Scatto in piedi per il rombo lontano, i cannoni nelle orecchie, occhi sbarrati, ancora uomini che fuggono nella piana.
No. È soltanto il tuono che ci insegue da giorni lungo la strada. Un altro tempo, un altro sguardo. La paglia, puzzolente e calda: tepore animale di vacche e uomini che mi riporta qui. E subito freddo che strappa il sonno, appena scostato dal fiato del bove. Un occhio tondo ed enorme mi osserva: il ruminío quotidiano è già ripreso.
Alla finestra, una luce stranissima, di ferro, sotto un cielo basso, carico di nubi e gelo che aspettano gli impavidi, sul cammino verso la città.
Ecco il secondo, e ancora un brivido della memoria: le bestie inquiete sanno qualcosa di piú su quello che ci attende fuori. Ricaccio giú le immagini del passato.
Il terzo tuono è un baluginío che spacca l'orizzonte. Si avvicina sommesso, con i passeri che gridano la fame e la frustrazione di non poter volare. Ci schiaccerà, nero incontrastato su tutto il cielo.
E chissà che non sia proprio cosí la fine: il risucchio o il diluvio, invece che il terremoto di spingarde. Non credo che ce la farei di nuovo, una seconda volta.
Comunque non è cosa da chiedersi all'alba, a stomaco vuoto da due giorni e con tutte queste miglia nelle gambe.
Ecco il quarto, molto piú vicino. Ci è quasi addosso. Un botto che scuote la terra, e lo scroscio improvviso, che rimbalza sulle foglie, e piove giú dal tetto.
Lo sguardo sulla strada, già un canale di fango, che scivola dietro la bassa collina: solo due pazzi viaggerebbero con questo tempo.
Due come noi.
Lo sento mugugnare nell'ombra della stalla, bestemmiare piano.
L'orizzonte è del tutto chiuso: la città potrebbe anche non esistere piú.
- Oh, Jan... non hai mai pensato che il giorno del giudizio potrebbe essere cosí? Vieni a vedere, il paesaggio è stravolto. Sembra incredibile che la terra e il cielo torneranno quelli di prima...
Fruscio di fieno schiacciato, l'equilibrio ancora incerto: sbircia fuori, strizzando gli occhi.
- Ma che cazzate dici... È soltanto l'inverno.
***
- Eccola! Là sotto!
Un profilo grigio, sfumato dal diluvio, si riesce appena a intravedere.
- Sei sicuro?
- È lei.
- Come fai a saperlo? Abbiamo perso la strada.
- È lei, ti dico. Ci sono già stato.
Quasi ci mettiamo a correre,
Spuntiamo sulla sponda della collina ed è lí, a solo un paio di miglia, ma le nuvole la risparmiano. Sulla città non piove: il cielo è squarciato sopra i campanili, e una colonna di luce scende a cingere le mura.
Cosí, soltanto cosí ho sempre immaginato la città celeste...
- Ti dico che lo ricorderanno questo giorno, fratello, lo ricorderanno come il principio.
Ha gli occhi illuminati, l'acqua gli cola a rivoli dalla barba e dagli orli del cappuccio: - Certo. Ricorderanno il giorno in cui gli apostoli del grande Matthys giunsero a portare la speranza. Questo è l'inizio.
Sento che sta per esplodere, zelante sbracato apostolo pappone sopraffatto dall'estasi di trovarsi qui.
Ostenta un gesto cavalleresco per cedermi il passo, ma è sinceramente eccitato: - Benvenuto nella Nuova Gerusalemme, fratello Gert.
Gli occhi ridono: - Benvenuto a te Jan di Leida, e attento a non rimanere indietro.
Ci lanciamo giú per la collina, scivolando sull'erba fradicia, rialzandoci e ridendo come ubriachi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento