Augusta, Baviera, fine luglio 1527

Lucas Niemanson. Mercante di broccati a Bamberga. Borsa gonfia, abiti pregiati di tessuti resistenti, consistente carico di merce e ammennicoli personali, su un carro piuttosto nuovo, tirato da due cavalli un po' logori ma ancora giovani. Riposo i muscoli indolenziti da miglia di sobbalzi, urti e imprecazioni sui sentieri sconnessi di queste lande, sulla branda decente di un ostello appena dentro la porta ovest della città. Prima di tutto dormire alcune ore per alleggerire le ossa; all'indomani pensare al carico, al carro, al piú stanco dei quadrupedi. Dare un'occhiata in giro per le contrade di questo affollato borgo imperiale, dove le teste calde di ogni regione stanno affluendo per sfuggire alla nuova mattanza. Come Hans Hut, il profeta libraio, che deve aver fondato una comunità a ogni stazione di cambio e dispensato visioni apocalittiche non appena saltava un pasto. A quanto si dice questa città ospiterà presto un sinodo di tutti i rappresentanti delle comunità sorte negli ultimi anni, in quella morsa tra Lutero e il Papa che ora nuovamente si stringe.
Cauto. Non infilarti nella grande bocca, non consegnarti all'occhio ubiquo del nemico.
Osservare, cautela, mantenere se necessario le vie del caso. In fondo cosí sono giunto a queste mura. La tragedia, il fato, la sorte insondabile hanno fornito materia prima e spirito a questa condizione che non avrei mai immaginato si verificasse.
Ero stato fermo troppo tempo. Il torpore dello spirito genera quello delle membra. Ho cominciato a vagare appena si sparse voce che cercavano Vogel. Era finita di nuovo. O meglio, ancora una volta si parte, verso non si sa cosa. Cercano i reduci. Annientarli, spingerli a confessare ciò che non hanno nemmeno pensato. Cercano i reduci. Via, ventisei anni. L'esercito degli straccioni insorti. Annientarli. Allora via, senza dire niente. Ad anima viva.
Accattone come tanti, con un fardello di lettere, ricordi e sospetti insopportabili.
Il caso mi ha condotto le spoglie sfinite per sentieri e locande, villaggi e osterie, mercati e granai. Il caso ha congiunto la sorte amara e sconsiderata del mercante Niemanson alla mia, nel dí di giugno venti e sette, al termine di vagabondaggi infiniti e solitari.
Si informava nervoso sulla sicurezza delle strade in direzione sud e sull'ora migliore per partire. Senza dubbio trasportava merce pregiata. Sotto il mantello l'affascinante gonfiore di una borsa di cuoio chiaro: un amore a prima vista. Un servo costretto a letto per alcuni giorni, impestato da una qualche troia, che lo obbliga a proseguire da solo, l'indomani all'alba.
Lo seguo alla distanza, per quasi cinque miglia, fino a che la strada con un'ampia curva si addentra in una zona boscosa, di basse colline, completamente isolata. Affianco il carro e faccio cenno di fermarsi, con gesti concitati.
- Signore, signore!
- Che volete? - chiede aggrottando le sopracciglia e tirando le redini.
- Il vostro servitore, signore...
- Che ha, che vuole?
- Non sembra cosí malato. Lo hanno pescato questa mattina che cercava di lasciare la locanda di nascosto. Aveva una grossa borsa piena di preziosi che credo appartengano al vostro carico, - e cosí dicendo mostro la sacca con la corrispondenza di Magister Thomas.
- Quel figlio di puttana! Certo che non è roba sua, è un pezzente quello. Aspettate, vengo a vedere.
Scende, si avvicina, stringo l'orlo della borsa con la sinistra, si china a guardare. Il bastone cala rapido sulla nuca.
Cade come un albero secco.
Gli blocco le braccia con le ginocchia, tre giri di fune e un nodo bello stretto.
Libero la borsa dalla cintura e lo rotolo in un fosso. È fatta. Taglio l'intrico di corde che assicura il carico e salgo a dare un'occhiata: tessuti, rotoli di varia foggia e colore. Povero bastardo, i tuoi affari sono rimandati. E anche i vestiti non ti serviranno per ora. Tantomeno il nome che leggo inciso sul lato del carro: «Lucas Niemanson, tessitore in Bamberga».

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