, amico mio.
- Mmh. Sono tempi in cui sarebbe meglio avere una buona spada.
L'aria è fresca, i rumori della città ci raggiungono attutiti. Ci sediamo sul ceppo della legna. L'intimità di chi è sopravvissuto fonde i pensieri e le parole escono placide e quasi distanti, come il vociare della strada. Siamo vivi e questo miracolo è quello che ora ci basta, è quello che vorremmo dirci, senza aggiungere altro.
Il liquore gli arrochisce la voce: - A giorni dovrebbe arrivare anche Hut. Si è messo in testa che l'Apocalisse è ormai prossima, se ne va in giro come un santo a battezzare la gente. È un caso che non l'abbiano ancora preso. Erra per le campagne e si ferma a parlare con i contadini, a chiedergli come interpretano i passi della Bibbia che gli legge.
Ridacchio.
- Guarda che riscuote un grande successo.
- Hut! Un libraio fallito che diventa profeta!
Per un attimo ci sbellichiamo in due, ripensando al pavido Hans che abbiamo conosciuto bene.
- Mi è giunta voce che Störch e Metzler stanno cercando di riunire un esercito raccogliendo i superstiti della guerra. Sono due pazzi. Non hanno nessuna speranza. Qui invece arrivano fratelli fin dall'anno scorso. Dalla Svizzera e dalle città vicine. C'è un buon clima, almeno possiamo riunirci liberamente. È gente in gamba, devi conoscerli, vengono dalle università. Questo sinodo che stiamo organizzando sarà un nuovo inizio. Tutto ricomincerà da qui, sono ancora molti quelli che vogliono professare liberamente la propria fede. Ma dovremo essere prudenti.
Forse si aspetta entusiasmo, ma questa volta ti deluderò, fratello. Resto in silenzio e lo lascio continuare.
- C'è Jacob Gross, da Zurigo, lo abbiamo eletto ministro del culto, e Sigmund Salminger e Jacob Dachser come suoi assistenti: sono augustesi, conoscono bene la gente di qui. Ci sono anche i seguaci di Zwingli, Leupold e Langenmantel. Col loro aiuto abbiamo istituito un fondo per i poveri...
Parla di eventi lontani, sta raccontando la saga di un popolo scomparso. Forse intuisce, si ferma, un sospiro.
- Non tutto è perduto.
Annuisco appena: - Infatti siamo vivi.
- Lo sai cosa intendo. Abbiamo convocato qui tutti i fratelli.
Ancora lo stesso sorriso storto: - Vuoi ricominciare, Johann?
- Non voglio nuovi preti che mi dicano cosa devo credere e cosa devo leggere, che siano papisti o luterani. Siamo abbastanza per infiltrare le università e scalzare gli amici di Lutero e dei principi, perché è nelle università, nelle città, che si formano le menti e si diffondono le idee.
Lo fisso negli occhi, ci crede davvero?
- E pensi che vi lasceranno fare, che staranno a guardare mentre vi organizzate? Io li ho visti. Li ho visti caricare e massacrare gente inerme, ragazzini...
- Lo so, ma ad Augusta è diverso, nelle città possiamo agire piú liberamente, sono convinto che se Müntzer adesso fosse qui sarebbe d'accordo con me.
Il nome mi rimbalza nelle viscere e mi fa scattare: - Ma non c'è. E questo, che ci piaccia o no, significa qualcosa.
- Fratello, nella sua grandezza, lui non era tutto.
- Ma le migliaia che lo seguivano sí. Anni fa lasciai Wittenberg perché ero stufo di dispute teologiche e di dottori che mi spiegavano quello che leggevo, mentre fuori la Germania bruciava. Dopo tutto quello che è successo, la penso ancora cosí. Non saranno questi tuoi teologi a fermare la repressione.
Camminiamo zitti lungo il margine del cortile, forse nemmeno lui crede fino in fondo alla propria fiducia. Si ferma e mi passa la fiasca.
- Lascia almeno che ci provino.
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