Münster, 27 febbraio 1534

Sono gelide le fiamme dell'inferno? Si attende seminudi, affamati, uno dietro l'altro, muti, l'ora di essere scagliati dal Cerbero attraverso la porta nel ghiaccio eterno dell'empietà?
L'aia deve essere spazzata.
Quale infamia, che non possa essere mondata, marchia questi fanciulli in lacrime, avvinghiati a madri disonorate, a vecchi terrorizzati che pisciano dentro i propri stracci? Chi spiegherà loro perché furono scacciati dall'Eden?
Testa su testa, ha sentenziato Enoch. Teste impilate sulle torri, sulle mura a fregiare i merli, ammonticchiate, ordinate, disposte ben visibili al vescovo e al viandante, alla suora e al soldato, al pio e al ladro, e piú di tutti all'armata delle tenebre che presto assedierà la Nuova Gerusalemme, ha ordinato il profeta.
Cosicché sembra clemenza questo «Andatevene, senzadio! E non tornate mai piú, nemici del Padre!», gridato da Matthys sotto la tormenta.
Striscia via piano sul manto bianco di neve l'esodo dei vecchi credenti. Nudi. Occhi a terra, a contare i passi che rimangono prima di finire congelati. Qualcuno forse può sperare di raggiungere Telgte, o Anmarsch. Nessuno può farcela, forse gli adulti piú forti, da soli, ma non lasceranno indietro le mogli, i figli, i genitori.

- Non c'è niente da aspettare. Adesso il Padre vuole fare giustizia.
- Cosa intendi dire?
- Devono morire -. Quasi sereno mentre lo dice, serafico, lo sguardo fisso.

Scivolano. Piangono. Reggono pance gravide. Papisti, luterani: il vecchio mondo sepolto dalla bufera evocata da Jan Matthys. Ci puoi leggere il segno: la volontà di Dio.
- È scritto, non c'è altro da sapere, è questo che intendi!? Sono dannati, devono morire. Vuoi tagliare la testa a tutti quanti!?
- Questo è il luogo prescelto. Questa è la Nuova Gerusalemme: non c'è posto per i non rigenerati. Possono ancora scegliere, convertirsi. Ma il tempo è giunto agli ultimi rintocchi. Che facciano presto.
- E se non lo fanno?
- Saranno spazzati via insieme a tutto ciò che è decrepito.
- Allora mandali via. Lascia almeno che se ne vadano, che raggiungano il loro fottuto vescovo, o i loro maledetti amici luterani.

Si consuma la resa dei conti ai nostri occhi. Abbiamo vinto, dunque. Ma dov'è la gioia impronunciabile, il riso vitale, il desiderio di unire i corpi, tutti i corpi delle comuni donne e degli uomini nell'abbandono dell'abbraccio e nel calore della luce?
Il nostro compito è esaurito: il tempo è finito, l'Onnipotente Dio penserà a tutto il resto. L'Apocalisse, la Rivelazione, giunge dall'alto, ci cattura in una pantomima tragica e terribile a cui non è possibile sottrarsi, a meno di non voler rinunciare a tutto ciò per cui si è lottato, perdendo il senso stesso del nostro stare qui, a sfidare il mondo.
Abbiamo vinto? Perché questo sapore acre mi invade la bocca? Perché evito come la peste lo sguardo dei fratelli?
«Che sia di monito, monito per tutti».
Mi appaiono oscene le invettive dei piú esagitati. Crudeli gli sputi e i calci agli sconfitti. Non sono piú i nemici del popolo di Münster, non coloro che ci hanno vessato per secoli, non sono piú uomini, donne, bambini, ma creature deformi, mostruose, ributtanti. Solo la loro estinzione può darci la vita, confermare la parola di Dio sul destino che ci aspetta.
Sono forse io lo sconfitto di ogni tempo, di ogni battaglia? Il Santo Giullare di Leida percorre quella fila toccando appena le teste con un piccolo bastone. La conta si ferma su un ragazzino, lo sguardo di Jan è al cielo.
- Perché? Perché un innocente? - Cade in ginocchio piangendo. - Costui non ha colpe! L'angelo della luce volteggia su di lui! - Si percuote il petto, strilla piú forte, singhiozza. - Perché!?
Il piccolo affonda il viso nel grembo della madre. Lei attinge al fondo della disperazione, piega le ginocchia, lo abbraccia e lo solleva al petto tra le lacrime. Poi in un gesto definitivo, la donna lo discosta da sé e dalla propria fine, e implora: - Salvalo. Tienilo con te.
L'apostolo di Matthys si risolleva, si tocca la barba e rivolto all'angelo annuncia: - Il Padre separa il grano dalla pula, - poi abbassa lo sguardo sul ragazzo: - Da oggi tu sarai Seariasúb, «il resto che ritorna», colui che si converte e cosí sfugge al castigo. Vieni.
Lo prende con sé, mentre la porta già risucchia l'esodo dei dannati.
La bufera mi oscura la vista come il piú cupo dei presagi.
Il Carnevale è finito.

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