La marea è montata fino a questo giorno cruciale. Ieri Redeker ha arringato i popolani sulla piazza del Municipio: come risultato ventiquattro di loro sono stati eletti al Consiglio. Maniscalchi, tessitori, falegnami, operai, perfino un fornaio e un ciabattino. I nuovi rappresentanti della città coprono tutto l'arco dei mestieri minori, la feccia cui mai si poteva immaginare fossero assegnate le sorti di questo mondo.
La notte è trascorsa in festeggiamenti e danze carnevalesche, e questa mattina sono state sbrigate le ultime formalità: Knipperdolling e Kibbenbrock sono i nuovi borgomastri. Il Carnevale può avere inizio.
Cominciano i mendicanti di Münster, che entrano nella Cattedrale e da buoni ultimi si prendono un anticipo su quello che dovrebbe spettargli nel regno dei cieli: spariscono gli ori, i candelabri, i broccati delle statue e l'obolo per i poveri passa direttamente nelle mani degli interessati, senza che i preti possano farci la cresta. Quando Bernhard Mumme, filatore e cardatore, si trova di fronte all'orologio che per anni ha scandito il tempo della sua fatica, ascia in mano, non ci pensa due volte a far saltare quei marchingegni infernali. Intanto i suoi colleghi cagano nella biblioteca capitolare, lasciano ricordi maleodoranti nei libroni liturgici del vescovo, le pale d'altare vengono tirate giú e, affinché possano servire da stimolo agli stitici, con esse viene edificata una latrina pubblica sull'Aa. Il battistero viene giú a suon di mazzate, insieme all'organo a canne. Ci si dà alla gozzoviglia sfrenata sotto le volte, un banchetto è allestito sull'altare, finalmente si mangia in quantità, finalmente si scopa, contro le colonne della navata, per terra, lo spirito liberato d'ogni fardello, tutti a pisciare sulle pietre tombali dei signori di Münster, su quei nobilissimi scheletri che giacciono lí sotto il pavimento. E dopo aver dato concime a volontà a quelle salme aristocratiche, tutti a lavarsi il culo nelle acquasantiere.
Piangete, santi, strappatevi la barba, il vostro culto è finito. Piangete, signori di Münster, voi che con la devozione dell'oro circondate il presepe di Cristo: la vostra epoca è tramontata. Niente di tutto ciò che per secoli ha rappresentato il potere nefando dei preti e dei signori deve rimanere in piedi.
Le altre chiese subiscono lo stesso genere di visite, frotte di poveracci carichi di bottino si aggirano per le strade, regalano i paramenti da messa alle puttane, danno fuoco ai documenti di proprietà asportati dalle parrocchie.
Tutta la città è in festa, le processioni carnevalesche percorrono le vie sui carri. Tile Bussenschute vestito da frate attaccato a un aratro. La puttana piú famosa di Münster portata intorno al cimitero di Überwasser con l'accompagnamento di salmi, sventolio di vessilli sacri e suono di campane.
***
- Siete voi Gert Boekbinder? - Un assenso distratto. - Mi manda Jan Matthys. Vi informa che sarà in città prima del calar del sole.
Stacco gli occhi dal palco. Un volto giovane.
- Eh?
- Jan Matthys. Non siete uno dei suoi apostoli?
Cerco negli occhi il luccicare dello scherzo, invano: - Quando hai detto che arriverà?
- Prima di sera. Abbiamo dormito a trenta miglia da qui. Io sono partito di buon mattino.
Lo afferro per la spalla: - Andiamo.
Ci facciamo strada a bracciate tra la folla. Lo spettacolo ha richiamato molta gente: è di scena il miglior imitatore di von Waldeck in tutta Münster. Ogni piazza ha la sua attrazione quest'oggi: musica e danze, birra e porchetta, giochi di abilità, mondi alla rovescia, rappresentazioni bibliche.
Il mio giovane amico si lascia distrarre da un paio di tette esibite con disinvoltura all'angolo della via.
- Vieni, forza. Ti faccio conoscere un altro degli apostoli.
C'è bisogno di lui adesso. Bockelson è l'unico che possa improvvisare qualcosa in un momento simile. Se non ricordo male sta recitando davanti alla chiesa di San Pietro.
Un corteo di Carnevale ci viene incontro e ci schiaccia contro i muri delle case. Lo aprono tre uomini con in groppa un piccolo somarello. Dietro fatica un carro, tirato da una decina di re. Al centro ha un alberello con le radici in alto, in una tinozza un uomo nudo si sporca di fango. Nell'angolo il Papa prega con fare raccolto.
- Muoia Sansone, con tutti i Filistei!
La voce di Jan ci raggiunge in lontananza, dà il meglio di sé: par di sentirla vibrare nello sforzo sovrumano di demolire le colonne del tempio di Tiro. L'entusiasmo degli spettatori non è da meno.
Salgo sul palco al fianco del Santo Pappone e lo scrosciare degli applausi si arresta quasi di colpo. Un senso di attesa, un ribollire di voci che si fanno sommesse.
In un orecchio: - Matthys sarà qui prima del tramonto. Che si fa?
- Matthys? - Jan di Leida non sa parlare sottovoce. Il nome del Profeta di Haarlem è un masso nello stagno vociante sotto di noi. I cerchi si allargano veloci.
- Stasera doveva essere il banchetto di festeggiamento a spese dei consiglieri, la distribuzione delle pellicce e tutto il resto... - Una carezza sulla barba: - Tranquillo, amico Gert, ci penso io. Vai pure ad avvisare gli altri, se non l'hai già fatto. Knipperdolling sarà entusiasta di conoscere il grande Jan Matthys.
Annuisco, ancora indeciso. Lasciandogli il palco, quasi una supplica: - Jan, mi raccomando, niente cazzate...
Verso sera si alza un vento da metter freddo ai lupi. Le folate sono cariche di un nevischio gelido e tagliente. Le strade si imbiancano.
La voce dell'arrivo di Matthys ha raggiunto ogni orecchio della città. Attorno alla Aegiditor, lungo la via che porta alla Cattedrale, qualcuno ha già preso posto da tempo. Le torce si accendono man mano che la luce si dilegua.
- Eccolo, è lui! Ecco Enoch!
Kibbenbrock e metà del Consiglio da una parte, Knipperdolling e l'altra metà dall'altra, spingono dall'esterno i pesanti battenti. Il cigolare dei cardini è un segnale. I colli si allungano verso la porta. La poca luce rimasta di questo giorno filtra prima come una lama, poi lentamente si spande a riempire l'intera arcata.
Jan Matthys è un'ombra scura, dritta, il bastone in mano. Avanza a passi lenti, senza uno sguardo per la folla. I due nuovi borgomastri, insieme a tutto il Consiglio, si incamminano dietro di lui, a breve distanza, le torce alte sopra la testa. Un canto sommesso li accompagna.
Guardo meglio: nella neve che continua a posarsi sul selciato in fiocchi sempre piú larghi, i piedi del Profeta Fornaio sono scalzi, nudi. In mano non regge un semplice bastone, ma un ventilabro: la pala usata dai contadini per separare il grano dalle scorie.
Mentre Matthys avanza i due orli infuocati della strada si chiudono dietro di lui e il corteo s'ingrossa. Jan di Haarlem si blocca, afferra il ventilabro con le due mani, lo punta al cielo. I canti si arrestano di colpo.
- Dio sta per spazzare la sua aia! - grida, all'inizio da solo, poi accompagnato dal tuono di centinaia di voci. La lunga pala solleva la neve con bracciate rabbiose.
- Dio sta per spazzare la sua ala!
Gli fa eco la voce della folla, che informa quelli appena arrivati: - Il profeta, il profeta è qui.
- È arrivato!
- Jan Matthys, il grande Jan Matthys è a Münster!
Si spinge, ci si accalca verso la piazza centrale. Tutti vogliono vedere il messaggero di Dio, alto, scarnito, nero, ispido, scalzo.
Eccolo lí.
Ecco Enoch.
Si ferma, forse l'accenno di un sorriso, forse.
Bockelson gli si para davanti con le braccia aperte: - Maestro. Fratello. Padre. Madre. Amico. Un angelo mi ha detto che saresti giunto oggi. L'angelo che ho visto entrare al tuo fianco e che ora ti volteggia sulla testa. Oggi, non ieri, non domani. Oggi che la vittoria è nostra e i nemici sono battuti. Angelo di Dio. Quanto ti amo.
Matthys gli si fa incontro e gli sferra un pugno alla guancia che lo ribalta. Gelo su tutti. Si rialza. Sorride. I due Jan si abbracciano stretti come per stritolarsi, restano cosí in quella doppia presa, dondolando a lungo. Bockelson piange di gioia.
Mi avvicino, cerco lo sguardo: - Benvenuto a Münster, fratello Jan.
Abbraccia anche me, fortissimo, toglie il fiato. Lo sento mormorare commosso: - I miei apostoli, i miei figli...
Gli occhi sono torce nere, gli stessi che mille mesi fa mi hanno affidato una missione. C'è qualcosa, un disagio strano: mi rendo conto soltanto adesso di non aver piú pensato a Matthys da quando siamo giunti qui. Gli eventi mi hanno travolto. La lotta e il pericolo che questa gente ha vissuto gli sono estranei. Da soli abbiamo fatto tutto quanto, ma adesso è qui e ricordo che in nome suo siamo venuti, con la sua parola sulla bocca. Münster ci ha risucchiato le energie, ci ha fatto combattere, impugnare le armi, rischiare la vita. Come posso spiegartelo, Jan, come? Tu non c'eri.
Resto zitto. Lo guardo salire sul palco degli spettacoli, eretto a ridosso della Cattedrale. Le fiaccole disegnano la sua ombra allungata sulla facciata della chiesa, un demone danzante che fa sberleffi all'adunata. La neve taglia la luce, vortica sopra le teste: un brivido ghiacciato nel corpo.
Altissimo e magro come non lo ricordavo, passa in rassegna i volti, quasi a volerne ricordare i tratti, uno per uno, i nomi.
È sceso un silenzio irreale. Gli sguardi per lui, da sotto le fiaccole, il respiro di centinaia di uomini e donne, sospeso sulla piazza, insieme alle vite.
La voce è un gorgoglio profondo, che sembra uscire da un anfratto della terra.
- Non me. Non me, Non me tu adori, genía festante di prescelti. Non me. Il fuoco di questa notte arde sugli altari, corrode le statue, brucia all'inferno con tutto ciò che era. E non sarà mai piú. Il vecchio mondo si consuma come pergamena nel fuoco. Il mondo, il cielo, la terra, la notte. Il tempo. Non sarà mai piú. Non me, innalzi alla gloria dell'eternità. Non me. La parola non conosce il passato, il futuro, il Verbo è soltanto l'adesso. È carne viva. Tutto ciò che sapevi, la conoscenza, il marcio buon senso del mondo che era. Tutto. È cenere. Non me conduci alla vittoria. Non me consegni a questo giorno di gloria. Non me difendi col pugno serrato contro il tuo nemico. Non sono io il capitano di questa guerra. Non questa bocca, queste ossa corrose dalla passione. No. Il tuo Signore. Colui che da sempre ti hanno costretto ad adorare nelle chiese, sugli altari, prono davanti alle statue. È qui. Dio è questo sangue, queste facce, questa notte. La Sua gloria non è di un giorno, non dura la festa d'una stagione, ma vuole eternità. La prende col ferro, stritola, sprofonda, schiaccia. Là fuori, oltre quelle mura, il mondo è già finito. Ho attraversato il nulla per arrivare fino qui. E i campi sprofondavano dietro i passi, i fiumi si prosciugavano, gli alberi cadevano e la neve scendeva come una pioggia di fuoco. E di sangue. Un mare scorreva dietro. Un oceano montante, un'onda d'ira. Quattro cavalieri galoppavano al mio fianco, facce di morte, pestilenza, carestia, guerra. Città, castelli, villaggi, montagne. Non resta piú niente. Dio si è fermato soltanto davanti a queste mura, per chiederti l'anima, il braccio e la vita. E ora ti annuncia che la Scrittura è morta e che sulle tue carni inciderà la nuova parola, scriverà l'ultimo testamento del mondo e lo deflagrerà nel fuoco. Tu, Babilonia di fango e meretricio. Tu, ultima sulla terra. Tu sei la prima. Tutto comincia da qui. Da queste torri. Da questa piazza. Dimentica il tuo nome, la tua gente, i tuoi empi mercanti, i tuoi preti idolatri. Dimentica. Poiché il passato è dei morti. Oggi hai un nome nuovo e quel nome è Gerusalemme. Oggi sei guidata in battaglia da Colui che ti chiama. Per tua mano la Sua mannaia edificherà il Regno, passo dopo passo, mattone su mattone, testa su testa. Fino al cielo. Feccia degli umili, dei calpestati di un'era remota, combatterai senza temere alcun male, milizia di Dio del regno che viene. Poiché il tuo capitano è il Signore.
Tremo. L'istante è immobile. Sospesi nel tempo, la notte cancella il mondo oltre la piazza, piú niente, soltanto noi, qui, riuniti in un solo respiro. Compatta, nel terrore delle parole, l'armata della Luce. I suoi occhi percorrono le fila, arruolandoci uno dopo l'altro. Timore e orgoglio, e ancora certezza, perché nient'altro può scacciare la paura di quelle parole. Essere all'altezza del compito.
Tremo. Volevamo la città. Ci ha messo davanti il Regno. Volevamo il Carnevale della libertà. Ci ha regalato l'Apocalisse.
Dio mio, Jan. Dio mio...
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