Anversa, 6 maggio 1538

- Non è piú il tempo dei predicatori d'apocalissi. L'ultimo l'hanno decollato a Vilvoorde davanti ai miei occhi un mese fa. Ma in questi dieci anni ne ho conosciuti davvero tanti, a ogni angolo di strada, in ogni postribolo, nelle chiese piú sperdute. Il mio peregrinare è costellato di questi incontri al punto che potrei scriverci un trattato. Alcuni non erano che ciarlatani e attori, altri credevano al proprio sincero terrore, ma soltanto pochissimi avevano la stoffa del profeta, la genialità, l'estro, il coraggio di ridipingere nell'animo degli uomini il grande affresco di Giovanni. Era gente in grado di scegliere le parole giuste, di carpire le situazioni, la gravità dei momenti, e di volgerle verso l'attesa dell'avvento imminente, anzi già presente. Folli, sí, ma anche abili. Non so se fosse Dio oppure Satana a suggerire loro le parole e le visioni, non ha importanza. Non l'aveva per me allora, e tantomeno adesso. Frankenhausen mi aveva insegnato a non aspettare nessun esercito di angeli: nessun Dio sarebbe disceso ad aiutare i miserabili. Dovevano aiutarsi da soli. E i profeti del Regno erano ancora quelli che potevano sollevarli e dar loro una speranza per cui combattere, l'idea che le cose non sarebbero state per sempre cosí.
- Vuoi dire che ti rimettesti a lottare?
Eloi sembra stupito. Bevo un po' d'acqua per schiarirmi la gola.
- Non sapevo cosa avrei fatto. Io e Ursula cominciammo a odiare quei teologi che parlavano, parlavano, si atteggiavano a grandi pensatori della cristianità, discutendo della messa e dell'eucarestia, nei salotti dei ricchi strasburghesi. La loro tolleranza era un lusso per benestanti che non sarebbe mai andato oltre la concessione di un piatto di minestra ai poveri. Quegli unti bottegai potevano permettersi di mantenere quella cricca di dottori e perfino di assecondare la loro magnanimità verso gli eretici, perché erano ricchi. Era la ricchezza a garantire la fama di Strasburgo. Era quella fama a far affluire laggiú letterati e studenti.
Sogghigno: - Si spaventarono, oh sí, si spaventarono davvero, quando facemmo capire loro che i poveri, gli umili che avrebbero voluto aiutare con qualche lauta elemosina per mettersi a posto quella coscienza di mercanti, aspiravano a rubar loro la borsa e magari anche a tagliare quelle belle gole bianche. Non occorse aspettare molto tempo perché Capitone e Bucero rispondessero alle nostre provocazioni, introducendo sottili distinzioni tra battisti «pacifici» e battisti «sediziosi». Noi rientravamo chiaramente nella seconda categoria.
Eloi sorride storto, forse pensa alla sua Anversa, ma non mi interrompe.
- Non si trattava di ricominciare una guerra perduta. Sarebbe stato stupido. Ma Ursula mi aveva rigenerato, come se il suo ventre mi avesse partorito una seconda volta. Volevamo tirare la corda, esasperare la filantropia ipocrita di quella gente finché non si fosse rivelata per quello che era: una schiera di ricchi attaccati all'oro, travestiti da pii cristiani. Fu uno dei periodi piú spensierati della mia vita.
Mi fermo per tirare il fiato, forse aspetto una domanda per riprendere il filo del racconto. Eloi me la concede.
- Quanto andò avanti?
Uno sforzo di memoria: - Circa un anno. Poi nella primavera del '29 arrivò a Strasburgo l'uomo che avrebbe dato inizio al mio viaggio. Ora marcisce nelle prigioni di quella città: ha commesso l'errore fatale di rimetterci piede dopo quello che avevamo combinato.
- Melchior Hofmann.
- E chi se no? Uno dei piú strambi profeti che abbia mai incontrato, abbastanza unico nel suo genere e per follia e oratoria secondo soltanto al grande Matthys.
- Sono tutt'orecchi.
Bevo ancora e ricompongo quel volto lontanissimo: - Hofmann una volta era un pellicciaio. Un giorno era stato «folgorato sulla via di Damasco» e si era messo a predicare. Aveva corteggiato Lutero finché non era riuscito a farsi scrivere da lui una raccomandazione per le comunità del Nord. Quella firma gli aveva aperto le porte dei paesi baltici e della Scandinavia, consentendogli di acquistare notorietà e anche un certo seguito. Aveva girato moltissimo su nel Nord. Poi un bel giorno si era convinto che il regno dei santi e di Cristo fosse ormai prossimo e aveva cominciato a predicare il pentimento e l'abbandono di tutti i beni terreni. Non c'era voluto molto perché Lutero lo sconfessasse. Mi disse di essere stato scacciato dalla Danimarca con la promessa che se vi avesse rimesso piede la sua testa sarebbe stata affissa su un palo. Era davvero un pazzo geniale. Aveva conosciuto il buon vecchio Carlostadio, e ne condivideva il completo rifiuto della violenza. Arrivò a Strasburgo convinto di essere il profeta Elia, in cerca del martirio che gli confermasse la prossimità dell'avvento del Signore. Si innamorò subito degli Anabattisti locali e riuscí a inimicarsi tutti i riformatori luterani, Bucero prima, poi Capitone e tutti gli altri.
Io e Ursula capimmo immediatamente che era il tipo che stavamo cercando per far saltare in aria la città. Ci venne spontaneo, senza bisogno di concordare niente: durante una cena improvvisammo delle rivelazioni sconvolgenti, lei si eccitò al punto da raggiungere l'estasi davanti ai suoi occhi, mentre io gli raccontavo di come i ricchi e i potenti sarebbero stati spazzati via dalla furia del Signore. Nelle settimane che seguirono gli dettammo passo passo le nostre visioni di cui non si lasciò sfuggire una sola parola. Quando tutto fu pronto, trovai il modo di mandare alla stampa quello che aveva scritto: due trattati con le profezie di Ursula e le mie. Si mise a predicare alla folla sulla piazza principale. Qualcuno gli sputò in faccia, qualcun altro cercò di picchiarlo, altri ancora tentarono di assalire un banco di pegni per distribuire i beni ai poveri. Quando gli scritti furono diffusi dai librai, Bucero cercò di farlo imprigionare. Ci furono giorni di subbuglio. Fu un anno di fuoco, sentivo che il sangue mi ribolliva nelle vene, che la corda stava per spezzarsi.
E fu cosí, all'inizio del '30, se ricordo bene: Hofmann si fece ribattezzare e predicò per l'ultima volta, proclamando l'imminenza del regno di Cristo, denunciando l'attaccamento ai beni terreni e chiedendo che gli Anabattisti potessero utilizzare una chiesa cittadina. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Bucero fece pressioni fortissime sul Consiglio per farlo espellere dalla città. A Pasqua gli arrivò l'ingiunzione di lasciare Strasburgo. Se non avesse obbedito se lo sarebbero fatto con tutti i pantaloni.
Anche per me l'aria era diventata pesante. Cellario non poteva piú proteggerci dall'ira di Bucero e Capitone: fu sincero con me, consapevole che mi avrebbe perso di nuovo, questa volta forse per sempre. Era il destino che mi ero scelto, il vecchio Martin non poteva farci niente. Lo abbracciai ancora e lo salutai, come avevo fatto anni prima a Wittenberg per mettermi alla ricerca di un maestro e di una nuova sorte. Vecchio amico, chissà dove si sarà cacciato: ancora a Strasburgo o in qualche nuova università a discutere di teologia.
Alzo le spalle e scaccio la tristezza. Eloi attentissimo vuole sentire il finale.
- Avevo deciso di andare con Hofmann. A Emden, nella Frisia orientale. La Germania del sud era una partita persa, una landa desolata che abbandonavo volentieri ai lupi e a Lutero. Dai Paesi Bassi erano stati espulsi in molti per la loro professione di fede: gente nuova, molto meno attaccata al saio di Lutero di quanto non lo fossero quelli di Strasburgo. C'era fermento, era il posto in cui potevano accadere le cose. Avevo il cavallo giusto: il mio Elia svevo che profetizzava l'avvento imminente di Cristo e predicava contro i ricchi. Era un lasciapassare un po' difficile da gestire, ma abbastanza entusiasta per riuscire a riscuotere successo.
- E Ursula?
Un attimo di silenzio gli consente di pentirsi della domanda, ma è tardi. Sorrido ancora al ricordo di quella donna.
- La stagione passò. Per lasciar posto a un nuovo anno.


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