Anversa, 5 maggio 1538


- La città era tranquilla, Michael Weiss, il mio ospite, generoso, e mia moglie stupenda. E tanto per cambiare avevo un nuovo nome. Dovevo a Martin piú di quanto avrei potuto rendergli in cambio. La cerchia di dottori che il buon Cellario frequentava vantava personaggi davvero anomali per quel tempo di repressione. Avevano voglia di discutere.
Wolfgang Fabricius, detto Capitone, era quello che mi incuriosiva di piú. Anche se si professava fervido seguace di Lutero aveva un occhio di riguardo per quelli che allora cominciavano a essere chiamati Anabattisti e sembrava volerli includere nella cristianità riformata. Mi chiese molte cose, con una curiosità che mi parve sincera. Aveva letto gli scritti di Denck, restandone ammirato. Non gli feci capire che avevo conosciuto quella canaglia, ma mi divertii a saggiare la sua tolleranza con qualche uscita coraggiosa.
Conobbi anche Otto Brunfels, il botanico, esperto delle capacità curative delle piante, che stava compilando un erbario universale e si interessava del mondo naturale. Non riuscii a strappargli molte informazioni sulla sua fede, ma intuii che doveva aver simpatizzato per i contadini all'epoca della rivolta. Era un mite, contrario alla violenza, pieno di sensi di colpa per come l'insurrezione si era conclusa. Un giorno, quando la nostra confidenza reciproca dovette sembrargli salda, mi fece addirittura leggere alcuni appunti per un'opera che stava scrivendo e in cui sosteneva che erano tempi in cui i veri cristiani, come all'epoca di Nerone, avrebbero fatto meglio a nascondere i loro riti nelle catacombe dell'animo, dissimulando la loro fede e fingendo consenso, nell'attesa della venuta del Signore. Questa sua religione privata ogni tanto mi strappava un sorriso, ma era interessante discutere con lui.
Il piú rognoso era Martin Bucero. Lo incontrai una volta sola, a casa di Capitone: un uomo oscuro e serio, terrorizzato dalla rovina dei tempi. Restio alla vita.
Era una città mondana, Strasburgo, colta, e allo stesso tempo pacifica e separata dall'odio che maturava fuori dalle sue mura.

Eloi mi versa dell'acqua, perché possa continuare. Non apre bocca, assapora ogni parola silenzioso, gli occhi scintillano nell'ombra come quelli di un gatto.
- Ursula era una donna strana, stregata. Capelli corvini, naso affilato, volto duro e sensuale insieme. Non riuscimmo a fingere a lungo: la passione ci prese la mano, ci inebriò fin da subito. Nemmeno lei aveva una storia, non sapevo da dove venisse, il suo accento non mi diceva niente, e non volli sapere, era cosí, semplice. Si avvicinava di soppiatto, sinuosa e zitta come un felino, premeva il seno contro la mia schiena e allora percepivo il suo desiderio. Quello che ci attanagliava entrambi era quell'incertezza, quel non sapere. Se fossimo stati altrove sarebbe stato diverso, tutto quanto.
- L'hai amata? - La sua voce è roca.
- Credo di sí. Come si ama quando non si ha piú niente alle spalle e soltanto un eterno presente senza promesse. Dio non c'entrava piú con le nostre vite: erano state incise a fondo, forse anche lei portava il ricordo di una catastrofe, di una sventura immane. Forse anche lei era morta una volta. Spesso, di notte, dopo un amplesso, mi sembrava di leggerglielo negli occhi, quel male. Sí, ci amammo davvero. Era l'unica persona a cui confidavo tutte le impressioni sul circolo di personaggi nel quale mi aggiravo durante il giorno. Non diceva niente, ascoltava attenta, poi all'improvviso suggellava con una frase lapidaria il mio giudizio incerto, una frase che un istante dopo mi trovavo a condividere in pieno, come se mi avesse letto nel pensiero, come se ragionasse piú in fretta di me. E sono convinto che fosse cosí. Non aveva il coraggio rabbioso di Ottilie, anche se a volte nel suo corruccio rivedevo la preoccupazione di quella grande femmina, la moglie del mio maestro. Era diversa, ma altrettanto straordinaria, di quelle creature che ti fanno ringraziare Iddio di averti concesso di calpestare la terra al loro fianco.
Fisso il crepuscolo che entra nello scrittoio e ripesco quel corpo sinuoso: - Fin dal primo istante abbiamo saputo. Un giorno ci saremmo svegliati altrove, distanti, senza un motivo necessario, seguendo il corso sghembo delle nostre vite. Ursula fu una stagione, una quinta stagione dell'animo, per metà autunno e per metà primavera.

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