Augusta, 20 agosto 1527

La casa del patrizio Hans Langenmantel è grande, il salone ci contiene tutti. Una quarantina di persone, molte già battezzate da Hut, giunto in città proprio ieri. Quando mi ha abbracciato ripetendomi le parole del Magister, «il tempo è giunto», non ho saputo se ridergli in faccia o andarmene. Alla fine ho taciuto e basta, il nostro libraio non si è accorto che il tempo ha deciso di continuare nell'iniquità rinnovata. E come avrebbe potuto? Se la diede a gambe al primo colpo di cannone.
Denck mi fa strada presentandomi ai fratelli col nome di Thomas Puel. Ci sottraiamo al chiacchiericcio diffuso, in attesa di Hut.
- Ci sarà battaglia.
- Che vuoi dire?
- Hut è stato a Nicolsburg e si è scontrato con Hubmaier, un fratello di laggiú che non ne vuole sapere delle sue follie. Pare che il nostro Hans abbia proposto di non pagare piú le tasse e di rifiutarsi di prestare servizio nelle milizie. Alla fine le autorità l'hanno rinchiuso nel castello ed è riuscito a evadere da una finestra grazie all'aiuto di un amico. Immagino che sarà furente, adesso può fare anche il martire. Vorrà avanzare le stesse proposte anche qui.
Volti sconosciuti, facce serie. Convinco Johann a sederci in disparte.
- Dachser e gli altri sono tipi coi piedi per terra, dovrò cercare di limitare i danni che può fare Hut. Se entriamo subito in conflitto con le autorità non avremo il tempo di rafforzarci. Ma vaglielo a spiegare...
Evocato dalle parole di Denck, appare al centro della sala, posa da profeta che invece di muovermi al riso riesce soltanto a farmi pena.

***

Si riveste senza dire una parola. La luce filtra dalla finestra e lascia entrare la sera.
Steso su un fianco, guardo i campanili contro il cielo, affollato di rondini. Un merlo salta sul davanzale e mi osserva incerto. Sento il peso del corpo, dei muscoli inerti, come sospesi sul vuoto.
- Mi vuoi ancora?
Non ho voglia di muovere la testa, di spostare lo sguardo, di parlare. Il merlo fischia e salta giú.
La mano raggiunge la borsa sotto al letto. Le allungo le monete sulla coperta.
- Con queste possiamo farlo ancora.
La voce mormora qualcosa: - Sono ricco. E stanco.
Dal silenzio assoluto mi accorgo che è uscita. Ancora non mi muovo. Penso a quei pazzi che litigano su quale sarà il Giorno del Giudizio. Penso che sono uscito troppo in fretta, offendendo tutti. Penso che Denck avrà sicuramente capito. E che l'aria della strada mi è piaciuta subito mentre camminavo senza meta per la città. Che lei ha seguito lo straniero giusto ed era giovane e miserabile, come Dana, ha offerto calore e un sorriso che poteva quasi sembrare sincero. Ho deciso di non pensare.
Gli amici sono morti e per quelli che restano ho scoperto di essere sordo. Dio non c'entra piú; ci ha abbandonato in un giorno di primavera, sparendo dal mondo con tutte le sue promesse e lasciandoci in pegno la vita. La libertà di spenderla tra quelle cosce bianche.
Il merlo torna sul davanzale lanciando richiami alle torri. Il sonno si insinua sotto gli occhi.

***

Non riesco a darti un volto, sei come un'ombra, uno spettro che scivola al margine degli eventi e aspetta nel buio. Sei il mendicante che chiede l'elemosina nel vicolo e il grasso mercante che alloggia nella stanza accanto. Sei quella giovane puttana e lo sbirro che mi bracca dappresso. Tutti e nessuno; la tua razza è venuta al mondo con Adamo: sfortuna e Iddio avverso. L'esercito che ci aspettava dietro quelle colline.
Qoèlet, l'Ecclesiaste. Il profeta di sventura. Tre lettere piene di parole d'oro per il Magister, di notizie e consigli importanti. A Frankenhausen non trovammo l'armata di sbandati che ci avevi promesso, ma un esercito forte e agguerrito. Scrivevi che li avremmo spazzati via.
Volevi che scendessimo in quella piana, a farci macellare tutti quanti.

Denck ha una bella famiglia, serena, ma non devono passarsela benissimo: i vestiti sono logori e rattoppati in piú punti, la casa è spoglia. Sua moglie Clara ha cucinato per me, la figlia maggiore si occupava del fratello, mentre la madre serviva la cena.
- Non avresti dovuto andartene cosí.
Non c'è risentimento, versa la grappa nei bicchieri e me ne passa uno.
- Forse. Ma non ho piú lo stomaco per certe discussioni.
Scuote la testa mentre cerca di rianimare il fuoco rivoltando la brace con l'attizzatoio: - Il fatto che Hut sia poco lucido non significa che...
- Non è Hut il problema.
Alza le spalle: - Non posso obbligarti a credere per forza in questo sinodo. Ti chiedo di essere solo un po' piú fiducioso nei nostri confronti.
- In questi anni sono diventato diffidente, Johann.
Pronuncio il nome a bassa voce, un'abitudine ormai: - Magister Thomas non ci condusse a Frankenhausen per farci massacrare: le informazioni che aveva erano sbagliate -. Guardo Denck negli occhi, per fargli cogliere il peso delle parole. - Qualcuno, qualcuno di cui il Magister si fidava, gli spedí una lettera piena di notizie false.
- Thomas Müntzer tradito? Non è possibile...
Infilo la mano sotto la camicia e tiro fuori i fogli ingialliti.
- Leggi, se non mi credi.
Gli occhi azzurri saettano rapidi sulle righe, mentre un'espressione tra l'incredulo e il disgustato gli si dipinge sulla faccia: - Dio onnipotente...
- È datata il primo di maggio 1525. È stata scritta due settimane prima del massacro. Filippo d'Assia stava già tagliando fuori il Sud e marciava a tappe forzate verso Frankenhausen -. Lascio che le parole facciano il loro effetto. - Ho qui altre due lettere, vergate dalla stessa mano, che risalgono a due anni prima: piene di belle parole, nessuno potrebbe sospettare che non siano sincere. C'era chi corteggiava il Magister da tempo per conquistarne la fiducia.
Gli passo le altre missive. La smorfia della bocca non lascia dubbi su quello che gli sta bruciando dentro. Scorre in fretta le parole scampate per miracolo alla distruzione, finché il volto si fa di pietra, gli occhi piccolissimi: - Hai conservato queste lettere per tutto il tempo.
Ci guardiamo negli occhi, i riflessi del fuoco danzano il sabba sui nostri corpi: - Ero con lui, Johann, sono stato al suo fianco fino alla fine. Fu il Magister a ordinare di mettermi in salvo, a volere che lo abbandonassi al suo destino. E io l'ho fatto, senza pensarci due volte.
Rimaniamo in silenzio, di nuovo affondati nei ricordi, ma è come se percepissi il fluire dei suoi pensieri.
Alla fine lo sento mormorare: - Qoèlet. L'Ecclesiaste.
Annuisco: - L'uomo della comunità, un uomo qualunque. Uno su cui il Magister faceva affidamento e che ci ha mandati al macello. Io non mi fido piú di nessuno, Johann, tantomeno di scribacchini e dottori. Non ho niente contro i tuoi amici, ma non chiedermi di regger loro il moccolo.
- Se vuoi rimanerne fuori, rispetterò la tua decisione. Ma allora devo chiederti d'essermi ancora amico.
Getta lo sguardo verso il buio dell'altra stanza: - La mia famiglia. Se fossi costretto a lasciare la città in fretta non potrei portarli con me.
Non c'è bisogno di altre parole: abbiamo ancora qualcosa che nessuno sbirro o sconfitta potrà toglierci.
- Non ti preoccupare. Veglierò su di loro.
Johannes Denck è l'unico amico rimasto.

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