Anversa, 20 maggio 1538

- Un puttaniere?! Il re di Münster un magnaccia?! - Eloi per un attimo perde l'accondiscendenza a cui mi ha abituato. Per la prima volta sembra non riuscire a credermi.
Lo rassicuro: - Se la leggenda lo ha dipinto come un re terribile e sanguinario, sappi che ciò corrisponde al vero, ma né prima né dopo il nostro ingresso a Münster, Jan Bockelson di Leida fu mai niente di diverso da ciò che era sempre stato: un attore, un saltimbanco, un magnaccia. E naturalmente un profeta. Questo rende ancora piú grottesco l'epilogo della nostra vicenda, poiché l'attore dimenticò di recitare e confuse il canovaccio con la vita vera. La farsa diventò tragedia.

Eloi è a disagio, ridacchia per superare lo stupore.
- L'epopea anabattista e le leggende dei nemici hanno fatto di noi dei mostri d'astuzia e perversione. Be', in realtà questi erano i cavalieri dell'Apocalisse: un fornaio profeta, un poeta pappone e un reietto senza nome, in fuga da sempre. Il quarto fu un invasato puro, Pieter de Houtzager, uno che aveva cercato di farsi frate ma era stato respinto per la violenza delle sue parole: investiva la gente per la strada, le visioni che evocava erano fitte di sangue e sterminio, unica giustizia del Signore.
Poi la famiglia Boekbinder forní alla banda di Matthys un altro congiunto, il giovane Bartholomeus, che ufficialmente risultava essere mio cugino e che si uní a noi nell'autunno del '33, insieme ai due fratelli Kuyper: Wilhelm e Dietrich.
Convincemmo anche un uomo pacato e pio come Obbe Philips e ad Amsterdam Houtzager battezzò un altro adepto, Jacob Van Campen. E cosí i discepoli del grande Matthys raggiunsero il considerevole numero di otto. Reynier Van der Hulst e i tre fratelli Brundt, ragazzi che ancora puzzavano di latte, ma con delle mani come badili, agganciarono la brigata dalle parti di Delft, negli ultimi giorni di novembre del '33. Quasi senza accorgercene eravamo diventati dodici.
Fu un segno piú che sufficiente per il nostro profeta. Gli si poteva leggere nello sguardo che stava progettando qualcosa. Del resto intorno a noi il mondo sembrava davvero sul punto di esplodere, le nostre parole non mancavano mai l'effetto voluto. Non eravamo che una banda di spostati, attori, folli, gente che aveva lasciato lavoro, casa, famiglia per darsi alla predicazione in nome di Cristo. Scelte compiute per i motivi piú diversi, dal senso di giustizia all'insofferenza per la vita a cui si era condannati, ma che portavano alla stessa conclusione, a un atto di volontà che coinvolgesse quanta piú gente possibile, che dimostrasse agli uomini come il mondo non sarebbe potuto durare cosí all'infinito e molto presto sarebbe stato messo a rovescio da Dio in persona. O da chi per Lui, vale a dire noi. Ecco perché eravamo quelli che potevano davvero far saltare tutto.
- Ubbidivate agli ordini di Matthys?
- Seguivamo le sue intuizioni. Eravamo in perfetta sintonia e in piú il nostro profeta era tutt'altro che stupido: sapeva valutare gli uomini. Aveva in grande considerazione il mio parere, si consultava spesso con me, mentre preferiva usare Jan di Leida come ariete: l'attitudine teatrale di Jan tornava utile. E anche la sua bellezza non guastava: era giovanissimo, ma appariva già un uomo maturo, atletico, biondo, un sorriso allucinato, che faceva breccia nel cuore delle ragazze, Matthys aveva preso a spedirlo in giro oltre confine, nei territori imperiali, a saggiare il terreno, mentre Houtzager continuava ad agire nei sobborghi di Amsterdam.
Sul finire del '33 Matthys ci divise in coppie, proprio come agli apostoli, e ci diede l'incarico di annunciare al mondo a nome suo che il Giorno del Giudizio era imminente, che il Signore avrebbe fatto strage di tutti gli empi e che soltanto pochi si sarebbero salvati. Saremmo stati i suoi alfieri, i messaggeri dell'unico vero profeta. Ebbe parole dure, anche se non ingrate, per il vecchio Hofmann, imprigionato a Strasburgo. Questi aveva previsto il Giudizio per il '33: l'anno stava finendo e ancora niente era accaduto. L'autorità di Hofmann era destituita di fatto.
Non parlò di armi. Non saprei dire se ne parlò mai. Non disse nulla riguardo al coinvolgimento degli apostoli nella battaglia del Signore e non so se già allora meditasse questa soluzione. Per quanto vedevo eravamo tutti disarmati. Tutti eccetto me. Avevo ridotto la vecchia spada ritrovata nella stalla dei Boekbinder, ricavandone una daga corta, un'arma piú agile e famigliare, che potevo tenere nascosta sotto il mantello e che mi faceva viaggiare piú tranquillo.
Feci coppia con Jan di Leida, per volere dello stesso Matthys: la mia determinazione e la sua presa sulle platee, una combinata perfetta. Non mi dispiacque affatto, Bockelson era un tipo con cui non mi sarei mai annoiato, imprevedibile e folle al punto giusto. Ero certo che avremmo fatto grandi cose.
Fu allora che per la prima volta sentii parlare di Münster, la città in cui i battisti facevano udire forte la loro voce. Jan di Leida era passato di là poche settimane prima e ne aveva riportato un'ottima impressione. Il predicatore locale, Bernhard Rothmann, aveva stretto amicizia con alcuni missionari battisti seguaci di Hofmann e riscuoteva grande successo presso la cittadinanza, tenendo testa a papisti e luterani insieme. Münster fu inclusa nell'itinerario che avremmo compiuto.
- Foste tu e Bockelson i primi ad arrivare?
- No, per la verità no. Una settimana prima di noi erano arrivati Bartholomeus Boekbinder e Wilhelm Kuyper. Erano ripartiti, non prima di aver ribattezzato piú di mille persone. L'entusiasmo in città era alle stelle e al nostro arrivo ne avemmo subito un saggio impressionante.


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