Münster, 22 aprile 1534

Torpore. Delle membra, della mente. Non riconosco nessuno, non è la stessa gente che ha battuto i vescovili e i luterani in una sola notte. I miei uomini, loro sí, mi seguirebbero all'inferno, ma non potrò portarli via: qualcuno deve pur restare, a controllare il Giullare, la Regina Bianca e il loro Regno dei Miracoli.
Da solo. Andare via subito, cercare lo sbocco della fogna prima che sia troppo tardi.
Gli eventi di questi giorni fanno paura. Eppure il morale è alle stelle. In una sortita ho catturato un manipolo di cavalieri che tentava di attaccare la Judefeldertor e ora stiamo trattando per uno scambio di prigionieri. Abbiamo anche fatto passare ai vescovili la voglia di venire sotto le mura, fuori portata degli archibugi, a mostrare i loro culi pallidi al grido di «Padre, dammelo, bramo la tua carne!», abitudine che avevano preso nelle serate di sbornia e bisboccia. Con un po' di buona balistica è stato sufficiente centrare uno di loro con una cannonata tra le chiappe riducendolo a bocconi per i cani.
Per una settimana tutti gli uomini sui bastioni hanno pisciato e cagato dentro una botte, che è stata poi fatta rotolare dentro l'accampamento vescovile. Quando quelli l'hanno aperta, il fetore è arrivato quasi fino qua.
Insieme a Gresbeck ho organizzato esercitazioni di tiro per tutti, anche per i ragazzi e le donne. Insegnamo alle ragazze a bollire la pece e a versare calce viva in testa agli assedianti. Ci sono turni di guardia alle mura suddivisi tra tutti i cittadini, di entrambi i sessi, tra i sedici e i cinquant'anni.
Ho fatto mettere una campana su ogni bastione, da suonare in caso di incendio, affinché si possa sapere dove accorrere con l'acqua.
Abbiamo scoperto che Matthys aveva inventariato i beni sequestrati ai luterani e ai papisti, nonché le disponibilità alimentari della città. Aveva annotato tutto, fino all'ultima gallina e all'ultimo uovo. Si può resistere per almeno un anno. E poi? Anzi: e intanto?
Non basta, non può bastare. Le sparate del Profeta Saltimbanco non portano da nessuna parte.
I Paesi Bassi, i fratelli. Raccontare cosa succede a Münster, organizzarli, sceglierli, forse anche addestrarli a combattere. Cercare soldi, munizioni.
Non lo so. Non so se è la cosa giusta da fare, non l'ho mai saputo, ogni volta che ho scelto una strada diversa. Senti solamente che non puoi continuare cosí, che le mura, le pareti, cominciano a starti strette e la tua mente ha bisogno di aria fresca, il tuo corpo di sentire le miglia che scorrono sotto.
Sí. Puoi fare ancora una cosa per questa città, Capitano Gert dal Pozzo.
Impedire che le lascino solo la follia dei suoi profeti.

Münster, lunedí dell'Angelo 1534

- Non chiamarmi pazzo!
Il pugno mi prende sullo zigomo, vado giú.
Jan è una maschera rossa e bionda di furore.
Mi accascio su una sedia: - Con questo hai dimostrato davvero di essere un saltimbanco miserabile.
Trattiene il respiro, muove qualche passo massaggiandosi le nocche sbucciate, china il capo, dondola. Lo scatto di rabbia si vela subito di disperazione.
- Aiutami, Gert, io non so cosa fare.
Lo guardo affranto: un piccolo sarto piagnucoloso e meschino.
- Aiutami. Sono un verme, aiutami, dimmi cosa devo fare. Perché io non lo so, Gert...
Si siede sullo scranno che è stato di Matthys, guarda il pavimento.
- Hai già fatto abbastanza.
Annuisce: - Sono un coglione, sí, un fottuto coglione. Ma volevano una speranza, li hai visti, volevano che dicessi loro quello che ho detto. Mi volevano cosí e l'ho fatto, li ho resi felici, di nuovo forti.
Resto zitto, inerte, la testa pulsa, la botta, la confusione di queste ore.
Sembra riprendersi appena: - Ieri erano perduti, oggi terrebbero testa a von Waldeck a mani nude! - Cerca il mio sguardo. - Io non sono Matthys. Possiamo ricominciare daccapo, possiamo scopare, eh?, banchettare, fare tutto quello che vogliamo. Siamo liberi, Gert, liberi e padroni del mondo.
Non ho voglia di parlare, non ha senso, ma le parole escono da sole, per me e per il fratellastro pazzo con cui ho condiviso il fetore delle stalle: il nuovo profeta di Münster.
- Quale mondo, Jan? Von Waldeck non è un fesso, i potenti non lo sono mai. Potente aiuta potente, principe appoggia principe: papisti, luterani... non ha alcuna importanza, quando quelli che stanno sotto si ribellano, te li ritrovi tutti uniti, coi loro cavalieri e le armature luccicanti, schierati per caricare. Questo è il mondo là fuori. E stai sicuro che non è cambiato solo perché hai regalato a questa gente il bel sogno di Sion.
Piagnucola come un cucciolo, le dita affondate nei riccioli biondi.
- Dimmelo tu. Tu sai cosa va fatto. Farò quello che mi dici, ma non lasciarmi, Gert...
Mi alzo stordito: - Ti sbagli. Non lo so nemmeno io. Non lo so piú.
Guadagno la porta tra i suoi guaiti infantili.
Lei è lí dietro. Ha ascoltato tutto.
I capelli sono talmente chiari e luminosi da sembrare di platino.
Divara: una veste discinta, che lascia intravedere il corpo perfetto. Nel volto l'innocenza di una bambina, bianca regina bambina, figlia d'un birraio di Haarlem.
Un tocco lieve mi solleva la mano e ci fa scivolare una piccola lama.
- Uccidilo, - mormora appena, indifferente, come parlasse d'un ragno sul muro, o di un vecchio cane moribondo a cui concedere requie.
La vestaglia aperta sul seno turgido, a rivelare il premio. Gli occhi di un blu intenso che incutono terrore fin nelle ossa, i peli ritti come spilli, il cuore a tamburo. Una catasta di cadaveri: visione di ciò che può succedere, l'abisso spalancato da una ragazzina di quindici anni. Devo aggrapparmi al corrimano delle scale, barcollando giú, lontano dalla Venere Dispensatrice di Morte.

Münster, Pasqua 1534

Soprassalto di sudore freddo da un sonno agitato, madido nonostante la pioggia che picchia furiosa sopra i battenti, pulso paura ancestrale, libero il petto con un rantolo sordo, rauco. Sbarro gli occhi inerme.
Lampi gialli squarciano la penombra del primo mattino.
Giorno di Resurrezione.

Primo scenario: al calar del sole la piazza è piena, ci sono tutti, ci si aspetta un discorso del Profeta. Matthys sale sul palco, parla alla folla, dà una qualche motivazione per la mancata Apocalisse, verosimilmente attribuendo la colpa agli eletti non ancora puri. Il palco è addossato al fianco meridionale della Cattedrale. Venti uomini, con me, entrano dalla facciata occidentale ed escono dalla finestra del transetto che sta proprio dietro al Profeta. Gli altri dieci sono tra le prime file. Non si dà alle guardie il tempo di reagire. Gresbeck afferra Matthys alle spalle e gli porta la lama alla gola. Il Capitano Gert spiega perché Enoch deve morire.
Secondo scenario: Enoch guida il popolo dei santi alla battaglia finale. Lasciarlo fare. L'esercito raccattato di von Waldeck può essere travolto. Venti dei miei nei posti chiave della battaglia. Il resto fa quadrato attorno al Profeta e tiene d'occhio la sua guardia personale. Nella confusione della battaglia cogliere il momento propizio. La pistola del Capitano Gert lascia Enoch sul campo.

La Cattedrale spalanca le fauci.
Quattro gradini larghi e sottili, di una spanna ciascuno, rialzano i due pilastri a sostegno dell'arco che precede e sovrasta il portale; appuntito al culmine, frastagliato sul bordo inferiore da tredici merletti di pietra come zanne acuminate. Due passi poi ancora quattro gradini, piú stretti e ripidi, fino alle due porte. In mezzo, sorta di ugola, una statua sorretta da una colonna sottile. Ai lati della seconda scalinata restringono gradualmente l'apertura tre nicchie per parte. Dall'arco delle labbra e dei denti fino alla gola scura, grande affollamento di statue, specie sul palato, come dannati ingoiati dal mostro.
Sovrastano l'ingresso gli occhi enormi di una vetrata dai fini ricami, affiancata da due grezze finestrelle per ogni lato. Chiude il volto il frontone triangolare, su cui campeggiano tre pinnacoli: le corna.
La facciata è racchiusa dalle massicce torri quadrate, profilate da due ordini di archi pensili, semplici i primi, duplici i secondi, e aperte da due ordini di bifore di grandezza progressiva. Da una parte e dall'altra, le due ali del transetto sono zampe pesantemente accovacciate sul terreno.
Fradicio di pioggia, mi lascio inghiottire.
Quasi metà dell'attuale popolazione di Münster è riunita fin dai vespri di sabato tra queste tre imponenti navate. In ginocchio, le mani giunte, attendono cantando sommessamente ciò che il Profeta ha predetto per questo giorno.

- Oggi farò sparire dalla terra ogni cosa, dice il Signore. Distruggerò uomini e bestie. Sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, abbatterò gli empi. Sterminerò l'uomo dalla terra. Come un diluvio è il giorno finale. Questa nostra città è l'arca costruita col legno della penitenza e della giustizia. Essa galleggerà sulle acque della vendetta finale.
Dio non chiese a Noè di avvisare il mondo di quanto stava per accadere. E quando le acque si ritirarono, promise che mai piú avrebbe colpito ogni essere vivente come in quel giorno. Da allora, ogni qual volta il Signore nutre propositi di distruzione, sceglie un profeta che indichi ai suoi simili la strada della conversione. Geremia parlò al Re di Giuda, Giona attraversò Ninive, Ezechiele fu mandato agli Israeliti, Amos percorse il deserto.
Se mando la spada contro un paese e il popolo di quella terra sceglie una sentinella, e questa, vedendo sopraggiungere la spada sul paese, suona la tromba e dà l'allarme al popolo, se colui che ben sente il suono della tromba non ci bada e la spada giunge e lo sorprende, egli dovrà a se stesso la propria rovina. Se invece la sentinella vede giungere la spada e non suona la tromba e la spada giunge e sorprende qualcuno, questi sarà sorpreso per la sua iniquità: ma della sua morte domanderò conto alla sentinella.
Io non godo della morte dell'empio, dice il Signore Dio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Se Dio volesse giudicare il mondo cosí come è, non si servirebbe di profeti. Se Dio volesse convertire tutti gli empi, infonderebbe loro il suo Spirito, ma non si servirebbe di profeti.
Jan Matthys di Haarlem fu chiamato per diffondere la parola di Dio fin dove la sua voce potesse giungere. Oltre quel confine il Signore avrà chiamato a sé altri profeti: presso il Turco, nel Nuovo Mondo, nel Catai.
Fuori da queste mura, dove la morte affila la sua falce, stanno uomini che non per loro distrazione sono stati sordi alla tromba. I mercenari al soldo dei principi, i disperati costretti dalla fame a combattere guerre non loro, ai quali sono state raccontate soltanto bugie sul nostro conto. Quanti di loro entrerebbero nell'arca se qualcuno gli dicesse che il denaro è stato abolito, ogni bene messo in comune, che unica erudizione è quella della Bibbia e unica legge quella di Dio?
Se il Profeta della Nuova Gerusalemme non parlerà loro per distoglierli da una condotta infame, dettata solo dalla miseria, allora il Signore chiederà conto soltanto a lui della loro rovina.
C'è un tempo e un luogo per cui ogni cosa abbia un inizio e una fine. Ecco, il nostro tempo è finito. Il Signore giunge, e il profeta diviene nulla. Le porte del Regno sono spalancate. Egli adempirà al suo mandato, com'è scritto nel Piano.

Knipperdolling non riesce a capire. Con lo sguardo incredulo segue i passi di Matthys verso l'uscita. Prova a domandare qualcosa a Rothmann, ma non ottiene risposta. Il volto malato del predicatore non tradisce emozioni, le labbra mosse dal tremolare di una preghiera. Forse la conoscenza della Bibbia e dei suoi profeti lo aiuta a essere piú lungimirante di me e Gresbeck sul comportamento di Matthys. Heinrich, addossato a un pilastro, pare una statua. Riesce a fatica a voltare il collo per cercare i miei occhi. Che facciamo adesso? Jan di Leida sfoglia freneticamente la Bibbia in cerca di risposte da tradurre sulla scena. Qualcuno intona il Dies Irae. Una sorta di processione spontanea scorre lungo la navata centrale.
Spingo per raggiungere la porta, pronto a qualunque scenario.

Un raggio di sole malato accompagna il suo incedere deciso.
Il profeta di Münster varca la Ludgeritor e si lascia alle spalle la città, scortato da una dozzina di uomini. Nessun altro ha potuto seguirlo: ognuno ha il suo ruolo nel Piano.
Ci accalchiamo sulle mura.
Il campo del principe vescovo è ben visibile, a poca distanza, sfocato appena dai vapori che salgono dalla terra umida.
Li vediamo avanzare verso il terrapieno scavato dai mercenari del vescovo. Trambusto nelle loro fila, puntano gli archibugi.
Matthys fa cenno ai suoi di fermarsi.
Matthys prosegue da solo.
Matthys è disarmato.
Attoniti. Cosa vuole fare?
Nessuno respira.
Matthys alza le braccia al cielo, altissime, i capelli neri sconvolti dalla pioggia.
È fuori tiro, ma basta una breve corsa, poche decine di passi.
Tutti zitti, come se il vento potesse portare le sue parole fino agli spalti.
Migliaia di occhi concentrati sull'unico punto. L'ultimo istante.
Il Piano.
Avanza ancora. Sale in piedi sul primo muro basso delle fortificazioni.
Mio Dio, sta per farlo veramente.
Fino a Pasqua.
Un profeta a termine.
Sembra di udite qualcosa, forse l'eco di una parola pronunciata piú forte.
Un movimento, un balzo alle spalle del Profeta. Qualcuno sale, il luccichio di una spada. Cadono in avanti.
Un manipolo di cavalieri esce dall'accampamento e si lancia sulla strada a bloccare il seguito di Matthys. Uomini e cavalli in un solo groviglio.
Gli occhi di tutti si congelano d'orrore, come foglie secche nel ghiaccio.
Non un grido, non un fiato.
L'urlo d'esultanza dei vescovili.

Una mano sulla spalla.
- Vieni via, Gert.
È Gresbeck, faccia scura: - Che cazzo si fa adesso!?
- L'ha fatto veramente...
I münsteriti sono ancora tutti sulle mura, in attesa che accada qualcosa, che quel colpo si rialzi e apra il cielo con una parola di fuoco.
- Che cazzo facciamo, Gert!?
Mi scuote. Quasi scarico la tensione con un sorriso idiota: - Quel bastardo è riuscito a mandare a monte i nostri piani...
- L'importante è che si è tolto di mezzo. Ma adesso?

Guardiamo la gente rifluire per le strade, mentre andiamo in cerca dei borgomastri. Svuotati, inerti fantasmi e sonnambuli che non riescono nemmeno ad avere paura. Gli hanno strappato l'Apocalisse, il Profeta non c'è piú. Di Dio nemmeno l'ombra. Ma questa è davvero l'Ultima Pasqua, con le tombe scoperchiate e le anime dei defunti a vagare in attesa del giudizio. Qualcuno l'ha visto portare in cielo dagli angeli, qualcun altro trascinato negli inferi da un demonio. Affollano le vie, la piazza del Mercato, senza piú voglia di pregare, perché non sanno piú per chi o per cosa valga la pena farlo. Capannelli di persone che parlano a bassa voce si formano un po' dappertutto. Bisogna prendere in mano la situazione, trovare Knipperdolling e Kibbenbrock prima che lo scoramento si trasformi in panico.
Troviamo il secondo borgomastro seduto sui gradini di San Lamberto, il capo chino.
- Dov'è Knipperdolling?
Confuso: - Era con me alle mura, poi non l'ho piú visto.
- Sei sicuro che non sia in chiesa?
Scuote la testa: - Di qui non è passato.
Ci affrettiamo verso la piazza della Cattedrale. Non ho bisogno di guardare Gresbeck: respiriamo gli stessi pessimi presentimenti.

Poco prima del buio la macabra conferma.
Il corpo di Jan di Haarlem in una cesta catapultata oltre le mura. Macellato, a pezzi.
Knipperdolling come impazzito. Di corsa, nel torpore della città, invoca a squarciagola il nome di Jan Bockelson, il novello Davide.
Sul palco a ridosso della Cattedrale si staglia la sagoma inconfondibile del Leidano Pazzo.

Scena prima: il sogno di Re Davide (Knipperdolling nella parte di Matthys, Bockelson in quella di se stesso).
MATTHYS: - Sí, sí. Sei un bastardo Jan di Leida. Un figlio di puttana. Il bastardo e il figlio di puttana che mi succederà alla guida delle schiere del Signore.
BOCKELSON: - No, no! Sono un verme viscido e schifoso, indegno, indegno!
MATTHYS: - Jan, omonimo apostolo mio, tu sai quanto ti amo. E il mio amore non è altro che un riflesso dell'amore piú grande del Padre per te. Verme, nient'altro eri. E io ti ho trascinato fuori dal fango dei bordelli per farti combattere a Münster al mio fianco. Verme. Regale verme a cui spetterà il compito di raccogliere la mia spada e instaurare il Regno. Tra otto giorni il Profeta dovrà lasciare il posto al Signore. E il Signore sceglierà te, per essere guida della Nuova Sion.
BOCKELSON (trattiene le lacrime, non vede piú nessuno, o forse ha tutto chiaro. Molto piú chiaro di me e di Gresbeck): - Vieni avanti Berndt.,

Intermezzo (Knipperdolling, nei panni di se stesso, avanza goffo, lo spadone della Giustizia in mano).
KNIPPERDOLLING: - È vero. Otto giorni fa Jan di Leida mi disse d'essere stato visitato da Matthys in sogno e di aver ricevuto da lui la consegna di portare a compimento il Piano.

Scena seconda: il compimento del Piano (Bockelson nella parte di Dio e di Davide, Knipperdolling nella parte di se stesso).
DIO: - Uomini e donne di Münster, guardate questo piccolo omuncolo. Guardate Davide. Uomini e donne della Nuova Gerusalemme: il Regno è vostro! Per dio, io vinco! Tutto ciò che era promesso si è avverato. Siete i padroni del Regno. Correte sulle mura a ridere in faccia ai vostri nemici, scoreggiate la vostra gioia sui loro grugni bestiali! Essi non possono nulla, Matthys l'ha dimostrato. Egli ha voluto dirvi che gli empi leccastola possono anche ridurlo in briciole grandi come caccole del naso, ma non scalfiranno il Piano! E il mio piano è vincere! Vincere! Una fionda! Una fionda per Davide!
(Knipperdolling si affretta a passare una fionda a Bockelson, di quelle che i contadini usano per tenere lontani i corvi dal raccolto).
DAVIDE: - Cittadini della Nuova Gerusalemme, io sono l'uomo che viene nel nome del Padre: il novello Davide, il bastardo fratellastro di Cristo, il prescelto! Ammirate il Padre, che ha voluto scegliere un mentecatto, un puttaniere, per farne il Suo apostolo, il Suo capitano. E per bocca dell'arcangelo Matthys gli ha annunciato la gravidanza. Sí, gravidanza del compimento del Piano. Jan Matthys non è morto! Matthys il Grande mi ha fecondato con la Parola del Padre e vive in me, vive in tutti voi, perché noi siamo destinati ad andare fino in fondo, siamo noi la forza di Dio, siamo i migliori, i prescelti, i santi, coloro che hanno ereditato la terra e possono usarne come piú ne hanno voglia. Non abbiamo piú limiti: il mondo è finito, è ai nostri piedi! (Tira il fiato, fa planare il suo sguardo azzurro sulla folla, che si è ormai ingrossata fino a riempire la piazza). - Fratelli e sorelle: l'Eden è nostro!
KNIPPERDOLLING (al suo fianco): - Evvia Sion!

La risposta è un colpo che spezza le gambe, una sbornia, uno sparo, un cazzotto al mento, una secchiata d'acqua gelida che mi stordisce. È un evviva urlato a squarciagola da migliaia di persone, a cancellare la disperazione, lo scoraggiamento, la consapevolezza di aver seguito un folle che ora giace a pezzi in un canestro. Meglio crederci fino in fondo allora, meglio continuare a sognare piuttosto che prendere atto della follia collettiva. Lo leggo nei loro occhi, nelle espressioni stravolte di quei volti: meglio un pappone saltimbanco, sí, sí, il figlio di Matthys, meglio lui, ma ridateci l'Apocalisse, ridateci la fede. Ridateci Dio.
Barcollo ammutolito, vedo Bockelson innalzato da una foresta di mani e portato in trionfo per la piazza. Ride e manda baci a tutti quanti, sensuali, provocanti, forse ne ha uno anche per il compare che piú d'una volta l'ha tirato fuori dai guai e lo ha accompagnato fin qui. O forse a tutto questo il Santo Puttaniere non pensa piú. Non uscirà mai piú da questa parte, la migliore interpretazione della sua vita. Jan, sei finalmente riuscito a far calzare il mondo come un guanto al tuo repertorio d'attore. O al contrario, sono i tuoi personaggi che hanno trovato il palcoscenico adatto nel cuore di questi uomini e negli eventi del mondo. Adesso sei Mosè, Giovanni, Elia, e chiunque ti va di essere. Lo sei per sempre: non hai nessuna intenzione di tornare indietro. Sta scritto nel tuo sorriso e nel fatto che non avresti nessun motivo per farlo.

Gran finale: La folla inonda la città, innalza il nuovo profeta di Münster alla Aegiditor, che i vescovili vedano che il morale del popolo di Sion è alto e che c'è un nuovo condottiero. Ma un urlo di ribrezzo e terrore agghiaccia il corteo trionfale. Le donne che hanno spalancato la porta indicano una delle due grandi ante.
Una freccia tiene affisso qualcosa al legno, come un sacchetto sanguinolento. Uno scherzo macabro dei vescovili: devono aver approfittato dell'assenza delle sentinelle per avvicinarsi alle mura e poi scappare.
La folla si apre e avanza Jan di Leida, deciso, stacca la freccia e raccoglie senza battere ciglio lo scroto di Jan Matthys, lo stringe in mano, annuisce ai propri angeli. Alza la voce e i coglioni del Profeta, in bella vista, affinché tutti possano vedere.
BOCKELSON: - Sí. Benché io abbia lasciato una moglie legittima a Leida per seguire il Grande Matthys, egli mi disse che avrei dovuto essere marito della sua donna. Dovrò sposare la vedova del Profeta e usare i coglioni al suo posto. (Si ficca in tasca il grumo sanguinolento e annuncia): - Portate Divara! La mia sposa destinata.
Applausi.
Fine.

Münster, 16 marzo 1534

Siamo in perlustrazione. Disegnamo curve che via via si allargano dalle mura della città. In sette saggiamo la saldezza dell'accerchiamento vescovile. Ci muoviamo in silenzio, distanziati, a portata di segnale acustico o luminoso, spesso favoriti dall'oscurità, sulla nuda pietra lastricata da Mastro Inverno e tornita da Fabbro Vento. Non appena scorgiamo le linee mercenarie, prendiamo poi a bordeggiarle occulti, fino a quando troviamo una maglia piú larga.
Pazienti attese, gelide, spostamenti leggeri, furtive incursioni, segnali disseminati e annotati su mappe improvvisate, a imprimere la visione di percorsi, smagliature, vie di fuga.
Abbiamo già eluso due volte il blocco di von Waldeck, riusciremo ancora, abbiamo capito che è sfilacciato, poco efficace, indolente.
Manca una branda dove poggiare le ossa ai coraggiosi fratelli Mayer, eroi delle barricate di febbraio; manca la tazza dove versare l'infuso di erbe copiosamente allungato da acquavite al maniscalco Adrianson; la birra al piú grande dei fratelli Brundt, Pieter, semplice ed entusiasta come il mezzodí.
Heinrich Gresbeck rimpiange, senza dirlo, la lampada che rischiara le incessanti letture notturne di questo soldato impassibile e preciso, la cui brama di conoscenza dev'essere nata in stagioni diverse da questa.
C'è invece Freccia, il falco da caccia che Bart Boekbinder, giovane e raccattato cugino, alleva con cura paterna e risultati sorprendenti.
Quanto a me, non so dire con chiarezza della condizione di questi giorni: mente e corpo viaggiano separati, senza contrastarsi platealmente, ma distanti. A sua volta, il pensiero si divide, come dire, anche da se stesso, in accumulo, foglio sopra foglio, azione dopo ricordo, riflessione sopra decisione, lasciandomi come una grande cipolla, strato su strato, nel cui cuore profondo risuonano, lancinanti e abissali, le parole del Grande Matthys, il Dio Fornaio.
Sproniamo i cavalli appena fuori la Judefeldertor, verso nord-ovest, per aggirare le postazioni dei vescovili.
Gresbeck cavalca al mio fianco, insieme a cinque degli uomini migliori. Ho scelto gente che ha combattuto ai miei ordini il 9 e 10 febbraio: i nuovi arrivati dall'Olanda non mi ispirano una grande fiducia; portano armi, certo, ma soprattutto donne e bambini, bocche da sfamare in un inverno cattivo; quasi non sanno chi sia von Waldeck e nemmeno come tutto questo sia cominciato: vedono soltanto il faro di Gerusalemme nella notte. E l'ardore del Profeta.
Il vescovo ha reclutato un esercito ridicolo, un migliaio di uomini ben armati, ma sottopagati, con pochi motivi per rischiare la pelle; sbalzato dalla cathedra il porco porporato non è piú niente. Dicono che il langravio d'Assia Filippo gli abbia inviato due spingarde gigantesche, dai nomi impressionanti di «Il diavolo» e «Sua madre», ma che si sia rifiutato di mandare truppe. Sono convinto che von Waldeck stia cercando di convincere tutti i signorotti vicini a dargli manforte contro la peste anabattista. Per ora si è limitato a scavare dei terrapieni per chiudere le vie d'uscita in direzione di Anmarsch e Telgte. E dato che non è uno stupido starà mettendo sul chi vive tutti i nobili signori delle terre tra l'Olanda e qui, affinché blocchino l'afflusso di eretici verso Münster.
Galoppiamo fin dentro il bosco di Wasserberger, proseguendo lungo il sentiero che si ricongiunge alla strada per Telgte. Smontiamo, zitti, e portiamo i cavalli fino al limitare dello stagno, tappa obbligata per chiunque scenda dal Nord: gli animali possono bere, una vecchia cascina abbandonata offre riparo dalla neve e dalla pioggia.
Il freddo intenso dissolve il fiato davanti alle barbe. Ci acquattiamo sul muschio umido.
Contiamo una dozzina di uomini, archibugi, una fila di stendardi, un piccolo cannone.
- Mercenari del vescovo -. La cicatrice campeggia piú bianca del solito.
- Conosci le insegne?
Gresbeck alza le spalle: - Non mi pare. Forse il capitano Kempel... Te l'ho detto, è una vita che non torno da queste parti.
- Questa è gente che combatte per quattro soldi, sciacalli. Con quello che si è requisito ai luterani e ai papisti potremmo offrirgli una paga piú alta di quella che passa von Waldeck.
- Mmh. È un'idea. Ma meglio andar cauti, la nostra forza è la fratellanza.
- Si potrebbero stampare dei fogli volanti e diffonderli per le campagne.
- Münster non può accogliere gente all'infinito.
- Infatti. Bisognerebbe prendere contatti con i fratelli olandesi e tedeschi. Münster può essere l'esempio. Abbiamo dimostrato che si può fare. Ma perché non Amsterdam, o Emden...?
Torniamo ai cavalli e ci rimettiamo in marcia per completare la perlustrazione.
Decido di dirglielo. Devo sapere su chi posso contare.
- Matthys è pericoloso, Heinrich. Potrebbe bruciare tutto quello che abbiamo fatto. Gli basterebbe un giorno.
L'ex mercenario mi guarda strano, qualcosa lo rode.
Di nuovo: - Non voglio che finisca cosí. Ho conosciuto Melchior Hofmann, anche lui aveva stabilito una data per la fine del mondo. Il giorno è trascorso, non è successo niente e la sua reputazione è volata via.
Cavalchiamo avanti agli altri, non possono sentire i nostri discorsi.
- Quell'uomo ha le palle, Gert: ha abolito il denaro e da che sono al mondo non avevo mai pensato che si potesse fare una cosa del genere. Invece lui l'ha fatta schioccando le dita...
- E mettendo a tacere chiunque apre la bocca.
- Parla chiaro. Cosa pensi di fare?
Devo dirglielo.
- Voglio fermarlo, Heinrich. Voglio impedirgli di diventare il nuovo vescovo di Münster, o di trascinarci tutti quanti in un'ecatombe di sangue. Devo essere io a farlo. Rothmann è malato, debole. Knipperdolling e Kibbenbrock non attaccherebbero mai l'autorità del profeta, se la fanno sotto.
Rimaniamo zitti, ad ascoltare gli zoccoli che pestano il terreno, lo sbuffare dei cavalli.
È lui a parlare di nuovo: - Non succederà proprio niente il giorno di Pasqua.
Forse è piú di una parola d'intesa.
- Proprio questo è il problema. Cosa ha intenzione di fare Matthys quel giorno. È un pazzo, Heinrich, un pazzo pericoloso.
Sembra incredibile: poco piú di un mese fa eravamo i padroni di Münster; oggi parliamo sottovoce, lontani dalle orecchie di tutti, come se il dubbio fosse un reato mortale.
- Ha dato un termine, e in vista di quel termine detiene l'autorità assoluta. Possiamo incastrarlo.
- Sputtanarlo davanti a tutti?
Deglutisco: - Oppure ucciderlo.
Le ossa si gelano appena le parole vengono pronunciate, come se l'inverno volesse suggellarle in una morsa ghiacciata.
Ancora pochi metri in silenzio. Sembra di avvertire il brusio confuso dei suoi pensieri.
Lo sguardo rimane piantato in fondo alla strada: - Sarebbe la guerra in città. Tutta quella gente venuta da fuori lo ama. I münsteriti, loro forse ti seguirebbero, ma ogni giorno che passa diventano sempre piú una minoranza.
- Hai ragione. Ma non si può restare a guardare, mentre quello per cui si è lottato va in fumo.
Di nuovo il rumore dei suoi pensieri.
- Chi ha provato a contestarlo ha lasciato il sangue sul selciato della piazza.
Annuisco: - Appunto. Non è per questo che hai usato le tue pistole contro i luterani e i vescovili.

***

La città sembra deserta. Silenzio, nessuno per le strade. Ci guardiamo preoccupati, come chi annusa nell'aria una sciagura consumata; ma non parliamo, lasciamo i cavalli e ci incamminiamo insieme, come attratti da un magnete verso il teatro centrale, la grande piazza della Cattedrale. A ogni passo sale l'ansia di una minaccia ignota, eppure nitida, presente, discesa sulla città a inghiottirla tutta. Dove sono finiti gli abitanti? Non c'è piú nessuno, non un cane pulcioso. Affrettiamo il passo all'unisono.
La nuvola biancastra sbuffa sopra la fila di costruzioni che delimita la strada stretta che porta alla piazza.
È piena.
Brusio di folla che si dispone tutta intorno al suo centro, lo ossequia rapita, dove campeggia la pira che sprizza lingue di fuoco. Osceno altare innalzato all'oblio, la parola di Dio scaccia quella degli uomini, vomita il suo trionfo sopra le nostre schiene, seppellisce il nostro sguardo sotto una coltre impenetrabile; il suo fiato alita sopra le nostre teste; il suo occhio ci scova implacabile, ci dà la caccia fin dove non potremmo nasconderci, dentro i nostri pensieri, dentro il desiderio di poter essere, un giorno, piú saggi. A uccidere ogni curiosità, e ogni ingegno.
Sale piano il fumo del rogo dei libri. A manciate raccolgono i volumi che vengono scaricati sul selciato dai carri, e li gettano nel falò; una colonna di fuoco alta fino a lambire il cielo; per richiamare gli angeli col fumo di Pietro Lombardo, Agostino, Tacito, Cesare, Aristotele...
Il Profeta, ritto in piedi sul palco, stringe in mano una Bibbia. Sono certo che mi vede. Sillabe che non superano il vociare esaltato della gente, né il crepitio del fuoco, ma sono pronunciate per me, da quelle labbra sottili.
- Vane parole d'uomini, non vedrete il giorno del tuono. La Parola, e soltanto essa, canterà il giudizio del Padre.
La catasta cresce e si consuma, si alza e incenerisce, scorgo una copia di Erasmo, a dimostrare che quel Dio non ha piú bisogno della nostra lingua, e non ci darà pace. Il vecchio mondo si consuma come pergamena nel fuoco...
Al mio fianco, il volto livido di Gresbeck, truce e forte: - Sarò con te.

Münster, un'ora dopo

È invecchiato. Seduto sul bordo del letto, l'aura dell'amabile predicatore scomparsa. Il volto scavato, ulcerato dal freddo. Ricurvo, abbandona per un attimo i pensieri, mi concede uno sguardo vacuo, torna a chinare la testa.
- Cosa dobbiamo fare?
Bernhard Rothmann si passa le mani sulla faccia, chiude gli occhi: - Non buttiamo via tutto. Non sta accadendo come l'avevamo pensato, ma sta accadendo.
- Che cosa, cosa sta succedendo?
Un sospiro: - Qualcosa mai avvenuto prima: l'abolizione del censo, la comunanza dei beni, il riscatto degli ultimi su questa terra...
- Il sangue di Ruecher.
Cupo, di nuovo le mani sul volto.
- Ha cancellato la speranza, Bernhard. Leggi nuove non ce la daranno indietro. Prima Dio combatteva al nostro fianco. Adesso è tornato a terrorizzarci.
Rothmann continua a fissare il vuoto, mormora: - Sto pregando, fratello Gert, sto pregando molto...
Lo lascio solo con l'angoscia che gli piega la schiena a sussurrare invocazioni che non troveranno ascolto.
Quello che devo fare.

***

Mi si para di fronte il sontuoso portale di palazzo Wördemann, fregiato di placche e bulbi di bronzo, incisioni raffinate nel legno secolare, fino alla sommità. È qui, nella dimora dell'uomo piú ricco della città, che il Profeta si è stabilito.
Appena dentro, quattro uomini armati: facce sconosciute, gente di fuori, olandesi probabilmente.
- Devo perquisirti, fratello.
Mi squadra, mi riconosce forse, ma ha ricevuto degli ordini.
Un'occhiata truce: - Sono il Capitano Gert dal Pozzo, che cazzo vuoi?
Intuisce: - Non posso lasciar salire nessuno, se prima non l'ho frugato.
L'altro guardiano annuisce, archibugio in spalla, faccia tonta. Rispondo in olandese: - Sai chi sono.
Alza le spalle imbarazzato: - Jan Matthys mi ha detto di non lasciar entrare nessuno armato. Che posso farci?
E va bene, lascio la pistola e la daga. Una seconda occhiata basta a scoraggiarlo, non osa toccarmi.
Mi accompagna su per le scale illuminando i gradini con la lanterna.
Quello che devo fare.
In cima alla seconda rampa, un corridoio, un'altra luce cattura lo sguardo, viene da una stanza laterale, la porta è aperta: è seduta, spazzola la chioma luminosa, quasi fino a terra. Il gesto ripetuto dall'alto al basso. Si volta: una bellezza terribile, l'innocenza nello sguardo.
- Muoviti -. La voce del guardiano.
- Divara. Non sapevo che l'avesse portata qui.
- E infatti non esiste. Non l'hai vista, è meglio per tutti:
Mi fa strada fino al salone. Un camino gigantesco contiene il fuoco che dà luce all'ambiente.
È seduto su uno scranno imponente, scomposto, lo sguardo puntato sulle fiamme che divorano il ceppo. L'olandese mi fa cenno di entrare, gira sui tacchi e torna indietro.
Soli. Quello che devo fare.
I miei passi risuonano come i rintocchi di una campana, lugubri, pesanti.
Mi fermo e cerco il volto, ma la sua mente è altrove, le ombre disegnano strane figure su quella faccia pallida.
- Ti stavo aspettando, fratello mio.
Gli attizzatoi campeggiano in fila sulla parete del camino, come picche da guerra.
Un candelabro massiccio, sul lungo tavolo di noce.
Il coltello che ha tagliato la carne della cena.
Le mie mani. Forti.
Quello che devo fare.
Si volta appena: uno sguardo senza determinazione, senza minaccia.
- I cuori impavidi amano il cuore della notte. È il momento in cui è piú difficile mentire, tutti siamo piú deboli, vulnerabili. E il rosso del sangue scompare insieme a tutti i colori.
Accavalla la gamba sul bracciolo e la lascia penzolare inerte. - Ci sono fardelli che non è facile portare. Scelte difficili, che la rozza mente degli uomini non può afferrare. Ci sforziamo, lottiamo ogni giorno, per capire. E chiediamo a Dio di darci un segno, un cenno d'assenso per le nostre meschine azioni. Questo chiediamo. Vorremmo essere presi per mano e guidati in questa notte oscura, fino alla luce del giorno che verrà. Vogliamo sapere di non essere soli, di non sbagliare mentre alziamo il coltello su Isacco. E cosí aspettiamo di vedere l'angelo che venga a fermare la nostra lama e ci rassicuri sul bene di Dio. Vorremmo davvero che ci venisse confermata l'inutilità dei nostri gesti, che fosse soltanto una pantomima ridicola, senz'altro scopo che quello di provare il nostro assoluto abbandono alla volontà del Signore. Ma non è cosí. Dio non ci mette alla prova per trastullarsi con queste misere creature forgiate dal fango, per saggiarne la devozione, no. Dio ci fa suoi testimoni, vuole che sacrifichiamo noi stessi, il nostro orgoglio mortale che ci fa amare l'essere amati, osannati, innalzati come profeti, santi. Capitani. Il Signore non sa che farsene della nostra buona fede. Della nostra bontà. E ci trasforma in omicidi, figli di puttana senza scrupoli, cosiccome converte gli omicidi e i lenoni alla sua causa.
La voce di Matthys è un mormorio che sale fino al soffitto, a toccare la testa delle nostre ombre allungate. È la voce di una malattia mortale, di una cancrena profonda: c'è qualcosa di agghiacciante in quelle parole, in quel corpo che ora pare sfinito, qualcosa che mette i brividi a pochi passi dal fuoco. È come se sapesse per che cosa sono venuto. Come se uno specchio rimandasse l'immagine di quello che ho dentro.
- A volte il peso di quella scelta non è piú sopportabile. E si ha voglia di morire, di tapparsi le orecchie e disertare Dio. Perché il Regno, Gert, quello che sogniamo fin da quando eravamo in Olanda, ricordi?, il Regno di Dio, è un gioiello che puoi conquistare soltanto se ti sporchi le mani di fango, di merda e di sangue. E sei tu che devi farlo, non un altro, sarebbe facile, no, tu. Recitare la tua parte nel piano -. Sorride storto agli spettri. - Una volta un uomo mi salvò la vita. Saltò fuori da un pozzo e affrontò da solo quelli che volevano farmi la pelle. Quando affidai a quell'uomo una missione, venire qui, a Münster, e preparare l'avvento del Regno, sapevo che non avrebbe fallito. Perché questo era il suo ruolo nel piano. Come il mio è tenere il trono del Padre fino al giorno prestabilito.
Quello che devo fare.
L'attizzatoio.
Il candelabro.
Il coltello.
- Qual è il giorno, Jan?
Ho parlato, ma era un'altra voce, il pensiero si è composto dentro di me ed è uscito senza bisogno delle labbra. Era la voce della mia mente.
No, si volta, senza esitare: - Pasqua. Quello è il giorno -. Annuisce a se stesso. - E fino ad allora, Gert, fratello mio, affido a te la difesa di questa nostra città dalle schiere delle tenebre che si stanno radunando là fuori. Fai ancora questo. Proteggi il popolo di Dio dall'ultimo sussulto del vecchio mondo.
Sí, lo sai cosa sono venuto a fare. L'hai saputo appena sono entrato.
Ci fissiamo a lungo, la promessa negli occhi: sei un profeta a termine, Jan di Haarlem.

Münster, 6 marzo 1534

Butta male. Ruecher, il fabbro, inchiavardato a una grande ruota di carro da pesanti catene, probabilmente da lui stesso forgiate, è circondato da quattro guardie improvvisate, come tutto il resto in questi giorni, e attende.
La popolazione, insieme ai nuovi arrivati che aumentano ogni giorno, è chiamata a radunarsi nell'ora seconda, dal sommo Profeta: adirato, deluso, mesto, imbestialito dal comportamento dei santi suoi sudditi.
Ruecher, il fabbro, questo grandissimo pezzo di merda, ha osato proferire pesanti commenti di biasimo verso l'esito di tre giorni di meditazione, totale abbandono, discesa piena della luce dell'Altissimo dentro il corpo terreno del Grande Matthys, che avevano prodotto importanti decisioni.
Che cazzo, ha detto il fabbro dando voce a ciò che molti pensavano, va bene tutto, l'abolizione di ogni proprietà, la piena comunanza di tutto ciò che è disponibile, ricchezza di nessuno e per tutti, certo, l'avevamo pensato noi, e prima anche, il fondo per i poveri, sacrosanto, regole nuove, ma cazzo, nominare sette diaconi per l'amministrazione e la distribuzione di ogni risorsa, per la soluzione di ogni conflitto o bisogno, senza che uno, neanche uno, fosse nato e vissuto in quella che era Münster, nemmeno uno, tutti olandesi, tutti discepoli suoi, e cazzo no, ha detto, abbiamo rischiato la vita per le libertà municipali, c'è mancato poco che le nostre teste fregiassero i merli delle mura, porca puttana, e poi arriva uno, sí un grande profeta, illuminato dalla parola santa certo, ma cazzo non uno, tutti olandesi, e poi manco c'era quando abbiamo preso la città, come cazzo funziona, uno arriva, trova tutto pronto e comanda, comanda e mette i suoi a dare ordini, comanda e noi ricominciamo subito a prenderlo nel culo.
Arrestato, subito.
Hubert Ruecher. Fabbroferraio. Münsterita. Battista. Eroe delle barricate del 9 febbraio. Hubert Ruecher. Figlio della causa. Forgiatore di proiettili. Combattente per la liberazione di Münster dalla tirannia del vescovo.
Hubert Ruecher trascinato in catene alla piazza del Mercato: un traditore, un infame, che ha sollevato un dubbio, ha parlato contro, ha detto che Matthys ha pregato tre giorni per poi nominare diaconi i suoi fedelissimi. La comunione di tutti i beni, d'accordo: raccoglierli in quei grandi magazzini, uno per ogni quartiere, e distribuirli a chi ne ha bisogno, sí, ma perché metterne a capo sette olandesi? Perché? Perché escludere i münsteriti? Una cazzata, Jan, una cazzata imperdonabile. Hai forse paura? E di che cosa? Di chi? Siamo tutti santi, l'hai detto tu, siamo stati scelti, siamo fratelli. Pensi che accentrando tutto il potere nelle tue mani, non farai sorgere il dubbio in qualcuno? Qualcuno che ha combattuto per liberare la sua città e adesso, dopo la scelta di quei sette olandesi, può pensare di averlo fatto per niente, per non riuscire ancora a essere padrone di scegliere in casa propria.
Qualcuno come Hubert Ruecher.
Ti hanno riferito tutto - hai forse sguinzagliato delle spie per la città? - hai mandato i tuoi sgherri a prelevarlo con la forza. In catene, adesso, schiumante di rabbia: monito per tutti. Sei impazzito, Jan, non è per questo che hanno lottato.
Ti vedo, mentre esci imponente sul palco, occhi di ghiaccio e barba piú appuntita che mai.
Ti vedo, mentre parli della mancanza di fede, agitando il ventilabro.
Ti vedo.
- Il Signore è adirato, perché qualcuno ha sollevato il dubbio sul compito del Suo profeta.
Ha combattuto con me, quell'uomo, ha ubbidito ai miei ordini, e ora so che se n'è pentito, che forse odia ciò che ha fatto, vorrei trovare il suo sguardo, per capire: ma è meglio di no, forse. Se ne sta lí, ritto e paralizzato dalle catene, ad aspettare che Dio suggerisca a Jan Matthys il Profeta come comportarsi.
- Il tempo è finito. La scelta è compiuta. Chi abbandona la bandiera del Signore rivela d'essere sempre stato indeciso, d'aver seguito gli altri senza avere in realtà ricevuto la chiamata interiore alle armi sante: è un nemico. E oggi insinua l'incertezza tra le fila dei santi per minare la nostra vittoria. Ma essa è inevitabile, perché ci guida il Signore;
Sei un pazzo, pazzo fornaio cialtrone, e sono un pazzo anch'io, perché sí, sono stato io a darti tutto questo.
- Se non toglieremo subito di mezzo il peccatore dal popolo dei santi, l'ira del Signore cadrà su tutti.
Spada in mano, gira intorno a Ruecher, volto paonazzo e atterrito.
Il leguleio von der Wieck, insieme ad altri tre notabili, obietta che a Münster nessuno è mai stato giustiziato senza un regolare processo, ci vogliono dei testimoni, un avvocato...
Matthys in silenzio gira, gira, soppesa quelle parole, continua a girare, la tensione sale fin sopra le teste, lo raggiunge. Si ferma.
- Regolare processo. Testimoni, un avvocato. Fatevi avanti, dunque.
Sguardi titubanti che si incrociano, con passi incerti raggiungono il palco.
Che cazzo fai, Jan? Mi rendo conto di aver impugnato la pistola. Poche teste piú in là, Gresbeck mi guarda, faccia dura, impassibile, la cicatrice che vibra sul sopracciglio, l'unico segno di nervosismo.
Stai attento, Jan, questi uomini hanno imparato a combattere.
- Oggi testimoniate del piú grande degli eventi. Testimoniate la nascita di Gerusalemme: Münster non esiste piú, nella città di Dio è la Sua parola a essere l'unica legge. Ed egli parla e agisce per mano del Suo profeta. Voi siete i testimoni.
La lama rotea in alto e scende fino alla gola di Ruecher, a reciderla d'un colpo.
Sgomento.
Von der Wieck, investito dal fiotto di sangue, è annichilito al centro della piazza, Knipperdolling e Kibbenbrock guardano per terra, Rothmann muove le labbra in preghiera, Gresbeck immobile.
Un silenzio che gela le ossa piú del freddo invernale, rotto solo da sommesse invocazioni della volontà di Dio: qualcuno si inginocchia.
Bockelson cattura la scena: - Quale immenso privilegio offrire il sangue che purifica il popolo dei santi dall'onta del dubbio! - Imbraccia un archibugio, si fa avanti, accarezza la faccia di von der Wieck per raccogliere il sangue di Ruecher. Se lo spalma sul viso: - A questo bastardo. A questo verme immondo è toccato il piú alto degli onori. Perché!? Perché lui!?
Spara nel petto del cadavere a bruciapelo, intinge le mani nelle ferite e benedice la folla con ampi schizzi: - Vi benedico in sangue e spirito, fratelli miei santissimi!
Nessuno si muove.
Matthys allarga le braccia a raccoglierci tutti: - Gregge di Dio, una grande lezione ci è stata data dal Padre. Egli ha svelato l'impurità, ha scavato a fondo la brama del privilegio e del possesso che ancora serpeggiava tra di noi, e ce ne ha mondati. Ancora qualcuno pensava che lo spirito potesse essere racchiuso nei meschini privilegi municipali d'una città. No. La Nuova Gerusalemme è oggi un faro per tutto il popolo dei santi, che da ogni dove giunge qui a condividere la gloria dell'Altissimo. Noi non combattiamo per il privilegio di pochi, ma per il Regno di Dio. E in verità ecco il meraviglioso annuncio: io vi dico che la Pasqua di quest'anno saluterà un cielo e una terra nuovi, e sarà l'inizio del Regno dei santi. Il Padre giungerà e spazzerà via ogni palmo di terra oltre queste mura. Nel breve tempo che resta, non io, non sarò io colui che guarderà il gregge dalle tentazioni del vecchio mondo. Il Padre dice che va bene, che chi è stato nominato dagli uomini per questo compito lo adempie anche in Suo nome, - porge la spada a Knipperdolling. - Non esitare, fratello, è la volontà del Padre.
Il borgomastro la prende impacciato, incredulo, poi cerca aiuto nel volto di Matthys, che non gli dà scampo: - Siamo soltanto il Suo strumento.
Il Profeta intona il salmo e piano piano tutti gli vanno dietro...

Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
Tornino gli empi negli inferi,
tutti coloro che dimenticano Dio.
Perché il giusto non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
Sorgi Signore, davanti a te siano giudicate le genti.

***

Colpi alla porta. Non mi muovo. Sono stanco, al buio. Colpi secchi, ripetuti.
- Gert, apri. Apri questa cazzo di porta.
Altri colpi. Mi alzo, lento. Non se ne andrà.
Apro.
Avvolto tutto da una pesante cappa scura, da viaggio, Redeker mi sta di fronte.
Se ne sta andando.
Sprofondo sulla poltrona con la testa di lato. Come appena prima che entrasse. Come nelle ultime tre ore. Cosa devo dirti adesso? Il cervello non risponde. Un sussurro senza convinzione: - Non pensavo che andasse a finire cosí.
- Cosa pensavi? Che cazzo dici, lo avete portato voi.
Balbetto qualcosa. La rabbia di Redeker mi affetta le parole.
- Ho creduto nel vostro Dio, Gert, perché saliva sulle barricate e si sbronzava nelle osterie, saccheggiava le chiese e spaventava i cavalieri. Ci credo ancora, se vuoi saperlo. Sai per caso da che parte è andato, mentre usciva di qua!?
L'eco delle frasi rimbalzate in testa fin dall'arrivo di Jan di Haarlem.
- Matthys è uno stronzo, Gert. I giudici, gli sbirri, il boia sono i nemici peggiori dei poveracci che hanno combattuto con noi. Quel figlio di cane parla del Dio della feccia. Ma chi è il suo Dio? Ancora un giudice, uno sbirro, un boia.
Tre ore fa, in piazza, la pistola stretta in mano. Inghiottivo saliva e aria. Aspettavo.
Erano gli altri ad aspettare. Me.
- Quel pazzo fottuto ha rovinato tutto. Mi ha gelato il sangue.
- E perché stai fermo? Perché non lo fai fuori, 'sto figlio di puttana? Fallo adesso, Gert, mettiglielo nel culo, dal Pozzo! Voi siete i santi, ricorda, io il ladro. Ho preso il mio. Quando esco di qua vado via.
Stringo il pugno, le unghie piantate nel palmo. Non ho risposta.
Fioco lume su un uomo che non pare di queste terre, rapace piccolo e nervoso, ai piedi, unica protuberanza, calzari solidi, lerci e veloci. Intuisco il gonfiore delle pistole e della bisaccia piccola, gonfia, crespo pelo corto sopra la strana barba, rada, curata cornice fino al pizzo, affilata lama nera che guarda a terra, i baffi sottili a disegnare l'arco di congiunzione al mento, bizzarra geometria di meticcio, uno spigolo tagliente che è meglio non incontrare nelle notti incerte di queste lande.

Münster, 27 febbraio 1534

Sono gelide le fiamme dell'inferno? Si attende seminudi, affamati, uno dietro l'altro, muti, l'ora di essere scagliati dal Cerbero attraverso la porta nel ghiaccio eterno dell'empietà?
L'aia deve essere spazzata.
Quale infamia, che non possa essere mondata, marchia questi fanciulli in lacrime, avvinghiati a madri disonorate, a vecchi terrorizzati che pisciano dentro i propri stracci? Chi spiegherà loro perché furono scacciati dall'Eden?
Testa su testa, ha sentenziato Enoch. Teste impilate sulle torri, sulle mura a fregiare i merli, ammonticchiate, ordinate, disposte ben visibili al vescovo e al viandante, alla suora e al soldato, al pio e al ladro, e piú di tutti all'armata delle tenebre che presto assedierà la Nuova Gerusalemme, ha ordinato il profeta.
Cosicché sembra clemenza questo «Andatevene, senzadio! E non tornate mai piú, nemici del Padre!», gridato da Matthys sotto la tormenta.
Striscia via piano sul manto bianco di neve l'esodo dei vecchi credenti. Nudi. Occhi a terra, a contare i passi che rimangono prima di finire congelati. Qualcuno forse può sperare di raggiungere Telgte, o Anmarsch. Nessuno può farcela, forse gli adulti piú forti, da soli, ma non lasceranno indietro le mogli, i figli, i genitori.

- Non c'è niente da aspettare. Adesso il Padre vuole fare giustizia.
- Cosa intendi dire?
- Devono morire -. Quasi sereno mentre lo dice, serafico, lo sguardo fisso.

Scivolano. Piangono. Reggono pance gravide. Papisti, luterani: il vecchio mondo sepolto dalla bufera evocata da Jan Matthys. Ci puoi leggere il segno: la volontà di Dio.
- È scritto, non c'è altro da sapere, è questo che intendi!? Sono dannati, devono morire. Vuoi tagliare la testa a tutti quanti!?
- Questo è il luogo prescelto. Questa è la Nuova Gerusalemme: non c'è posto per i non rigenerati. Possono ancora scegliere, convertirsi. Ma il tempo è giunto agli ultimi rintocchi. Che facciano presto.
- E se non lo fanno?
- Saranno spazzati via insieme a tutto ciò che è decrepito.
- Allora mandali via. Lascia almeno che se ne vadano, che raggiungano il loro fottuto vescovo, o i loro maledetti amici luterani.

Si consuma la resa dei conti ai nostri occhi. Abbiamo vinto, dunque. Ma dov'è la gioia impronunciabile, il riso vitale, il desiderio di unire i corpi, tutti i corpi delle comuni donne e degli uomini nell'abbandono dell'abbraccio e nel calore della luce?
Il nostro compito è esaurito: il tempo è finito, l'Onnipotente Dio penserà a tutto il resto. L'Apocalisse, la Rivelazione, giunge dall'alto, ci cattura in una pantomima tragica e terribile a cui non è possibile sottrarsi, a meno di non voler rinunciare a tutto ciò per cui si è lottato, perdendo il senso stesso del nostro stare qui, a sfidare il mondo.
Abbiamo vinto? Perché questo sapore acre mi invade la bocca? Perché evito come la peste lo sguardo dei fratelli?
«Che sia di monito, monito per tutti».
Mi appaiono oscene le invettive dei piú esagitati. Crudeli gli sputi e i calci agli sconfitti. Non sono piú i nemici del popolo di Münster, non coloro che ci hanno vessato per secoli, non sono piú uomini, donne, bambini, ma creature deformi, mostruose, ributtanti. Solo la loro estinzione può darci la vita, confermare la parola di Dio sul destino che ci aspetta.
Sono forse io lo sconfitto di ogni tempo, di ogni battaglia? Il Santo Giullare di Leida percorre quella fila toccando appena le teste con un piccolo bastone. La conta si ferma su un ragazzino, lo sguardo di Jan è al cielo.
- Perché? Perché un innocente? - Cade in ginocchio piangendo. - Costui non ha colpe! L'angelo della luce volteggia su di lui! - Si percuote il petto, strilla piú forte, singhiozza. - Perché!?
Il piccolo affonda il viso nel grembo della madre. Lei attinge al fondo della disperazione, piega le ginocchia, lo abbraccia e lo solleva al petto tra le lacrime. Poi in un gesto definitivo, la donna lo discosta da sé e dalla propria fine, e implora: - Salvalo. Tienilo con te.
L'apostolo di Matthys si risolleva, si tocca la barba e rivolto all'angelo annuncia: - Il Padre separa il grano dalla pula, - poi abbassa lo sguardo sul ragazzo: - Da oggi tu sarai Seariasúb, «il resto che ritorna», colui che si converte e cosí sfugge al castigo. Vieni.
Lo prende con sé, mentre la porta già risucchia l'esodo dei dannati.
La bufera mi oscura la vista come il piú cupo dei presagi.
Il Carnevale è finito.

Münster, 24 febbraio 1534

La marea è montata fino a questo giorno cruciale. Ieri Redeker ha arringato i popolani sulla piazza del Municipio: come risultato ventiquattro di loro sono stati eletti al Consiglio. Maniscalchi, tessitori, falegnami, operai, perfino un fornaio e un ciabattino. I nuovi rappresentanti della città coprono tutto l'arco dei mestieri minori, la feccia cui mai si poteva immaginare fossero assegnate le sorti di questo mondo.
La notte è trascorsa in festeggiamenti e danze carnevalesche, e questa mattina sono state sbrigate le ultime formalità: Knipperdolling e Kibbenbrock sono i nuovi borgomastri. Il Carnevale può avere inizio.
Cominciano i mendicanti di Münster, che entrano nella Cattedrale e da buoni ultimi si prendono un anticipo su quello che dovrebbe spettargli nel regno dei cieli: spariscono gli ori, i candelabri, i broccati delle statue e l'obolo per i poveri passa direttamente nelle mani degli interessati, senza che i preti possano farci la cresta. Quando Bernhard Mumme, filatore e cardatore, si trova di fronte all'orologio che per anni ha scandito il tempo della sua fatica, ascia in mano, non ci pensa due volte a far saltare quei marchingegni infernali. Intanto i suoi colleghi cagano nella biblioteca capitolare, lasciano ricordi maleodoranti nei libroni liturgici del vescovo, le pale d'altare vengono tirate giú e, affinché possano servire da stimolo agli stitici, con esse viene edificata una latrina pubblica sull'Aa. Il battistero viene giú a suon di mazzate, insieme all'organo a canne. Ci si dà alla gozzoviglia sfrenata sotto le volte, un banchetto è allestito sull'altare, finalmente si mangia in quantità, finalmente si scopa, contro le colonne della navata, per terra, lo spirito liberato d'ogni fardello, tutti a pisciare sulle pietre tombali dei signori di Münster, su quei nobilissimi scheletri che giacciono lí sotto il pavimento. E dopo aver dato concime a volontà a quelle salme aristocratiche, tutti a lavarsi il culo nelle acquasantiere.
Piangete, santi, strappatevi la barba, il vostro culto è finito. Piangete, signori di Münster, voi che con la devozione dell'oro circondate il presepe di Cristo: la vostra epoca è tramontata. Niente di tutto ciò che per secoli ha rappresentato il potere nefando dei preti e dei signori deve rimanere in piedi.
Le altre chiese subiscono lo stesso genere di visite, frotte di poveracci carichi di bottino si aggirano per le strade, regalano i paramenti da messa alle puttane, danno fuoco ai documenti di proprietà asportati dalle parrocchie.
Tutta la città è in festa, le processioni carnevalesche percorrono le vie sui carri. Tile Bussenschute vestito da frate attaccato a un aratro. La puttana piú famosa di Münster portata intorno al cimitero di Überwasser con l'accompagnamento di salmi, sventolio di vessilli sacri e suono di campane.

***

- Siete voi Gert Boekbinder? - Un assenso distratto. - Mi manda Jan Matthys. Vi informa che sarà in città prima del calar del sole.
Stacco gli occhi dal palco. Un volto giovane.
- Eh?
- Jan Matthys. Non siete uno dei suoi apostoli?
Cerco negli occhi il luccicare dello scherzo, invano: - Quando hai detto che arriverà?
- Prima di sera. Abbiamo dormito a trenta miglia da qui. Io sono partito di buon mattino.
Lo afferro per la spalla: - Andiamo.
Ci facciamo strada a bracciate tra la folla. Lo spettacolo ha richiamato molta gente: è di scena il miglior imitatore di von Waldeck in tutta Münster. Ogni piazza ha la sua attrazione quest'oggi: musica e danze, birra e porchetta, giochi di abilità, mondi alla rovescia, rappresentazioni bibliche.
Il mio giovane amico si lascia distrarre da un paio di tette esibite con disinvoltura all'angolo della via.
- Vieni, forza. Ti faccio conoscere un altro degli apostoli.
C'è bisogno di lui adesso. Bockelson è l'unico che possa improvvisare qualcosa in un momento simile. Se non ricordo male sta recitando davanti alla chiesa di San Pietro.
Un corteo di Carnevale ci viene incontro e ci schiaccia contro i muri delle case. Lo aprono tre uomini con in groppa un piccolo somarello. Dietro fatica un carro, tirato da una decina di re. Al centro ha un alberello con le radici in alto, in una tinozza un uomo nudo si sporca di fango. Nell'angolo il Papa prega con fare raccolto.
- Muoia Sansone, con tutti i Filistei!
La voce di Jan ci raggiunge in lontananza, dà il meglio di sé: par di sentirla vibrare nello sforzo sovrumano di demolire le colonne del tempio di Tiro. L'entusiasmo degli spettatori non è da meno.
Salgo sul palco al fianco del Santo Pappone e lo scrosciare degli applausi si arresta quasi di colpo. Un senso di attesa, un ribollire di voci che si fanno sommesse.
In un orecchio: - Matthys sarà qui prima del tramonto. Che si fa?
- Matthys? - Jan di Leida non sa parlare sottovoce. Il nome del Profeta di Haarlem è un masso nello stagno vociante sotto di noi. I cerchi si allargano veloci.
- Stasera doveva essere il banchetto di festeggiamento a spese dei consiglieri, la distribuzione delle pellicce e tutto il resto... - Una carezza sulla barba: - Tranquillo, amico Gert, ci penso io. Vai pure ad avvisare gli altri, se non l'hai già fatto. Knipperdolling sarà entusiasta di conoscere il grande Jan Matthys.
Annuisco, ancora indeciso. Lasciandogli il palco, quasi una supplica: - Jan, mi raccomando, niente cazzate...

Verso sera si alza un vento da metter freddo ai lupi. Le folate sono cariche di un nevischio gelido e tagliente. Le strade si imbiancano.
La voce dell'arrivo di Matthys ha raggiunto ogni orecchio della città. Attorno alla Aegiditor, lungo la via che porta alla Cattedrale, qualcuno ha già preso posto da tempo. Le torce si accendono man mano che la luce si dilegua.
- Eccolo, è lui! Ecco Enoch!
Kibbenbrock e metà del Consiglio da una parte, Knipperdolling e l'altra metà dall'altra, spingono dall'esterno i pesanti battenti. Il cigolare dei cardini è un segnale. I colli si allungano verso la porta. La poca luce rimasta di questo giorno filtra prima come una lama, poi lentamente si spande a riempire l'intera arcata.
Jan Matthys è un'ombra scura, dritta, il bastone in mano. Avanza a passi lenti, senza uno sguardo per la folla. I due nuovi borgomastri, insieme a tutto il Consiglio, si incamminano dietro di lui, a breve distanza, le torce alte sopra la testa. Un canto sommesso li accompagna.
Guardo meglio: nella neve che continua a posarsi sul selciato in fiocchi sempre piú larghi, i piedi del Profeta Fornaio sono scalzi, nudi. In mano non regge un semplice bastone, ma un ventilabro: la pala usata dai contadini per separare il grano dalle scorie.
Mentre Matthys avanza i due orli infuocati della strada si chiudono dietro di lui e il corteo s'ingrossa. Jan di Haarlem si blocca, afferra il ventilabro con le due mani, lo punta al cielo. I canti si arrestano di colpo.
- Dio sta per spazzare la sua aia! - grida, all'inizio da solo, poi accompagnato dal tuono di centinaia di voci. La lunga pala solleva la neve con bracciate rabbiose.
- Dio sta per spazzare la sua ala!
Gli fa eco la voce della folla, che informa quelli appena arrivati: - Il profeta, il profeta è qui.
- È arrivato!
- Jan Matthys, il grande Jan Matthys è a Münster!
Si spinge, ci si accalca verso la piazza centrale. Tutti vogliono vedere il messaggero di Dio, alto, scarnito, nero, ispido, scalzo.
Eccolo lí.
Ecco Enoch.
Si ferma, forse l'accenno di un sorriso, forse.
Bockelson gli si para davanti con le braccia aperte: - Maestro. Fratello. Padre. Madre. Amico. Un angelo mi ha detto che saresti giunto oggi. L'angelo che ho visto entrare al tuo fianco e che ora ti volteggia sulla testa. Oggi, non ieri, non domani. Oggi che la vittoria è nostra e i nemici sono battuti. Angelo di Dio. Quanto ti amo.
Matthys gli si fa incontro e gli sferra un pugno alla guancia che lo ribalta. Gelo su tutti. Si rialza. Sorride. I due Jan si abbracciano stretti come per stritolarsi, restano cosí in quella doppia presa, dondolando a lungo. Bockelson piange di gioia.
Mi avvicino, cerco lo sguardo: - Benvenuto a Münster, fratello Jan.
Abbraccia anche me, fortissimo, toglie il fiato. Lo sento mormorare commosso: - I miei apostoli, i miei figli...
Gli occhi sono torce nere, gli stessi che mille mesi fa mi hanno affidato una missione. C'è qualcosa, un disagio strano: mi rendo conto soltanto adesso di non aver piú pensato a Matthys da quando siamo giunti qui. Gli eventi mi hanno travolto. La lotta e il pericolo che questa gente ha vissuto gli sono estranei. Da soli abbiamo fatto tutto quanto, ma adesso è qui e ricordo che in nome suo siamo venuti, con la sua parola sulla bocca. Münster ci ha risucchiato le energie, ci ha fatto combattere, impugnare le armi, rischiare la vita. Come posso spiegartelo, Jan, come? Tu non c'eri.
Resto zitto. Lo guardo salire sul palco degli spettacoli, eretto a ridosso della Cattedrale. Le fiaccole disegnano la sua ombra allungata sulla facciata della chiesa, un demone danzante che fa sberleffi all'adunata. La neve taglia la luce, vortica sopra le teste: un brivido ghiacciato nel corpo.
Altissimo e magro come non lo ricordavo, passa in rassegna i volti, quasi a volerne ricordare i tratti, uno per uno, i nomi.
È sceso un silenzio irreale. Gli sguardi per lui, da sotto le fiaccole, il respiro di centinaia di uomini e donne, sospeso sulla piazza, insieme alle vite.
La voce è un gorgoglio profondo, che sembra uscire da un anfratto della terra.
- Non me. Non me, Non me tu adori, genía festante di prescelti. Non me. Il fuoco di questa notte arde sugli altari, corrode le statue, brucia all'inferno con tutto ciò che era. E non sarà mai piú. Il vecchio mondo si consuma come pergamena nel fuoco. Il mondo, il cielo, la terra, la notte. Il tempo. Non sarà mai piú. Non me, innalzi alla gloria dell'eternità. Non me. La parola non conosce il passato, il futuro, il Verbo è soltanto l'adesso. È carne viva. Tutto ciò che sapevi, la conoscenza, il marcio buon senso del mondo che era. Tutto. È cenere. Non me conduci alla vittoria. Non me consegni a questo giorno di gloria. Non me difendi col pugno serrato contro il tuo nemico. Non sono io il capitano di questa guerra. Non questa bocca, queste ossa corrose dalla passione. No. Il tuo Signore. Colui che da sempre ti hanno costretto ad adorare nelle chiese, sugli altari, prono davanti alle statue. È qui. Dio è questo sangue, queste facce, questa notte. La Sua gloria non è di un giorno, non dura la festa d'una stagione, ma vuole eternità. La prende col ferro, stritola, sprofonda, schiaccia. Là fuori, oltre quelle mura, il mondo è già finito. Ho attraversato il nulla per arrivare fino qui. E i campi sprofondavano dietro i passi, i fiumi si prosciugavano, gli alberi cadevano e la neve scendeva come una pioggia di fuoco. E di sangue. Un mare scorreva dietro. Un oceano montante, un'onda d'ira. Quattro cavalieri galoppavano al mio fianco, facce di morte, pestilenza, carestia, guerra. Città, castelli, villaggi, montagne. Non resta piú niente. Dio si è fermato soltanto davanti a queste mura, per chiederti l'anima, il braccio e la vita. E ora ti annuncia che la Scrittura è morta e che sulle tue carni inciderà la nuova parola, scriverà l'ultimo testamento del mondo e lo deflagrerà nel fuoco. Tu, Babilonia di fango e meretricio. Tu, ultima sulla terra. Tu sei la prima. Tutto comincia da qui. Da queste torri. Da questa piazza. Dimentica il tuo nome, la tua gente, i tuoi empi mercanti, i tuoi preti idolatri. Dimentica. Poiché il passato è dei morti. Oggi hai un nome nuovo e quel nome è Gerusalemme. Oggi sei guidata in battaglia da Colui che ti chiama. Per tua mano la Sua mannaia edificherà il Regno, passo dopo passo, mattone su mattone, testa su testa. Fino al cielo. Feccia degli umili, dei calpestati di un'era remota, combatterai senza temere alcun male, milizia di Dio del regno che viene. Poiché il tuo capitano è il Signore.

Tremo. L'istante è immobile. Sospesi nel tempo, la notte cancella il mondo oltre la piazza, piú niente, soltanto noi, qui, riuniti in un solo respiro. Compatta, nel terrore delle parole, l'armata della Luce. I suoi occhi percorrono le fila, arruolandoci uno dopo l'altro. Timore e orgoglio, e ancora certezza, perché nient'altro può scacciare la paura di quelle parole. Essere all'altezza del compito.
Tremo. Volevamo la città. Ci ha messo davanti il Regno. Volevamo il Carnevale della libertà. Ci ha regalato l'Apocalisse.
Dio mio, Jan. Dio mio...

Münster, Carnevale 1534

Il pisciatoio della guerra è la cantina.
Se è il sangue degli uomini a irrorarne il corpo marcio, certamente l'urina che ne inonda il campo è la birra.
Birra che gonfia lo stomaco dei maschi guerrieri, ne attutisce la paura prima dello scontro, ne esalta l'ebbrezza dopo la vittoria. Piscio che arricchisce smisuratamente i custodi della latrina. Non meno importante del sangue e del coraggio profusi per decidere le sorti di una battaglia.
Piscia sul tuo nemico prima di colpirlo, potrebbe risvegliarsi, placare la sua ira, diradare quella nebbia che avvolge la brama di sangue. Potrebbe considerare assurda la sorte che sta per infliggere, o toccargli. E ritirarsi.
Sono arrivati incazzati neri, se ne sono andati ubriachi fradici.
Venti barili di birra, la riserva della cantina municipale. L'omaggio della cittadinanza di Münster ai fratelli del contado, con tanto di delegazione in pompa magna a riceverli sulla Judefeldertor.
L'astio ottuso dei tremila contadini si è sciolto insieme alla schiuma.
L'ulteriore pericolo scampato trasforma i festeggiamenti in un baccanale, ricco di momenti grotteschi.
Accorre alla piazza del Mercato un gruppo di donne scapigliate, mezzo svestite, o addirittura nude. Si abbattono a terra in posa di crocefisse, si rotolano nel fango, piangono, ridono e si percuotono il petto invocando il Padre celeste.
Vedono sangue grondare dal cielo.
Vedono fuochi neri.
Vedono un uomo incoronato d'oro su un cavallo bianco che impugna la spada destinata agli empi galoppare nel cielo.
Chiamano a gran voce il re di Sion, ma l'unico che potrebbe soddisfarle con la sua presenza di scena è a sbronzarsi in qualche taverna.
La gente ride e si diverte, lasciandosi coinvolgere come per una messinscena di Jan il leidano. Ma non il maniscalco Adrianson, stufo delle urla isteriche, che impugna l'archibugio e abbatte con un colpo la banderuola dal tetto di una casa. Rovina giú con un clangore terrificante. La scena si blocca all'istante. Le donne si riprendono come risvegliate da un incubo. Adrianson raccoglie gli applausi dei presenti.
Nei giorni successivi si fa ormai sempre piú chiaro che von Waldeck non riuscirà a tornare in città.
Molti cattolici fanno i bagagli.
Il rapporto di forza è tutto a nostro favore, nemmeno i luterani possono piú osteggiarci: il borgomastro Tilbeck, da buon opportunista, si è perfino fatto battezzare da Rothmann, forse sperando di essere rieletto. Judefeldt ci ha ricevuti in Municipio e non ha potuto che prendere atto della nostra decisione di far votare tutti i capifamiglia alle prossime elezioni, senza alcuna distinzione di censo. Il piatto per lui era indigesto, ma un rifiuto da parte sua lo sarebbe stato di piú, la cittadinanza è tutta per noi. Knipperdolling e Kibbenbrock si sono candidati.
Ormai è chiaro che i ricchi mercanti non avranno piú in pugno la città.
Molti luterani fanno i bagagli.
Raccolgono gli ori, il denaro, i gioielli, l'argenteria di casa, perfino i prosciutti piú prelibati. Ma c'è da superare l'ispezione del cappellaio Sündermann, instancabile sentinella della piazza del Mercato nei giorni della nostra vittoria. Wördemann il Ricco, bloccato sulla Frauentor, pistola alla testa è costretto a cagar fuori i quattro anelli che si è infilati nel culo, mentre la bella signora subisce un indecoroso palpamento e i suoi servitori non riescono a trattenere le risate.
Le proteste muliebri spingono a rimuovere Sündermann dall'incarico: chi vuole andarsene può farlo liberamente. Ed è proprio questa l'idea del nobile Johann von der Recke, senonché la moglie e la figlia sono del parere che chi vuole restare possa farlo altrettanto liberamente e volano tra le braccia dell'amabile Rothmann, che le accoglie in casa sua. Quando va a prelevarle il vecchio coglione prende solo insulti: scopre di non essere piú né padre né marito, di non poter piú usare il bastone sulle sue donne di casa, né dettare legge a proprio piacimento e che anzi, è meglio per lui se si dimentica d'aver avuto una moglie e una figlia e se ne va a fare in culo il piú lontano possibile. Mentre lascia la città la voce della sua figuraccia s'è già sparsa tra la popolazione femminile di Münster: von der Recke scappa sotto una gragnuola di oggetti d'ogni tipo.

***

Adrianson scassina la serratura con gli arnesi del mestiere. Entriamo. Una sala grande, mobilio lussuoso e tappeti. I legittimi proprietari non hanno nemmeno spento la brace nel camino, prima di andarsene. Uno dei fratelli Brundt la rianima. La scala porta al piano superiore. Una camera da letto, una stanza piú piccola. Al centro una tinozza di legno, il lavabo e il secchio in un angolo. Sali da bagno e tutto l'occorrente per la cura personale di una nobildonna.
Adrianson compare sulla porta, l'aria interrogativa.
Annuisco: - Mi piace. Metti a scaldare dell'acqua.
Mi svesto, allontano con un calcio la camicia e la giubba, un unico ammasso nero maleodorante. Via anche le calze. Bruciarle. In un grande armadio trovo dei vestiti puliti, stoffa elegante. Andranno benissimo.
Adrianson versa i primi due secchi fumanti nella tinozza, lanciandomi un'occhiata incerta. Esce scuotendo la testa.
Il coro giunge dalla strada.

Arrivarono tronfi e sferraglianti
se ne andarono lugubri e piangenti,
quella notte dentro il cimitero
incontrarono un fantasma nero.

Al borgomastro requisí la moglie,
al porco vescovo annientò le voglie,
questa è la sorte se incontri Gert dal Pozzo,
gli pesti i piedi e ti taglia il gozzo.

- Ma li senti!? - Knipperdolling irrompe sghignazzando. - Ti amano! Li hai conquistati! Vieni, vieni a vedere.
Mi trascina alla finestra. Una trentina di fanatici, che esultano all'unisono appena mi vedono.
- Sei già nelle loro canzoni. Tutta Münster ti acclama -. Si sporge, mi mette una mano sulla spalla. Grida a quelli di sotto:
- Evviva il Capitano Gert dal Pozzo!
- Evviva!
- Viva il liberatore di Münster!
Rido e mi tiro indietro. Knipperdolling mi trattiene e sbraita: - Con voi abbiamo liberato Münster, e con voi ne faremo l'orgoglio della cristianità! Viva il Capitano Gert dal Pozzo! Tutta la birra della città non potrà mai bastare per brindare alla sua salute!
Schiamazzi, urla, lancio di oggetti, Knipperdolling frocione, isseremo la tua panza in cima al Municipio, risate, boccali al cielo...
Knipperdolling chiude la finestra salutando ad ampi gesti.
- Vinciamo. Vinciamo le elezioni, basta una tua parola e non ci sarà concorrenza.
Indico la città oltre il vetro: - È piú facile scacciare il tiranno, che essere all'altezza delle loro speranze. Forse il difficile viene adesso.
Mi guarda perplesso, poi sbotta: - Non fare il cupo! Quando avremo vinto le elezioni decideremo come amministrare questa città. Adesso goditi la gloria.
- La gloria mi aspetta in un catino di acqua fumante.

Münster, 9 febbraio 1534, mattina

Mi sveglia la raffica di colpi sulla porta.
D'istinto la mano sotto il materasso, l'elsa della daga.
- Gert! Gert! Alzati Gert, muoviti!
Il sonno rincula colpendomi in mezzo agli occhi: macchiccazzo...
- Gert siamo nella merda, svegliati!
Caracollo giú dal letto cercando di mantenere l'equilibrio: - Chi è?
- Sono Adrianson! Muoviti, stanno correndo tutti in piazza!
Mentre infilo le brache e agguanto la vecchia giubba penso già al peggio: - Che succede?
- Apri, dobbiamo andare al Municipio!
Pronuncia l'ultima parola mentre gli spalanco la porta in faccia.
Devo sembrare un fantasma, ma il freddo acuisce i sensi in pochi istanti.
Il maniscalco Adrianson non ha l'aria gioviale con cui è solito animare le nostre discussioni serali. Il fiato grosso: - Redeker. Ha portato in piazza un forestiero appena arrivato... Dice che ad Anmarsch ha visto il vescovo che radunava un'armata, tremila uomini. Stanno per piombarci addosso, Gert.
Una stretta allo stomaco: - Lanzichenecchi?
- Muoviti, andiamo, Redeker vuole interpellare i borgomastri.
- Ma sei sicuro? Chi è il forestiero?
- Non lo so, ma se quello che dice è vero ci assedieranno presto.
Nel corridoio busso alla porta di fronte: - Jan! Svegliati, Jan!
Apro la porta che nonostante i consigli il mio compare di Leida non chiude mai a chiave: il letto è intatto.
- Sempre a fottere in qualche fienile...
Il maniscalco mi trascina giú per le scale. Quasi cado in fondo alla rampa. Adrianson mi precede per la strada, ha nevicato tutta la notte, la fanghiglia schizza dagli stivali, qualcuno mi manda affanculo.
Di corsa fino alla piazza centrale: un prato bianco. In mezzo la massa scura della Cattedrale sembra ancora piú grande. L'agitazione serpeggia tra i capannelli raccolti sotto le finestre del Municipio.
- Il vescovo vuole entrare in città in armi.
- Col cazzo! Dovrà passare sul mio cadavere!
- È stata quella puttana della badessa a chiamarlo!
- Con le nostre tasse. Quel bastardo paga un esercito per fotterci.
- No, no, quella gran troia della badessa di Überwasser... è per la storia delle novizie.
Nonostante il gelo, almeno cinquecento persone sono affluite in piazza sull'onda della notizia.
- Dobbiamo difenderci, ci servono le armi. -
- Sí, sí, sentiamo il borgomastro.
Scorgo Redeker in mezzo a una trentina di persone. Aria spavalda di chi vuol dire la sua contro il parere di tutti.
- Tremila armati.
- Sí, sono alle porte della città.
- Basta salire sul cassero della Judefeldertor per vederli.
Sento un colpo sulla spalla, mi giro. Redeker contro tutti, palle di neve in mano. Qualcuno deve aver cercato di zittirlo. Il trambusto cala improvvisamente. Sguardi verso l'alto: il borgomastro Tilbeck è alla finestra del Municipio.
Esplode una raffica di proteste.
- L'esercito del vescovo marcia sulla città!
- Qualcuno l'ha fatta sporca!
- Ci hanno venduti a von Waldeck!
- Dobbiamo difendere le mura!
- La badessa, la badessa, incarcerate la badessa!
- Macché badessa, vogliamo i cannoni!
I capannelli si sciolgono in una calca generale. Sembrano ancora di piú. Tilbeck, impettito, si allarga ad abbracciare l'intera piazza.
- Gente di Münster, non perdiamo la calma. Questa storia dei tremila uomini non ha ancora alcuna conferma.
- Cazzo, li hanno visti dalle mura!
- Sí, sí, c'è uno che viene da Anmarsch. Stanno venendo qua.
Il borgomastro non si scompone. Scuote la testa e con un gesto serafico fa cenno di calmarsi: - State tranquilli: manderemo qualcuno ad appurare.
La folla si scambia sguardi spazientiti.
- Esercito o no, il vescovo von Waldeck mi ha dato personalmente tutte le garanzie che non violerà i privilegi municipali. Münster rimarrà una città libera. Si è impegnato personalmente. Non mostriamo di aver perso la testa: è il momento di essere responsabili! Münster deve dimostrarsi all'altezza della sua antica tradizione di convivenza civile. In un momento in cui tutti i territori confinanti sono sconvolti da guerre intestine e subbugli, Münster è chiamata a essere l'esempio di come...
La pallata lo centra in piena faccia. Il borgomastro si accascia sul davanzale, sommerso da una bordata di insulti. Uno dei consiglieri lo aiuta a sollevarsi. Il sangue cola dallo zigomo spaccato: la neve doveva nascondere qualcos'altro.
C'è una sola persona in tutta Münster con una mira del genere.
Tilbeck batte in ritirata inseguito dalle grida dei piú infuocati.
- Venduto, venduto!
- Tilbeck, sei una troia: tu e tutti i tuoi amici luterani!
- Che cazzo vuoi? Se non fosse per voi maledetti Anabattisti von Waldeck non alzerebbe un dito contro la città.
- Bastardi, lo sappiamo che siete d'accordo col vescovo!
Qualcuno si spintona. Volano le prime mazzate. Redeker è ancora da solo. Gli altri sono in tre, tutti ben piantati. Non sanno contro chi si sono messi. Il piú grosso sferra un pugno all'altezza della faccia, Redeker si abbassa, lo prende sull'orecchio, caracolla indietro e sferra un calcio in mezzo alle gambe: il luterano si piega in due, le palle in gola. Ancora una ginocchiata sul naso e i due compari già tengono stretto Redeker che scalcia come un mulo impazzito. Il grosso lo colpisce allo stomaco. Non gli do il tempo di replicare: una mazzata a due mani sulla nuca. Quando si gira i pugni volano in serie contro il suo naso. Casca seduto. Mi volto, Redeker s'è liberato dalla presa degli altri due. Schiena contro schiena ci difendiamo dall'attacco.
- A chi è venuta in mente la storia dei tremila cavalieri?
Sputa all'avversario e mi dà di gomito: - Chi ha detto che sono cavalieri?
Quasi mi scappa da ridere mentre ci avventiamo ognuno sul suo. Ma la rissa è ormai generale, ci travolge. Da dietro la Cattedrale spunta un drappello di cinquanta uomini: i tessitori di Sant'Egidio, appassionati dei sermoni di Rothmann. In un attimo i luterani sono nell'angolo opposto della piazza.
Redeker, piú figlio di puttana che mai, mi guarda con un ghigno: - Meglio della cavalleria!
- D'accordo, e adesso cosa facciamo?
Dalla piazza del Mercato, il suono delle campane di San Lamberto. Come un richiamo.
- A San Lamberto, a San Lamberto!
Di corsa fino alla piazza del Mercato, invadiamo i banchetti sotto gli sguardi attoniti dei commercianti.
- Il vescovo sta per entrare in città!
- Tremila soldati!
- I borgomastri e i luterani sono in combutta con von Waldeck!
Tra le bancarelle gli arnesi del lavoro quotidiano diventano armi. Martelli, accette, fionde, vanghe, coltelli. In un batter d'occhio le bancarelle stesse diventano barricate che bloccano ogni accesso alla piazza. Qualcuno ha tirato fuori gli inginocchiatoi da San Lamberto a rafforzare quelle mura improvvisate.
Redeker mi agguanta nella confusione: - Quelli di Sant'Egidio hanno portato dieci balestre, cinque archibugi e due barili di polvere. Vado dall'armaiolo Wesel a vedere cosa posso rimediare ancora.
- Io vado da Rothmann, bisogna portarlo qui.
Ci lasciamo senza perdere altro tempo, rapidi, saettando tra la rabbia dei popolani.
Nella canonica di San Lamberto ci sono anche Knipperdolling e Kibbenbrock. Sono seduti al tavolo, corrucciati, balzano in piedi tutti e tre quando mi vedono entrare.
- Gert! Per fortuna. Che diavolo sta succedendo?
Squadro il predicatore dei battisti: - Un'ora fa è arrivata la notizia che von Waldeck ha armato un esercito per marciare sulla città -. I due rappresentanti delle gilde sbiancano. - Non so quanto ci sia di vero, la notizia deve essersi ingigantita strada facendo, ma di certo non è uno scherzo di Carnevale.
Knipperdolling: - Ma stanno tirando giú tutto, hanno suonato le campane, ho visto svuotare la chiesa...
- Tilbeck si è sputtanato davanti a tutti. Può darsi che i luterani abbiano preso accordi con von Waldeck. La gente è inferocita, gli operai tessili sono giú in piazza, hanno eretto barricate, Rothmann, sono armati.
Kibbenbrock dà un calcio al pavimento: - Merda! Sono impazziti tutti quanti!?
Rothmann tamburella nervoso le dita sul tavolo, deve decidere il da farsi.
- Redeker è andato a cercare altre armi, i luterani potrebbero tentare di farci fuori per consegnare la città al vescovo.
Knipperdolling dondola il pancione stizzito: - Quel tagliagole del cazzo! Solo lui poteva esserci dietro questa storia. Ma non gli hai detto che rischia di mandare a monte tutto quello che abbiamo fatto!? Se arriviamo allo scontro armato...
- Ci siamo già, amico mio. E se adesso non andate dietro a quelle barricate rimarrete tagliati fuori e la gente proseguirà da sola. Dovete esserci.
Un lungo istante di silenzio.
Il predicatore mi guarda dritto negli occhi: - Credi che il vescovo abbia deciso di rompere gli indugi?
- È un problema che ci porremo dopo. Adesso ci vuole qualcuno che gestisca la situazione.
Rothmann si gira verso gli altri due: - È successo prima di quanto immaginassi. Esitare adesso comunque sarebbe fatale. Andiamo.
Scendiamo alla piazza, sono almeno trecento, uomini e donne vocianti dietro le barricate, gli arnesi da lavoro trasformati in lance, mazze, alabarde. Redeker spinge un carretto coperto da una tenda di tela verso il centro della piazza. Quando la solleva le lame luccicano al sole invernale: spade, asce, oltre a un paio d'archibugi e una pistola. Le armi vengono distribuite, tutti vogliono avere qualcosa in mano per difendersi.
Passo svelto, spada e pistola in cintura, l'ex mercenario Heinrich Gresbeck ci viene incontro.
- I luterani hanno il deposito di armi a Überwasser. Le stanno trasportando alla piazza centrale.
Ci scruta come in attesa di un ordine da parte mia o di Rothmann.
Il predicatore afferra un banchetto del mercato e lo trascina nel mezzo, saltandoci sopra.
- Fratelli, noi non vogliamo fomentare il conflitto fratricida tra gli abitanti di questa città. Ma se c'è qualcuno che non capisce che il vero nemico è il vescovo von Waldeck, allora toccherà a noi difendere la libertà di Münster da chi la minaccia! E chiunque si unisca in questa battaglia di libertà non soltanto godrà della protezione che l'Altissimo riserva ai Suoi eletti, ma potrà anche attingere al fondo di mutua assistenza che da questo momento viene messo a disposizione della difesa comune -. Un boato d'acclamazione. - Il Faraone d'Egitto è là fuori, e aspira a tornare per renderci nuovamente suoi schiavi. Ma noi non glielo permetteremo. E Dio sarà con noi in questa impresa. Dice infatti il Signore: «Cadranno gli alleati dell'Egitto e sarà abbattuto l'orgoglio della sua forza: da Migdòl fino ad Assuan cadranno di spada. Parola del Signore Dio. Sapranno che io sono il Signore quando darò fuoco all'Egitto e tutti i suoi sostenitori saranno schiacciati!»
I cuori si innalzano in un'eccitazione unanime: il popolo di Münster ritrova il suo predicatore.
L'imponente Knipperdolling e Kibbenbrock il rosso si aggirano tra i capannelli dei tessitori: il grosso della corporazione piú organizzata e numerosa è già lí.
Gresbeck mi prende da parte: - Sembra che siamo alla resa dei conti -. Un'occhiata alle spalle. - Sai di che cosa hanno bisogno.
Annuisco: - Raduna i trenta piú in gamba davanti alla chiesa, gente che conosca bene la città e con pochi scrupoli.
Raggiungiamo Redeker che ha finito di vuotare il carretto.
- Fai tre squadre di quattro uomini ciascuna e mandale di ronda dalle parti di Überwasser: voglio un rapporto ogni ora sugli spostamenti dei luterani.
Il piccoletto guizza via.
A Gresbeck: - Io devo potermi muovere, il comando della piazza è tuo. Che nessuno prenda iniziative avventate e che non possano coglierci di sorpresa: fai presidiare le barricate, metti una vedetta sul campanile della chiesa. Quanti archibugi abbiamo?
- Sette.
- Tre di fronte alla chiesa e quattro davanti all'ingresso della piazza centrale. Sparsi in giro servirebbero a poco.
Gresbeck: - E tu che fai?
- Devo capire qual è il campo di battaglia e chi tiene le postazioni.
Redeker esaltatissimo sta radunando gli uomini, mi vede, alza una pistola gigantesca e urla: - Rompiamogli il culo!

***

La ricognizione sulle mura è stata rassicurante: a vista d'occhio non c'è traccia dei tremila mercenari annunciati.
La seconda ronda viene a dire che i luterani hanno piazzato degli uomini armati d'archibugio sul campanile della Cattedrale e da lí dominano la piazza del Municipio, il cui ingresso è sbarrato da due carri messi di traverso, esattamente dirimpetto alla nostra barricata. Dietro i carri non piú di dieci luterani, ma ben armati e riforniti da Überwasser: in caso di attacco non avrebbero alcun bisogno di risparmiare le pallottole. Noi invece dobbiamo fare con quello che abbiamo, i colpi sono contati.
La piazza del Mercato in cui siamo asserragliati è facilmente difendibile, ma può rivelarsi anche una trappola. Bisogna aggirarli, chiudere i ponti sull'Aa e isolare la piazza del Municipio dal monastero.
- Redeker! Dieci uomini e due archibugi. Andiamo a chiudere il ponte di Nostra Signora, dietro la piazza. Subito.
Usciamo dal presidio a sud della nostra roccaforte. Percorriamo velocemente il primo tratto, nessuno in vista. Poi la strada si biforca: dobbiamo andare a destra, seguire la curva che porta al primo ponte sul canale. Ci siamo, il ponte è lí davanti. Un colpo d'archibugio scheggia il muro a un metro da Redeker che cammina in testa. Si gira: - I luterani!
Vengono giú da una stradina stretta che conduce alla piazza centrale, altre archibugiate.
- Via, via!
Mentre risaliamo la strada ci inseguono urla e tramestio: - Gli Anabattisti! Eccoli là! Scappano!
All'altezza di Sant'Egidio ci fermiamo. Urlo a Redeker: - Quanti ne hai visti!?
- Cinque, sei al massimo.
- Li aspettiamo qui, quando spuntano dalla curva facciamo fuoco.
Colpi in canna: i due archibugi, la mia pistola e quella di Redeker.
Saltano fuori a una decina di passi: ne conto cinque, non se l'aspettavano, rallentano, mentre le nostre armi fanno fuoco all'unisono.
Uno viene colpito alla testa e va giú stecchito, un altro si ribalta indietro, ferito alla spalla.
Partiamo all'assalto e quelli arretrano scomposti, trascinandosi dietro il ferito. Dalla curva ne spuntano altri, alcuni si infilano in Sant'Egidio. Ancora spari e poi l'impatto: paro un colpo con la daga e il manico della pistola spacca la testa del luterano. C'è un casino d'inferno. Altri colpi.
- Via, Gert! Sparano dal campanile! Via!
Qualcuno mi afferra da dietro, corriamo come pazzi con le pallottole che ci fischiano intorno. Da qui non si passa piú.
Raggiungiamo le nostre barricate e ci infiliamo dentro. Subito a contarsi: ci siamo tutti, piú o meno interi, se si escludono un taglio di spada sulla fronte che avrà bisogno di un rattoppo, una spalla slogata per il rinculo dell'archibugio e una buona dose di paura per tutti.
Redeker sputa per terra: - Figli di puttana. Prendiamo un cannone e facciamogli crollare Sant'Egidio sulla testa!
- Lascia perdere, è andata buca.
Knipperdolling e alcuni dei suoi ci corrono incontro: - Ehi, ci sono dei feriti? Qualcuno s'è fatto ammazzare?
- No, no, per fortuna, ma c'è una testa che avrebbe bisogno di una ricucita.
- Non ti preoccupare, cucire è il nostro mestiere.
Il ferito viene preso in consegna dai tessitori.
In nostra assenza, nel mezzo della piazza, dove stavano i banchetti dei venditori, è stato allestito un fuoco per cucinare il pranzo: alcune donne girano un vitello sullo spiedo.
- E quello, da dove salta fuori?
Una donna grassa e rubiconda che trasporta stoviglie mi scosta sgomitando: - Gentilmente offerto dal munificentissimo consigliere Wördemann. I suoi stallieri non hanno voluto accettare i nostri soldi, cosí ce lo siamo preso... con le buone! - sghignazza contenta.
Scuoto la testa: - Ci mancava solo che ci mettessimo a cucinare...
La grassona posa giú il carico, le mani sui fianchi e l'aria di sfida: - E come vorresti sfamare i tuoi soldati, Capitano Gert! Col piombo!? Senza le donne di Münster saresti perduto, te lo dico io!
Mi giro verso Redeker: - Capitano?
Il bandito alza le spalle.
- Sí, Capitano -. La voce di Rothmann ci raggiunge da dietro, è insieme a Gresbeck, hanno delle pergamene in mano. Il predicatore ha l'aria di chi non vuole perder tempo in spiegazioni: - E Gresbeck è il tuo luogotenente... - avverte l'agitazione immediata di Redeker, che allunga il collo tra di noi per farsi notare, e subito aggiunge rassegnato: -...e Redeker il secondo.
- È andata male. Volevo aggirare la piazza, ci hanno presi di sorpresa prima che passassimo il canale.
- Le ronde dicono che se ne stanno asserragliati con le armi a Überwasser. Il borgomastro Judefeldt è con loro insieme alla maggior parte dei consiglieri, Tilbeck no. Sono una quarantina, non credo che tenteranno di attaccarci, stanno sulla difensiva. Hanno un cannone nel cimitero del convento, l'edificio è imprendibile.
Sbuffo fuori la tensione. E adesso?
Rothmann scuote la testa: - Se il vescovo ha veramente radunato un esercito le cose potrebbero mettersi molto male.
Gresbeck mi srotola le pergamene davanti: - Dài un'occhiata qui intanto. Abbiamo rimediato delle vecchie mappe della città. Possono esserci utili.
Il disegno non è preciso, ma sono segnati anche i passaggi piú stretti e tutti gli anfratti dell'Aa.
- Ottimo, vedremo se ci suggeriscono qualcosa. Adesso però c'è una cosa da fare, l'idea me l'ha data Redeker. Tiriamo giú dalle mura un cannone, un pezzo piccolo, non troppo pesante, che possa essere facilmente trasportato fin qui.
Gresbeck si gratta la cicatrice: - Ci vorrà un argano.
- Procuralo. Sette archibugi servirebbero a poco se dovessimo resistere a un attacco. Prendi gli uomini che ti servono, ma vedi di portarlo giú al piú presto, il tempo passa e quando comincia a fare scuro sarà meglio, essere ben protetti.
Rimango solo con Rothmann. Sulla faccia del predicatore un'aria d'ammirazione che si trasforma quasi in rimbrotto.
- Sei sicuro di quello che stai facendo?
- No. Qualsiasi cosa pensi Gresbeck, non sono un soldato. Isolare quelli che stanno sulla piazza mi sembrava l'idea giusta, ma evidentemente hanno organizzato dei drappelli che battono le strade tutt'attorno. Si coprono il culo i bastardi.
- Tu hai già combattuto, non è vero?
- Un ex mercenario mi insegnò a destreggiarmi con la spada, molti anni fa. Ho combattuto con i contadini, ma ero un ragazzo.
Annuisce deciso: - Fa' tutto quello che credi debba essere fatto. Saremo con te. E che Dio ci assista.
In quel momento, dietro la spalla di Rothmann compare in fondo alla piazza Jan di Leida, ci scorge anche lui, si avvicina, un espressione quasi divertita.
- Era ora, dove ti eri cacciato?
Muove la mano su e giú in un gesto allusivo: - Sai com'è... Ma che è successo, abbiamo preso la città?
- No, puttaniere del cazzo, siamo asserragliati qui, là fuori ci sono i luterani.
Segue il mio gesto e si infervora: - Dove?
Gli indico la barricata che fronteggia i carri all'ingresso della piazza centrale.
- Laggiú, sono là dietro?
- Esatto, e guarda che sono armati fino ai denti.
Riconosco lo sguardo del mio santo pappone, è quello delle grandi occasioni.
- Sta' attento, Jan...
È già tardi, si sta incamminando verso le nostre difese. Non ho tempo di pensare a lui, devo andare a istruire le ronde. Ma mentre sto parlando con Redeker e Gresbeck, con la coda dell'occhio vedo Jan che si avvicina ai difensori della barricata, che cazzo si sarà messo in testa? Mi tranquillizzo quando lo vedo sedersi e tirar fuori di tasca la Bibbia. Ecco bravo, leggi qualcosa.
La mappa di Münster ci mostra quali percorsi si potrebbero tentare per aggirare le postazioni dei luterani. Redeker dà una serie di consigli, quali sono le zone piú esposte, quale caseggiato potrebbe coprire un'eventuale azione d'avvicinamento. Ma ogni congettura si arresta davanti all'imprendibilità di Überwasser: un conto è stato far uscire le novizie, ben altro è strapparlo a quaranta uomini armati.
Improvvisamente il trambusto ci raggiunge dall'altro lato della piazza. Merda! Il tempo di lanciare un'occhiata verso le nostre difese e vedo Jan di Leida ritto in piedi sulla barricata con le braccia aperte.
- Che cazzo sta facendo!?
- Corri Gert, quello si fa ammazzare!
- Jaaaaan!
Mi precipito attraverso la piazza, quasi travolgo il vitello allo spiedo, inciampo, mi rialzo: - Jan, vieni giú, pazzo!
La camicia aperta, mostra il petto glabro a chiamare i colpi. Gli occhi fiammeggiano verso i carri luterani.
- Ora, fra breve, rovescerò il mio furore su di te e su di te darò sfogo alla mia ira. Ti giudicherò secondo le tue opere e ti domanderò conto di tutte le tue nefandezze, luterano immondo.
- Vieni giú, Jan! - Potrei essere invisibile.
E non si impietosirà il mio occhio e non avrò compassione, ma ti riterrò responsabile della tua condotta e saranno palesi in mezzo a te le tue nefandezze: saprai allora che sono io, il Signore, colui che colpisce. Hai capito, grande figlio d'una troia luterana, le tue pallottole non possono farmi nulla. Rimbalzeranno su questo petto e ti torneranno indietro, perché il Padre è in me, Egli può ingoiarle e sparartele fuori dal culo quando vuole, dritte in faccia!
- Jan, per dio!
Se ne sta lí dritto con la bocca spalancata a emettere un suono spaventoso. Poi il biondo leidano pazzo alza il volto al cielo: - Padre, ascolta questo figlio, esaudisci il tuo bastardo: spazza via dal selciato queste merde di cane! Hai sentito luterano, cagati addosso, affogherai in uno sputo di Dio e il Regno sarà per noi. Banchetterò coi santi sul tuo cadavere!
L'archibugiata esplode impietrendo Jan. Per un istante penso che l'abbiano colpito.
Si gira verso di noi, dall'orecchio destro gli cola un rivolo di sangue, gli occhi spiritati. Si lascia cadere giú e lo prendo al volo prima che sbatta per terra, sviene, no, si riprende: - Gert, Geeert! Ammazzalo, Gert, ammazzalo! Mi ha quasi staccato un orecchio! Dammi la pistola che lo devo ammazzare... ti prego, dammela! Sparagli Gert, sparagli o lo faccio io... È laggiú, lo vedi, è là, Gert, la pistola, la pistola... mi ha rovinato!
Lo lascio accasciare contro il muro e dico due parole ai nostri difensori: se ci riprova legatelo.

***

Il sole scende dietro il campanile della Cattedrale. I cani rosicano le ossa del vitello ammucchiate al centro della piazza. Ho stabilito dei turni di guardia alle barricate: due ore ciascuno, per consentire a tutti di dormire un po'. Le donne hanno approntato dei giacigli di fortuna con quello che avevano a disposizione e acceso i fuochi per la notte. Il freddo è intenso: qualcuno ha preferito un tetto sulla testa. I piú determinati sono rimasti però, gente su cui si può contare.
Ci scaldiamo davanti a un fuoco, stretti nelle coperte. Un improvviso trambusto alla barricata che chiude la piazza a sud ci fa scattare in piedi. Le sentinelle scortano fino qui un ragazzo sui vent'anni, aria impaurita e fiato grosso.
- Dice di essere il servitore del consigliere Palken.
- Il senatore e suo figlio... li hanno trascinati via, erano armati, non ho potuto far niente, Wördemann... c'era anche, il borgomastro Judefeldt, se li sono presi...
- Con calma, prendi fiato. Chi erano? Quanti?
Il ragazzo è sudato marcio, faccio portare una coperta. Gli occhi saltano da uno all'altro dei nostri volti, gli allungo una tazza di brodo fumante.
- Io servo in casa del consigliere Palken. Mezz'ora fa... una dozzina di uomini armati... sono entrati. Judefeldt li guidava. Hanno costretto il consigliere e suo figlio a seguirli.
- Cosa vogliono da Palken?
Knipperdolling, corrucciato: - È uno dei pochi che ci appoggia in Consiglio. Wördemann, Judefeldt e tutti gli altri luterani lo odiano.
Rothmann non sembra convinto. A cosa gli serve un ostaggio? A Überwasser sono inattaccabili. Il panico negli occhi di Rothmann: - Le chiavi!
- Cosa?
- Le chiavi, Palken ha in custodia le chiavi delle porte a nord-ovest delle mura.
- Sí, sí, - il servo solleva il naso dalla tazza. - Volevano proprio delle chiavi!
- Gresbeck, la mappa!
La srotolo alla luce del fuoco con l'aiuto di Knipperdolling. La Frauentor e la Judefeldertor: le porte dietro Überwasser, la strada per Anmarsch: - Vogliono far entrare i vescovili in città.
Si mette male.
Lo si può leggere nei volti di ciascuno. Ingabbiati nella stretta piazza del Mercato, tagliati fuori dall'altra sponda dell'Aa, dove i luterani stanno compiendo il crimine scellerato che ci annienterà. Tentare una sortita? Uscire da questo imbuto e scatenare a sorpresa l'assalto a Überwasser? L'intera città sprofonda in un silenzio irreale: tranne i contendenti, tutti sono rinchiusi nelle abitazioni. Muti, intorno a tenui fuochi d'attesa del destino imminente e ignoto. Chi sta giungendo in città? I tremila prezzolati al seguito di von Waldeck? Un'avanguardia d'assaggio in attesa del giorno? Questa notte darà le risposte.
Knipperdolling è furente: - 'Sti gran coglioni! Bifolchi arricchiti! Mi ricordo tutti quei bei discorsi contro il vescovo, i papisti e tutto quel riempirsi la bocca di libertà municipali, di fede nuova... Me lo devono dire in faccia che si vendono al vescovo per una manciata di scudi! Il vescovo lo abbiamo scacciato insieme! Voglio parlarci, Gert, fino a ieri tutto avrei potuto pensare meno che lasciassero la città in pasto ai mercenari. Che me lo dica in faccia quel porco di Judefeldt cosa gli ha promesso von Waldeck! Dammi una scorta, Gert, ci voglio parlare con quei cialtroni.
Redeker scuote il capo: - Tu sei pazzo. Le loro parole non contano un cazzo, hanno gli occhi fissi sulle borse, sei tu il coglione che ci perdeva il tempo a parlare.
Rothmann interviene: - Forse si può tentare. Ma senza correre rischi inutili. Forse non sono cosí compatti come sembrano. Forse hanno solo una paura maledetta...
Partono due squadre. Una diretta alla Frauentor da sud, poi risalendo le mura, in tutto una decina di fantasmi. Redeker dalla parte opposta verso la Judefeldertor.
Niente iniziative o assalti disperati, non ancora. Sorvegliare gli ingressi caduti nelle loro mani, controllare i movimenti in entrata e uscita. Provare a leggere il futuro nelle loro mosse. Le due squadre hanno il compito di perlustrare e lasciare vedette sul percorso e sulla via di Überwasser: occhi a scrutare ogni battito d'ali e staffette pronte a dare notizia ogni ora.
Con me, a scortare il capo delle gilde tessili, una ventina, quasi tutti ragazzi, sedici, diciassette anni, ma hanno fegato da vendere e occhi buoni.
- Hai paura? - chiedo a quei baffi che ancora stentano a crescere.
La voce roca del sonno ricacciato lontano: - No, Capitano.
- Che mestiere fai?
- Garzone di bottega, Capitano.
- Lascia stare il Capitano, come ti chiami?
- Karl.
- Karl, sai correre veloce?
- Quanto possono queste gambe.
- Bene. Se ci attaccano e vengo ferito, se vedi che si mette male, tu non perderai tempo a raccogliermi, correrai qui come il vento e darai l'allarme. Hai capito?
- Sí.
Knipperdolling prende con sé tre dei suoi e si avvia in testa con un drappo bianco in segno di tregua. Lo seguiamo a qualche decina di passi.
Il capo dei tessili è già in prossimità del monastero, inizia a chiedere che qualcuno venga fuori a parlamentare. Noi restiamo poco piú avanti di San Nicola, colpi in canna e fionde pronte al lancio. Da Überwasser silenzio. Knipperdolling avanza ancora.
- Allora, Judefeldt, vieni fuori! Borgomastro del cazzo, è cosí che difendi la città?! Rapisci un consigliere e apri le porte a von Waldeck! La città vuole sapere perché avete deciso di farci ammazzare tutti quanti. Vieni fuori e parliamone da uomini!
Qualcuno da una finestra gli dà la voce: - Che cazzo sei venuto a fare, porco anabattista!? Ci hai portato qualcuna delle tue puttane?
Knipperdolling traballa, perde la calma: - Figlio di cane! È tua madre la puttana! - Avanza ancora. Troppo.
- Ti stai mettendo con i papisti, Judefeldt, con il vescovo! Che cazzo ti è saltato in testa!?
Torna indietro idiota, dài, non cosí sotto.
Il portale si spalanca, escono in una decina, armati, gli sono addosso.
- Attacchiamo!
Ci lanciamo, Knipperdolling si dimena sbraitando, lo tengono in quattro. Arretrano mentre li bersagliamo con le fionde e le balestre. Si sentono le prime archibugiate, un paio di noi sono colpiti, sparano dalla torre. Il portone si richiude e noi siamo allo scoperto, sbandiamo, ci allarghiamo nel piazzale, rispondiamo al fuoco, rimbombano le urla di Knipperdolling e i colpi d'archibugio. Ci hanno fottuto. Non c'è niente da fare, bisogna ritirarsi, raccogliere i feriti.
Do l'ordine: - Indietro! Indietro!
Imprecazioni e lamenti ci accompagnano verso la piazza del Mercato.
Ci hanno fottuti e siamo nella merda. Attraversiamo le nostre barricate e ci fermiamo sulla scalinata di San Lamberto, trambusto, voci, bestemmie, tutti si accalcano intorno a noi. Stendiamo i feriti, li affidiamo alle donne, la notizia della cattura di Knipperdolling si diffonde immediatamente insieme al boato di rabbia.
Rothmann è costernato, Gresbeck invece mantiene la calma, ordina di tenere le posizioni, dobbiamo arginare il panico.
Sono furioso, sento il sangue che ribolle, le tempie pulsano. Siamo nella merda e non so che fare.
Gresbeck mi scuote: - È tornato Redeker.
Arriva trafelato anche lui, faccia scura: - Sono entrati. Non piú di una ventina, al galoppo sfrenato, cavalieri di von Waldeck.
- Sei sicuro?
- Ho visto le corazze, i blasoni del cazzo. Scommetto che c'è anche quel porco di von Büren.
Rothmann, la testa tra le mani: - È finita.
Silenzio intorno.
Kibbenbrock cerca di rincuorarci: - Stiamo calmi. Fintanto che il grosso delle truppe del vescovo non entra in città non possono toccarci. Siamo di piú e sanno che non abbiamo niente da perdere. Ma serve qualcosa.
Il tessitore ha ragione, bisogna pensare. Pensare.
Il tempo passa. Rinforziamo il presidio sulle barricate. Il nostro unico cannone viene messo al centro della piazza, per respingere l'assalto nel caso una delle difese vada giú.
Gli uomini non devono avere il tempo di scoraggiarsi. Ancora ronde e raccolta di armi, recuperiamo altri archibugi. Dicono che i cattolici stiano affiggendo ghirlande sui portoni di casa, per essere risparmiati dalle orde di von Waldeck. Altre squadre per strapparle via.
La città è immobile, la piazza, illuminata dai fuochi, potrebbe essere un'isola in mezzo a un oceano oscuro. Là fuori, come animali terrorizzati, tutti attendono rintanati nelle loro case.
Nelle loro case.
Nelle loro case.
Mi apparto con Gresbeck e Redeker. Confabuliamo stretti.
Si può fare. Tentare almeno. Piú nella merda di cosí...
L'ultima consegna per Gresbeck: - Siamo d'accordo allora. Avverti Rothmann. Che si muova, dàgli gli uomini piú in gamba, il tempo è appena sufficiente.
- Gert... - L'ex mercenario mi porge le sue pistole tenendole per la canna. - Prendi queste. Sono precise, un regalo della campagna in Svizzera.
Me le infilo incrociate in cintura: - Ci vediamo tra un'ora.
Redeker mi fa strada nel buio quasi totale, passo deciso. Giriamo due o tre strade strette, pochi passi ancora e mi indica il portone. Sottovoce: - Jürgen Blatt.
Carico le pistole. Tre pugni sulla porta con forza: - Capitano Jürgen Blatt, della Guardia municipale. Le truppe del vescovo stanno entrando in città. Il borgomastro vuole che scortiamo la signora e le figlie al monastero. Subito. Aprite!
Passi dietro il portone: - Chi siete?
- Capitano Blatt ho detto, aprite.
Trattengo il respiro, rumore di chiavistello, appoggio la canna sulla fessura della porta. Si apre appena uno spiraglio. Gli porto via mezza testa.
Dentro. Quello in cima alle scale non fa in tempo a puntare l'archibugio: lo prendo alla gamba, cade, urla, sguaina un pugnale, con due balzi Redeker è già in cima alla rampa e lo finisce con il coltello. Poi sputa.
Daga in mano, in fondo al corridoio grida di donne: una vecchia mi si para davanti: - Portami dalla signora.
Una grande camera da letto, baldacchino e ammennicoli vari. La signora Judefeldt, in un angolo, stringe a sé le due bambine, una domestica terrorizzata inginocchiata a pregare.
Tra noi e loro il cazzone con la spada in mano, vent'anni al massimo. Trema, non parla. Non sa che fare.
Redeker: - Metti giú che potresti farti male.
La fisso: - Signora, gli eventi convulsi di questa notte hanno reso necessaria la mia visita. Non intendo farvi del male, ma sono costretto a chiedervi di seguirci. Le vostre figlie rimarranno qui con tutti gli altri.
Redeker sogghigna: - Do un'occhiata alla casa, che non ci siano altri servi zelanti.
La moglie del borgomastro Judefeldt è una bella donna, sui trent'anni. Dignitosa, trattiene le lacrime e alza lo sguardo su di me: - Vigliacco.
- Un vigliacco che lotta per la libertà di Münster, signora. La città sta per essere invasa da un'orda di assassini al soldo del vescovo. Non perdiamo altro tempo.
Faccio un fischio a Redeker, che ci raggiunge per le scale con un cofanetto sotto braccio. L'espressione della mia faccia non lo scoraggia: - Gli ammazziamo i servi, gli prendiamo la moglie. E i fiorini no!?
Sull'uscio, la vecchia getta una pelliccia sulle spalle della padrona, mentre mormora un Padrenostro.
Scortiamo la signora Judefeldt alla piazza del Mercato. Quando la prigioniera viene riconosciuta ci accoglie un ovazione che rinfranca lo spirito, le armi si innalzano al cielo: i battisti sono ancora vivi!
Dall'altra parte ci viene incontro Rothmann, portando sotto braccio una dama distinta, avvolta in uno zibellino, con una lunga treccia nera che le scivola sulle spalle.
- Vi presento la signora Wördemann, moglie del consigliere Wördemann. Madama è una consorella: io stesso l'ho battezzata.
Redeker si accosta al mio orecchio: - Quando ha appreso dalle sue spie di quel battesimo, il marito l'ha confermata nella fede a suon di bastonate. La poveretta credevano che morisse: per giorni non ha potuto non dico camminare, ma nemmeno strisciare per terra.
Madama Wördemann, bellezza austera, si stringe nella pelliccia: - Spero, signori, che ci lascerete scaldare davanti a un fuoco, dopo averci tratte a forza fuori dalle nostre stanze in piena notte.
- Certamente, ma prima sono costretto a privarvi di un oggetto personale.
Sfilo gli anelli dalle dita esili, due pezzi d'oro intarsiato.
- Karl!
Il ragazzo arriva di corsa, muso sporco di sonno e fumo.
- Prendi il drappo bianco e vola fino a Überwasser. Il messaggio è per il borgomastro Judefeldt: di' che tra mezz'ora ci presenteremo al monastero, dobbiamo parlare -. Stringo gli anelli nel pugno di Karl. - Consegnagli questi. Tutto chiaro?
- Sí, Capitano.
- Vai, svelto!
Karl si toglie gli scarponi troppo larghi rimanendo a piedi nudi sul nevischio. Saetta come una lepre attraverso l'accampamento, mentre faccio cenno alle sentinelle di lasciarlo uscire.
- Chi va di noi? - chiede Rothmann.
Kibbenbrock il rosso si fa avanti, slacciando la cintura che regge la spada e consegnandola a Gresbeck: - Vado io -. Guarda me e il predicatore. - Se vedono uno di voi due potrebbe venirgli una gran voglia di sparare. Io rappresento la gilda dei tessili, non apriranno il fuoco su di me.
Gresbeck interviene: - Ha ragione, Gert, tu servi qui.
Mi sfilo le pistole dalla cinta: - Queste sono tue. È buio, non mi riconosceranno, userò un nome diverso.
- Ti farai ammazzare -. Il tono è già rassegnato.
Gli sorrido: - Non abbiamo piú niente da perdere, è questa la nostra forza. La mappa, presto.
A Redeker: - Conosci questi passaggi dietro il cimitero?
- Certo, ci si arriva passando sulle passerelle del Reine Closter.
- Probabilmente avranno piazzato delle sentinelle qui e qui.
Fai dei gruppi di tre o quattro e falli passare sull'altra sponda.
- Quanti uomini in tutto?
- Almeno trenta.
- E le sentinelle?
- Tiratele giú, ma senza chiasso.
- Cosa intendi fare? Qui rimarremo sguarniti -. Gresbeck segue il mio dito sulla pergamena.
- Il monastero è imprendibile. Ma il cimitero no.
Gresbeck si tortura il sopracciglio: - È una piazza d'armi, Gert, c'è anche un cannone.
- Ma può essere raggiunto facilmente ed è fuori tiro dal monastero -. Di nuovo a Redeker: - Avvicinatevi il piú possibile, sono barricati dentro, non controlleranno il muro esterno. Ma sbrigatevi, tra un'ora al massimo è l'alba.
Un'occhiata d'intesa con Kibbenbrock. - Andiamo.
Mentre ci incamminiamo verso il limite della piazza, la voce di Rothmann ci raggiunge alle spalle: - Fratelli!
Stagliato contro la luce della torcia, alto, pallidissimo, il fiato che si perde nel gelo notturno: potrebbe essere Aronne. O lo stesso Mosè.
- Che il Padre accompagni i vostri passi... e vegli su tutti voi.

***

Poco oltre la nostra barricata incrociamo la corsa di Karl, i piedi congelati, il fiato grosso quasi gli impedisce di parlare: - Capitano! Dicono di andare... che non apriranno il fuoco.
- Hai consegnato gli anelli?
- Al borgomastro in persona, Capitano.
Una pacca sulla spalla: - Bene. Adesso corri a scaldarti davanti al fuoco, per stanotte hai fatto la tua parte.
Proseguiamo. Überwasser si staglia come una fortezza nera sull'Aa. La chiesa di Nostra Signora affianca il monastero: dalla torre campanaria le nostre ronde per un'ora hanno sentito provenire le urla sguaiate di Knipperdolling, finché non ha perso la voce.
Adesso soltanto silenzio e lo scorrere lieve del fiume.
Io e Kibbenbrock avanziamo affiancati, con un lenzuolo bianco teso in mezzo.
Il cigolio del portale che si socchiude e una voce allarmata: - Altolà! Chi siete?
- Kibbenbrock, rappresentante della corporazione dei tessitori.
- Sei venuto a far compagnia al tuo socio? Chi è quell'altro con te?
- Il fabbro Swedartho, portavoce dei battisti di Münster. Vogliamo parlare al borgomastro Judefeldt e al consigliere Wördemann, le loro mogli li mandano a salutare.
Aspettiamo, il tempo non passa.
Poi un'altra voce: - Sono Judefeldt, parlate.
- Sappiamo che hai fatto entrare in città l'avanguardia del vescovo. Dobbiamo parlare. Venite fuori tu e Wördemann, al cimitero -. Nessuna inutile indulgenza. - E ricordati che se non torniamo al campo entro mezz'ora, gli operai di Sant'Egidio prenderanno tua moglie, davanti e di dietro, cosí forse la signora ti partorirà il maschio che desideri da tanto!
Silenzio e gelo.
Poi: - D'accordo. Al cimitero. Gli uomini non apriranno il fuoco su di voi.
Aggiriamo il convento: il cimitero dove marciscono almeno tre generazioni di monache è per tre lati circondato dall'acqua e chiuso in fondo da un muro basso di pietre, tra le croci di legno è allestito un accampamento. Una ventina di cavalli legati sul muro rivolto al monastero ci dice che le ronde hanno contato giusto. C'è un cannoncino che spunta dietro a un cumulo di sacchi, presidiato da tre luterani, altri due con gli archibugi stanno all'ingresso e ci seguono cauti. I cavalieri di von Waldeck lucidano le spade bivaccati intorno ai fuochi, occhiate truci e la superiorità scritta in faccia: gli affari di questi borghigiani non ci riguardano.
Il borgomastro e l'uomo piú ricco di Münster ci vengono incontro, torce in mano, una dozzina di armati alle spalle.
Li metto in guardia: - Tienili a distanza, Wördemann, i tuoi sgherri, o la signora potrebbe decidere che l'uccello di Rothmann è davvero meglio del tuo...
Il mercante, secco e grifagno, trasalisce e mi scruta disgustato: - Anabattista, il tuo predicatore è soltanto un buffone ribelle.
Judefeldt gli fa cenno di tacere: - Cosa volete?
Non ha copricapo, i capelli scompigliati dalla nottata insonne, la mano che suda nervosa sullo stiletto in cintura.
Lascio che sia Kibbenbrock a parlare: - Stai per fare la cazzata della tua vita, Judefeldt. Una cazzata di cui ti pentirai per il resto dei tuoi giorni. Fermati finché sei in tempo. All'alba le truppe di von Waldeck prenderanno possesso della città, riavrà il dominio...
Il borgomastro lo interrompe stizzito: - Il vescovo mi ha assicurato che non toccherà i privilegi municipali, ho un documento scritto di suo pugno...
- Stronzate! - sputa fuori Kibbenbrock. - Quando riavrà il potere potrà pulirsi il culo con i tuoi privilegi municipali! Chi potrà dirgli niente quando sarà di nuovo il padrone di Münster!? Ragiona, Judefeldt. E anche tu Wördemann, fai un po' i tuoi conti: quanto gioveranno ai tuoi affari le gabelle del vescovo? La produzione dei conventi tornerà a schiacciare la tua, e i francescani si arricchiranno mentre tu paghi le tasse a von Waldeck. Pensaci. Il vescovo è un figlio di puttana navigato, promettere non gli è costato niente, i papisti sono abituati a questi sotterfugi, lo sapete meglio di me.
Kibbenbrock ha alzato troppo la voce. Il cigolio di corazze e speroni ci avverte dell'avvicinarsi dei cavalieri, le torce illuminano la barba curata e i guanti di cuoio di Dietrich von Merfeld di Wolbeck, fratello della badessa di Überwasser, e braccio destro del vescovo. Al suo fianco, Melchior von Büren: probabilmente è qui perché spera di saldare di persona il conto con Redeker.
Judefeldt previene ogni domanda: - Signori, sono battisti, sono qui per parlamentare. Abbiamo promesso loro l'incolumità.
Dietrich Baffiallinsú sogghigna stupito: - Che succede, Judefeldt, ancora trattate con questi pezzenti? Tra un'ora, di loro non rimarrà che un mucchio d'ossa. Sono morti che camminano, lasciateli perdere.
- Il signore von Merfeld non sbaglia, - intervengo. - Di tutti i contendenti di questa notte, gli unici che non hanno nulla da perdere siamo noi. L'ingresso del vescovo in città per noi significherebbe solo morte certa. Quindi, state sicuri che combatteremo e venderemo cara la pelle, la città dovrete prenderla palmo a palmo.
Von Büren sbuffa: - Siete dei conigli, non resisterete il tempo di uno sbadiglio di Sua Signoria. Borseggiatori e ladri di strada, questo siete.
Kibbenbrock sorride e scuote la testa in modo da raccogliere l'attenzione nervosa dei due mercanti: - Temete tanto di perdere il vostro potere che vi siete presi i vassalli di von Waldeck in casa per paura dei nostri quattro archibugi. Sai cosa ti dico, Judefeldt? Von Waldeck questo lo sapeva fin dall'inizio. Sapeva di poter usare la divisione tra voi e noi, di poter tagliare la città in due.
La fronte alta del borgomastro è un riprodursi di rughe, gli occhi guizzano dal volto di Wördemann, nero piú che mai, ai miei e a quelli di Kibbenbrock, che non gli dà tregua: - È tutto un maledetto imbroglio, non te ne sei ancora accorto!? Fin dall'inizio il vescovo ha giocato su due tavoli, ha rassicurato voi per avere un appoggio dentro le mura, qualcuno che gli aprisse le porte al momento giusto, e una volta rientrato si ricorderà improvvisamente che siete luterani, ribelli come noi all'autorità del Papa -. Una pausa, il tempo che realizzino, poi: - Puoi scordartele le tue libertà municipali: dopo di noi, sarà il vostro turno sul patibolo. Pensaci, Judefeldt. Pensaci bene.
I due borghigiani sono immobili, lo sguardo su Kibbenbrock e poi intorno, a cercare un invisibile consigliere.
Von Merfeld incredulo: - Judefeldt, non vorrai ascoltare questi due pezzenti!? Non vedi che stanno cercando di salvarsi la vita, sono alla disperazione ormai, quando Sua Signoria sarà qui sistemeremo tutto, c'è un accordo tra di noi, ricordatelo.
Ancora silenzio.
Ascolto il battito del cuore, che dà il ritmo allo scorrere del tempo.
Wördemann recita a mente il Rosario della contabilità.
Judefeldt pensa alla moglie.
Judefeldt pensa all'esercito del vescovo.
Judefeldt pensa ai suoi quaranta uomini asserragliati nel convento.
Pensa ai baffi ridicoli di von Merfeld.
Pensa alla troia di sua sorella la badessa, che sí, s'è sempre saputo che era la spia del vescovo in città.
Pensa alle ghirlande sulle case dei cattolici...
Allargo le braccia: - Siamo venuti disarmati. Smettiamo di combatterci e difendiamo insieme la nostra città. Che cazzo c'entrano i nobili? Münster siamo noi, non i papisti, non i vescovili.
Von Merfeld sbotta: - Per dio, non potete lasciarvi convincere cosí da due bifolchi con la lingua sciolta!
Judefeldt sospira e stritola un serpente immaginario nel pugno: - Non sono loro a convincermi, signore di Wolbeck. Voi ci portate promesse.
- La parola di Sua Signoria Franz von Waldeck!
- Ma questi... bifolchi, come li chiamate, offrono la pace senza bisogno di alcuna armata mercenaria in città, è una proposta che devo prendere in considerazione.
Von Merfeld impreca: - Ma non vorrete credere a queste facce di merda!?
- Sono ancora il borgomastro di questa città. Devo pensare all'interesse dei suoi abitanti. Sappiamo che i cattolici hanno ricevuto l'ordine di appendere ghirlande fuori dalle porte di casa. Perché, signore, sapete spiegarmelo? È forse perché i mercenari del vescovo possano riconoscere quali case risparmiare dal saccheggio? Non erano questi i nostri accordi...
Von Merfeld impietrisce, un cazzuto luterano lo sta accusando apertamente, ma è von Büren il primo a scattare: - Se è cosí, conosco un modo per trattare i voltagabbana! - Sguaina la spada e la punta alla gola del borgomastro.
I luterani reagiscono, ma basta un cenno di von Merfeld e i cavalieri sono in piedi: venti cavalieri armati fino ai denti e addestrati a combattere contro una dozzina di borghigiani impauriti. In uno scontro diretto non ci sarebbe storia.
Von Merfeld mi offre un ghigno trionfante.
È un urlo orribile a spegnerlo, come il gracchiare d'un rapace, dal muro in fondo al cimitero, un grido che gela il sangue e rizza i peli delle braccia, si arrampica su per la schiena come un ragno: - Fermo, porco!
Ombre lunghe di spettri avanzano tra le tombe, l'esercito dei morti che si risvegliano. Qualcuno si butta in ginocchio a pregare.
- Dico a te, porco!
Macabri attraverso il campo emergono dalla notte, alla luce delle torce, l'armata delle ombre, trenta fantasmi con balestre e archibugi spianati, il suo capitano in testa. Si avvicina, due pistole piú grandi di lui, le ali dell'angelo della morte: - Von Büren, figlio di una gran troia -. Si ferma, sputa per terra e sibila: - Sono venuto a mangiarti il cuore.
Il cavaliere sbianca, la spada vacilla.
L'Angelo delle tenebre Redeker si spinge fino a pochi passi da noi: - Tutto bene, Gert?
- Giusto in tempo. La situazione si è a dir poco ribaltata, adesso tocca a voi decidere, signori. O risolviamo subito i nostri conti sul campo, o risalite a cavallo e ve ne andate per dove siete venuti.
I baffi restano sull'attenti, von Büren ha già dato il suo voto abbassando la spada, Judefeldt finalmente respira.
Siamo il doppio di loro e piú determinati. Non abbiamo niente da perdere, e von Merfeld questo lo sa.
Uno schiocco della lingua e un'imprecazione sottovoce, un'ultima occhiata sprezzante al borgomastro, gira sui tacchi e raggiunge i suoi uomini con un gran tintinnio di speroni.
Redeker appoggia la canna al petto di von Büren, quello chiude gli occhi e aspetta il colpo impietrito. Una mano esperta gli slaccia il portamonete dalla cintura: - Fila via, bastardo. Torna a leccare il culo del tuo vescovo.

***

Il sole spunta opaco dietro San Lamberto, mentre ritorniamo alla piazza del Mercato. I cavalieri stanno lasciando la città scortati dagli uomini di Redeker e dai luterani insieme: qualcuno giura di aver visto von Büren piangere di rabbia mentre varcava la porta della città.
Le signore Judefeldt e Wördemann hanno ritrovato i mariti e Knipperdolling cammina al nostro fianco insieme al consigliere Palken e a suo figlio, un filo di voce roca, un occhio pesto, ma l'umore alto, quasi passeggiasse spensierato alla ricerca di un'osteria.
Nell'accampamento siamo accolti da un grido d'esultanza, gli archibugi sparano verso il cielo, una foresta di mani ci solleva sopra le teste, le donne ci baciano, vedo gente spogliarsi, Jan di Leida portato in trionfo da un gruppo di ragazze come se la sola forza delle sue parole avesse sconfitto la iella. La gente abbatte le barricate e si riversa nelle strade, quelle strade che per una notte intera sono state percorse dalla minaccia piú grande. Le finestre si aprono, donne, vecchi e bambini scendono in strada, nonostante il gelo intenso, nonostante l'alba cominci appena a dipanare le tenebre.
Knipperdolling mesce birra per tutti.
Rothmann mi viene incontro soddisfatto, il volto stanco ma ridente: - Ce l'abbiamo fatta. Te l'avevo detto che il Signore ci avrebbe protetti.
- Sí, il Signore e gli archibugi, - sorrido. - E adesso?
- Come?
- E adesso cosa facciamo?
La risposta nella voce di Gresbeck, annerito dal fumo delle torce, sgualcito e sporco, la cicatrice bianca sul sopracciglio sembra essersi ingigantita in mezzo a quel volto scuro.
- E adesso tiriamo il fiato, Capitano Gert dal Pozzo.
Mi sorride, gli stringo la mano mentre lo ringrazio.
Knipperdolling sta ascoltando il messaggio di una delle ronde, aria preoccupata, traballa verso di noi: - Gert, questa non ci voleva...
- Cosa cazzo è successo ancora!?
- Von Waldeck ha scatenato contro di noi i contadini delle sue terre. Stanno venendo qui, tremila dicono, vogliono sistemare le cose in città una volta per tutte.