Torpore. Delle membra, della mente. Non riconosco nessuno, non è la stessa gente che ha battuto i vescovili e i luterani in una sola notte. I miei uomini, loro sí, mi seguirebbero all'inferno, ma non potrò portarli via: qualcuno deve pur restare, a controllare il Giullare, la Regina Bianca e il loro Regno dei Miracoli.
Da solo. Andare via subito, cercare lo sbocco della fogna prima che sia troppo tardi.
Gli eventi di questi giorni fanno paura. Eppure il morale è alle stelle. In una sortita ho catturato un manipolo di cavalieri che tentava di attaccare la Judefeldertor e ora stiamo trattando per uno scambio di prigionieri. Abbiamo anche fatto passare ai vescovili la voglia di venire sotto le mura, fuori portata degli archibugi, a mostrare i loro culi pallidi al grido di «Padre, dammelo, bramo la tua carne!», abitudine che avevano preso nelle serate di sbornia e bisboccia. Con un po' di buona balistica è stato sufficiente centrare uno di loro con una cannonata tra le chiappe riducendolo a bocconi per i cani.
Per una settimana tutti gli uomini sui bastioni hanno pisciato e cagato dentro una botte, che è stata poi fatta rotolare dentro l'accampamento vescovile. Quando quelli l'hanno aperta, il fetore è arrivato quasi fino qua.
Insieme a Gresbeck ho organizzato esercitazioni di tiro per tutti, anche per i ragazzi e le donne. Insegnamo alle ragazze a bollire la pece e a versare calce viva in testa agli assedianti. Ci sono turni di guardia alle mura suddivisi tra tutti i cittadini, di entrambi i sessi, tra i sedici e i cinquant'anni.
Ho fatto mettere una campana su ogni bastione, da suonare in caso di incendio, affinché si possa sapere dove accorrere con l'acqua.
Abbiamo scoperto che Matthys aveva inventariato i beni sequestrati ai luterani e ai papisti, nonché le disponibilità alimentari della città. Aveva annotato tutto, fino all'ultima gallina e all'ultimo uovo. Si può resistere per almeno un anno. E poi? Anzi: e intanto?
Non basta, non può bastare. Le sparate del Profeta Saltimbanco non portano da nessuna parte.
I Paesi Bassi, i fratelli. Raccontare cosa succede a Münster, organizzarli, sceglierli, forse anche addestrarli a combattere. Cercare soldi, munizioni.
Non lo so. Non so se è la cosa giusta da fare, non l'ho mai saputo, ogni volta che ho scelto una strada diversa. Senti solamente che non puoi continuare cosí, che le mura, le pareti, cominciano a starti strette e la tua mente ha bisogno di aria fresca, il tuo corpo di sentire le miglia che scorrono sotto.
Sí. Puoi fare ancora una cosa per questa città, Capitano Gert dal Pozzo.
Impedire che le lascino solo la follia dei suoi profeti.
Münster, lunedí dell'Angelo 1534
- Non chiamarmi pazzo!
Il pugno mi prende sullo zigomo, vado giú.
Jan è una maschera rossa e bionda di furore.
Mi accascio su una sedia: - Con questo hai dimostrato davvero di essere un saltimbanco miserabile.
Trattiene il respiro, muove qualche passo massaggiandosi le nocche sbucciate, china il capo, dondola. Lo scatto di rabbia si vela subito di disperazione.
- Aiutami, Gert, io non so cosa fare.
Lo guardo affranto: un piccolo sarto piagnucoloso e meschino.
- Aiutami. Sono un verme, aiutami, dimmi cosa devo fare. Perché io non lo so, Gert...
Si siede sullo scranno che è stato di Matthys, guarda il pavimento.
- Hai già fatto abbastanza.
Annuisce: - Sono un coglione, sí, un fottuto coglione. Ma volevano una speranza, li hai visti, volevano che dicessi loro quello che ho detto. Mi volevano cosí e l'ho fatto, li ho resi felici, di nuovo forti.
Resto zitto, inerte, la testa pulsa, la botta, la confusione di queste ore.
Sembra riprendersi appena: - Ieri erano perduti, oggi terrebbero testa a von Waldeck a mani nude! - Cerca il mio sguardo. - Io non sono Matthys. Possiamo ricominciare daccapo, possiamo scopare, eh?, banchettare, fare tutto quello che vogliamo. Siamo liberi, Gert, liberi e padroni del mondo.
Non ho voglia di parlare, non ha senso, ma le parole escono da sole, per me e per il fratellastro pazzo con cui ho condiviso il fetore delle stalle: il nuovo profeta di Münster.
- Quale mondo, Jan? Von Waldeck non è un fesso, i potenti non lo sono mai. Potente aiuta potente, principe appoggia principe: papisti, luterani... non ha alcuna importanza, quando quelli che stanno sotto si ribellano, te li ritrovi tutti uniti, coi loro cavalieri e le armature luccicanti, schierati per caricare. Questo è il mondo là fuori. E stai sicuro che non è cambiato solo perché hai regalato a questa gente il bel sogno di Sion.
Piagnucola come un cucciolo, le dita affondate nei riccioli biondi.
- Dimmelo tu. Tu sai cosa va fatto. Farò quello che mi dici, ma non lasciarmi, Gert...
Mi alzo stordito: - Ti sbagli. Non lo so nemmeno io. Non lo so piú.
Guadagno la porta tra i suoi guaiti infantili.
Lei è lí dietro. Ha ascoltato tutto.
I capelli sono talmente chiari e luminosi da sembrare di platino.
Divara: una veste discinta, che lascia intravedere il corpo perfetto. Nel volto l'innocenza di una bambina, bianca regina bambina, figlia d'un birraio di Haarlem.
Un tocco lieve mi solleva la mano e ci fa scivolare una piccola lama.
- Uccidilo, - mormora appena, indifferente, come parlasse d'un ragno sul muro, o di un vecchio cane moribondo a cui concedere requie.
La vestaglia aperta sul seno turgido, a rivelare il premio. Gli occhi di un blu intenso che incutono terrore fin nelle ossa, i peli ritti come spilli, il cuore a tamburo. Una catasta di cadaveri: visione di ciò che può succedere, l'abisso spalancato da una ragazzina di quindici anni. Devo aggrapparmi al corrimano delle scale, barcollando giú, lontano dalla Venere Dispensatrice di Morte.
Il pugno mi prende sullo zigomo, vado giú.
Jan è una maschera rossa e bionda di furore.
Mi accascio su una sedia: - Con questo hai dimostrato davvero di essere un saltimbanco miserabile.
Trattiene il respiro, muove qualche passo massaggiandosi le nocche sbucciate, china il capo, dondola. Lo scatto di rabbia si vela subito di disperazione.
- Aiutami, Gert, io non so cosa fare.
Lo guardo affranto: un piccolo sarto piagnucoloso e meschino.
- Aiutami. Sono un verme, aiutami, dimmi cosa devo fare. Perché io non lo so, Gert...
Si siede sullo scranno che è stato di Matthys, guarda il pavimento.
- Hai già fatto abbastanza.
Annuisce: - Sono un coglione, sí, un fottuto coglione. Ma volevano una speranza, li hai visti, volevano che dicessi loro quello che ho detto. Mi volevano cosí e l'ho fatto, li ho resi felici, di nuovo forti.
Resto zitto, inerte, la testa pulsa, la botta, la confusione di queste ore.
Sembra riprendersi appena: - Ieri erano perduti, oggi terrebbero testa a von Waldeck a mani nude! - Cerca il mio sguardo. - Io non sono Matthys. Possiamo ricominciare daccapo, possiamo scopare, eh?, banchettare, fare tutto quello che vogliamo. Siamo liberi, Gert, liberi e padroni del mondo.
Non ho voglia di parlare, non ha senso, ma le parole escono da sole, per me e per il fratellastro pazzo con cui ho condiviso il fetore delle stalle: il nuovo profeta di Münster.
- Quale mondo, Jan? Von Waldeck non è un fesso, i potenti non lo sono mai. Potente aiuta potente, principe appoggia principe: papisti, luterani... non ha alcuna importanza, quando quelli che stanno sotto si ribellano, te li ritrovi tutti uniti, coi loro cavalieri e le armature luccicanti, schierati per caricare. Questo è il mondo là fuori. E stai sicuro che non è cambiato solo perché hai regalato a questa gente il bel sogno di Sion.
Piagnucola come un cucciolo, le dita affondate nei riccioli biondi.
- Dimmelo tu. Tu sai cosa va fatto. Farò quello che mi dici, ma non lasciarmi, Gert...
Mi alzo stordito: - Ti sbagli. Non lo so nemmeno io. Non lo so piú.
Guadagno la porta tra i suoi guaiti infantili.
Lei è lí dietro. Ha ascoltato tutto.
I capelli sono talmente chiari e luminosi da sembrare di platino.
Divara: una veste discinta, che lascia intravedere il corpo perfetto. Nel volto l'innocenza di una bambina, bianca regina bambina, figlia d'un birraio di Haarlem.
Un tocco lieve mi solleva la mano e ci fa scivolare una piccola lama.
- Uccidilo, - mormora appena, indifferente, come parlasse d'un ragno sul muro, o di un vecchio cane moribondo a cui concedere requie.
La vestaglia aperta sul seno turgido, a rivelare il premio. Gli occhi di un blu intenso che incutono terrore fin nelle ossa, i peli ritti come spilli, il cuore a tamburo. Una catasta di cadaveri: visione di ciò che può succedere, l'abisso spalancato da una ragazzina di quindici anni. Devo aggrapparmi al corrimano delle scale, barcollando giú, lontano dalla Venere Dispensatrice di Morte.
Münster, Pasqua 1534
Soprassalto di sudore freddo da un sonno agitato, madido nonostante la pioggia che picchia furiosa sopra i battenti, pulso paura ancestrale, libero il petto con un rantolo sordo, rauco. Sbarro gli occhi inerme.
Lampi gialli squarciano la penombra del primo mattino.
Giorno di Resurrezione.
Primo scenario: al calar del sole la piazza è piena, ci sono tutti, ci si aspetta un discorso del Profeta. Matthys sale sul palco, parla alla folla, dà una qualche motivazione per la mancata Apocalisse, verosimilmente attribuendo la colpa agli eletti non ancora puri. Il palco è addossato al fianco meridionale della Cattedrale. Venti uomini, con me, entrano dalla facciata occidentale ed escono dalla finestra del transetto che sta proprio dietro al Profeta. Gli altri dieci sono tra le prime file. Non si dà alle guardie il tempo di reagire. Gresbeck afferra Matthys alle spalle e gli porta la lama alla gola. Il Capitano Gert spiega perché Enoch deve morire.
Secondo scenario: Enoch guida il popolo dei santi alla battaglia finale. Lasciarlo fare. L'esercito raccattato di von Waldeck può essere travolto. Venti dei miei nei posti chiave della battaglia. Il resto fa quadrato attorno al Profeta e tiene d'occhio la sua guardia personale. Nella confusione della battaglia cogliere il momento propizio. La pistola del Capitano Gert lascia Enoch sul campo.
La Cattedrale spalanca le fauci.
Quattro gradini larghi e sottili, di una spanna ciascuno, rialzano i due pilastri a sostegno dell'arco che precede e sovrasta il portale; appuntito al culmine, frastagliato sul bordo inferiore da tredici merletti di pietra come zanne acuminate. Due passi poi ancora quattro gradini, piú stretti e ripidi, fino alle due porte. In mezzo, sorta di ugola, una statua sorretta da una colonna sottile. Ai lati della seconda scalinata restringono gradualmente l'apertura tre nicchie per parte. Dall'arco delle labbra e dei denti fino alla gola scura, grande affollamento di statue, specie sul palato, come dannati ingoiati dal mostro.
Sovrastano l'ingresso gli occhi enormi di una vetrata dai fini ricami, affiancata da due grezze finestrelle per ogni lato. Chiude il volto il frontone triangolare, su cui campeggiano tre pinnacoli: le corna.
La facciata è racchiusa dalle massicce torri quadrate, profilate da due ordini di archi pensili, semplici i primi, duplici i secondi, e aperte da due ordini di bifore di grandezza progressiva. Da una parte e dall'altra, le due ali del transetto sono zampe pesantemente accovacciate sul terreno.
Fradicio di pioggia, mi lascio inghiottire.
Quasi metà dell'attuale popolazione di Münster è riunita fin dai vespri di sabato tra queste tre imponenti navate. In ginocchio, le mani giunte, attendono cantando sommessamente ciò che il Profeta ha predetto per questo giorno.
- Oggi farò sparire dalla terra ogni cosa, dice il Signore. Distruggerò uomini e bestie. Sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, abbatterò gli empi. Sterminerò l'uomo dalla terra. Come un diluvio è il giorno finale. Questa nostra città è l'arca costruita col legno della penitenza e della giustizia. Essa galleggerà sulle acque della vendetta finale.
Dio non chiese a Noè di avvisare il mondo di quanto stava per accadere. E quando le acque si ritirarono, promise che mai piú avrebbe colpito ogni essere vivente come in quel giorno. Da allora, ogni qual volta il Signore nutre propositi di distruzione, sceglie un profeta che indichi ai suoi simili la strada della conversione. Geremia parlò al Re di Giuda, Giona attraversò Ninive, Ezechiele fu mandato agli Israeliti, Amos percorse il deserto.
Se mando la spada contro un paese e il popolo di quella terra sceglie una sentinella, e questa, vedendo sopraggiungere la spada sul paese, suona la tromba e dà l'allarme al popolo, se colui che ben sente il suono della tromba non ci bada e la spada giunge e lo sorprende, egli dovrà a se stesso la propria rovina. Se invece la sentinella vede giungere la spada e non suona la tromba e la spada giunge e sorprende qualcuno, questi sarà sorpreso per la sua iniquità: ma della sua morte domanderò conto alla sentinella.
Io non godo della morte dell'empio, dice il Signore Dio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Se Dio volesse giudicare il mondo cosí come è, non si servirebbe di profeti. Se Dio volesse convertire tutti gli empi, infonderebbe loro il suo Spirito, ma non si servirebbe di profeti.
Jan Matthys di Haarlem fu chiamato per diffondere la parola di Dio fin dove la sua voce potesse giungere. Oltre quel confine il Signore avrà chiamato a sé altri profeti: presso il Turco, nel Nuovo Mondo, nel Catai.
Fuori da queste mura, dove la morte affila la sua falce, stanno uomini che non per loro distrazione sono stati sordi alla tromba. I mercenari al soldo dei principi, i disperati costretti dalla fame a combattere guerre non loro, ai quali sono state raccontate soltanto bugie sul nostro conto. Quanti di loro entrerebbero nell'arca se qualcuno gli dicesse che il denaro è stato abolito, ogni bene messo in comune, che unica erudizione è quella della Bibbia e unica legge quella di Dio?
Se il Profeta della Nuova Gerusalemme non parlerà loro per distoglierli da una condotta infame, dettata solo dalla miseria, allora il Signore chiederà conto soltanto a lui della loro rovina.
C'è un tempo e un luogo per cui ogni cosa abbia un inizio e una fine. Ecco, il nostro tempo è finito. Il Signore giunge, e il profeta diviene nulla. Le porte del Regno sono spalancate. Egli adempirà al suo mandato, com'è scritto nel Piano.
Knipperdolling non riesce a capire. Con lo sguardo incredulo segue i passi di Matthys verso l'uscita. Prova a domandare qualcosa a Rothmann, ma non ottiene risposta. Il volto malato del predicatore non tradisce emozioni, le labbra mosse dal tremolare di una preghiera. Forse la conoscenza della Bibbia e dei suoi profeti lo aiuta a essere piú lungimirante di me e Gresbeck sul comportamento di Matthys. Heinrich, addossato a un pilastro, pare una statua. Riesce a fatica a voltare il collo per cercare i miei occhi. Che facciamo adesso? Jan di Leida sfoglia freneticamente la Bibbia in cerca di risposte da tradurre sulla scena. Qualcuno intona il Dies Irae. Una sorta di processione spontanea scorre lungo la navata centrale.
Spingo per raggiungere la porta, pronto a qualunque scenario.
Un raggio di sole malato accompagna il suo incedere deciso.
Il profeta di Münster varca la Ludgeritor e si lascia alle spalle la città, scortato da una dozzina di uomini. Nessun altro ha potuto seguirlo: ognuno ha il suo ruolo nel Piano.
Ci accalchiamo sulle mura.
Il campo del principe vescovo è ben visibile, a poca distanza, sfocato appena dai vapori che salgono dalla terra umida.
Li vediamo avanzare verso il terrapieno scavato dai mercenari del vescovo. Trambusto nelle loro fila, puntano gli archibugi.
Matthys fa cenno ai suoi di fermarsi.
Matthys prosegue da solo.
Matthys è disarmato.
Attoniti. Cosa vuole fare?
Nessuno respira.
Matthys alza le braccia al cielo, altissime, i capelli neri sconvolti dalla pioggia.
È fuori tiro, ma basta una breve corsa, poche decine di passi.
Tutti zitti, come se il vento potesse portare le sue parole fino agli spalti.
Migliaia di occhi concentrati sull'unico punto. L'ultimo istante.
Il Piano.
Avanza ancora. Sale in piedi sul primo muro basso delle fortificazioni.
Mio Dio, sta per farlo veramente.
Fino a Pasqua.
Un profeta a termine.
Sembra di udite qualcosa, forse l'eco di una parola pronunciata piú forte.
Un movimento, un balzo alle spalle del Profeta. Qualcuno sale, il luccichio di una spada. Cadono in avanti.
Un manipolo di cavalieri esce dall'accampamento e si lancia sulla strada a bloccare il seguito di Matthys. Uomini e cavalli in un solo groviglio.
Gli occhi di tutti si congelano d'orrore, come foglie secche nel ghiaccio.
Non un grido, non un fiato.
L'urlo d'esultanza dei vescovili.
Una mano sulla spalla.
- Vieni via, Gert.
È Gresbeck, faccia scura: - Che cazzo si fa adesso!?
- L'ha fatto veramente...
I münsteriti sono ancora tutti sulle mura, in attesa che accada qualcosa, che quel colpo si rialzi e apra il cielo con una parola di fuoco.
- Che cazzo facciamo, Gert!?
Mi scuote. Quasi scarico la tensione con un sorriso idiota: - Quel bastardo è riuscito a mandare a monte i nostri piani...
- L'importante è che si è tolto di mezzo. Ma adesso?
Guardiamo la gente rifluire per le strade, mentre andiamo in cerca dei borgomastri. Svuotati, inerti fantasmi e sonnambuli che non riescono nemmeno ad avere paura. Gli hanno strappato l'Apocalisse, il Profeta non c'è piú. Di Dio nemmeno l'ombra. Ma questa è davvero l'Ultima Pasqua, con le tombe scoperchiate e le anime dei defunti a vagare in attesa del giudizio. Qualcuno l'ha visto portare in cielo dagli angeli, qualcun altro trascinato negli inferi da un demonio. Affollano le vie, la piazza del Mercato, senza piú voglia di pregare, perché non sanno piú per chi o per cosa valga la pena farlo. Capannelli di persone che parlano a bassa voce si formano un po' dappertutto. Bisogna prendere in mano la situazione, trovare Knipperdolling e Kibbenbrock prima che lo scoramento si trasformi in panico.
Troviamo il secondo borgomastro seduto sui gradini di San Lamberto, il capo chino.
- Dov'è Knipperdolling?
Confuso: - Era con me alle mura, poi non l'ho piú visto.
- Sei sicuro che non sia in chiesa?
Scuote la testa: - Di qui non è passato.
Ci affrettiamo verso la piazza della Cattedrale. Non ho bisogno di guardare Gresbeck: respiriamo gli stessi pessimi presentimenti.
Poco prima del buio la macabra conferma.
Il corpo di Jan di Haarlem in una cesta catapultata oltre le mura. Macellato, a pezzi.
Knipperdolling come impazzito. Di corsa, nel torpore della città, invoca a squarciagola il nome di Jan Bockelson, il novello Davide.
Sul palco a ridosso della Cattedrale si staglia la sagoma inconfondibile del Leidano Pazzo.
Scena prima: il sogno di Re Davide (Knipperdolling nella parte di Matthys, Bockelson in quella di se stesso).
MATTHYS: - Sí, sí. Sei un bastardo Jan di Leida. Un figlio di puttana. Il bastardo e il figlio di puttana che mi succederà alla guida delle schiere del Signore.
BOCKELSON: - No, no! Sono un verme viscido e schifoso, indegno, indegno!
MATTHYS: - Jan, omonimo apostolo mio, tu sai quanto ti amo. E il mio amore non è altro che un riflesso dell'amore piú grande del Padre per te. Verme, nient'altro eri. E io ti ho trascinato fuori dal fango dei bordelli per farti combattere a Münster al mio fianco. Verme. Regale verme a cui spetterà il compito di raccogliere la mia spada e instaurare il Regno. Tra otto giorni il Profeta dovrà lasciare il posto al Signore. E il Signore sceglierà te, per essere guida della Nuova Sion.
BOCKELSON (trattiene le lacrime, non vede piú nessuno, o forse ha tutto chiaro. Molto piú chiaro di me e di Gresbeck): - Vieni avanti Berndt.,
Intermezzo (Knipperdolling, nei panni di se stesso, avanza goffo, lo spadone della Giustizia in mano).
KNIPPERDOLLING: - È vero. Otto giorni fa Jan di Leida mi disse d'essere stato visitato da Matthys in sogno e di aver ricevuto da lui la consegna di portare a compimento il Piano.
Scena seconda: il compimento del Piano (Bockelson nella parte di Dio e di Davide, Knipperdolling nella parte di se stesso).
DIO: - Uomini e donne di Münster, guardate questo piccolo omuncolo. Guardate Davide. Uomini e donne della Nuova Gerusalemme: il Regno è vostro! Per dio, io vinco! Tutto ciò che era promesso si è avverato. Siete i padroni del Regno. Correte sulle mura a ridere in faccia ai vostri nemici, scoreggiate la vostra gioia sui loro grugni bestiali! Essi non possono nulla, Matthys l'ha dimostrato. Egli ha voluto dirvi che gli empi leccastola possono anche ridurlo in briciole grandi come caccole del naso, ma non scalfiranno il Piano! E il mio piano è vincere! Vincere! Una fionda! Una fionda per Davide!
(Knipperdolling si affretta a passare una fionda a Bockelson, di quelle che i contadini usano per tenere lontani i corvi dal raccolto).
DAVIDE: - Cittadini della Nuova Gerusalemme, io sono l'uomo che viene nel nome del Padre: il novello Davide, il bastardo fratellastro di Cristo, il prescelto! Ammirate il Padre, che ha voluto scegliere un mentecatto, un puttaniere, per farne il Suo apostolo, il Suo capitano. E per bocca dell'arcangelo Matthys gli ha annunciato la gravidanza. Sí, gravidanza del compimento del Piano. Jan Matthys non è morto! Matthys il Grande mi ha fecondato con la Parola del Padre e vive in me, vive in tutti voi, perché noi siamo destinati ad andare fino in fondo, siamo noi la forza di Dio, siamo i migliori, i prescelti, i santi, coloro che hanno ereditato la terra e possono usarne come piú ne hanno voglia. Non abbiamo piú limiti: il mondo è finito, è ai nostri piedi! (Tira il fiato, fa planare il suo sguardo azzurro sulla folla, che si è ormai ingrossata fino a riempire la piazza). - Fratelli e sorelle: l'Eden è nostro!
KNIPPERDOLLING (al suo fianco): - Evvia Sion!
La risposta è un colpo che spezza le gambe, una sbornia, uno sparo, un cazzotto al mento, una secchiata d'acqua gelida che mi stordisce. È un evviva urlato a squarciagola da migliaia di persone, a cancellare la disperazione, lo scoraggiamento, la consapevolezza di aver seguito un folle che ora giace a pezzi in un canestro. Meglio crederci fino in fondo allora, meglio continuare a sognare piuttosto che prendere atto della follia collettiva. Lo leggo nei loro occhi, nelle espressioni stravolte di quei volti: meglio un pappone saltimbanco, sí, sí, il figlio di Matthys, meglio lui, ma ridateci l'Apocalisse, ridateci la fede. Ridateci Dio.
Barcollo ammutolito, vedo Bockelson innalzato da una foresta di mani e portato in trionfo per la piazza. Ride e manda baci a tutti quanti, sensuali, provocanti, forse ne ha uno anche per il compare che piú d'una volta l'ha tirato fuori dai guai e lo ha accompagnato fin qui. O forse a tutto questo il Santo Puttaniere non pensa piú. Non uscirà mai piú da questa parte, la migliore interpretazione della sua vita. Jan, sei finalmente riuscito a far calzare il mondo come un guanto al tuo repertorio d'attore. O al contrario, sono i tuoi personaggi che hanno trovato il palcoscenico adatto nel cuore di questi uomini e negli eventi del mondo. Adesso sei Mosè, Giovanni, Elia, e chiunque ti va di essere. Lo sei per sempre: non hai nessuna intenzione di tornare indietro. Sta scritto nel tuo sorriso e nel fatto che non avresti nessun motivo per farlo.
Gran finale: La folla inonda la città, innalza il nuovo profeta di Münster alla Aegiditor, che i vescovili vedano che il morale del popolo di Sion è alto e che c'è un nuovo condottiero. Ma un urlo di ribrezzo e terrore agghiaccia il corteo trionfale. Le donne che hanno spalancato la porta indicano una delle due grandi ante.
Una freccia tiene affisso qualcosa al legno, come un sacchetto sanguinolento. Uno scherzo macabro dei vescovili: devono aver approfittato dell'assenza delle sentinelle per avvicinarsi alle mura e poi scappare.
La folla si apre e avanza Jan di Leida, deciso, stacca la freccia e raccoglie senza battere ciglio lo scroto di Jan Matthys, lo stringe in mano, annuisce ai propri angeli. Alza la voce e i coglioni del Profeta, in bella vista, affinché tutti possano vedere.
BOCKELSON: - Sí. Benché io abbia lasciato una moglie legittima a Leida per seguire il Grande Matthys, egli mi disse che avrei dovuto essere marito della sua donna. Dovrò sposare la vedova del Profeta e usare i coglioni al suo posto. (Si ficca in tasca il grumo sanguinolento e annuncia): - Portate Divara! La mia sposa destinata.
Applausi.
Fine.
Lampi gialli squarciano la penombra del primo mattino.
Giorno di Resurrezione.
Primo scenario: al calar del sole la piazza è piena, ci sono tutti, ci si aspetta un discorso del Profeta. Matthys sale sul palco, parla alla folla, dà una qualche motivazione per la mancata Apocalisse, verosimilmente attribuendo la colpa agli eletti non ancora puri. Il palco è addossato al fianco meridionale della Cattedrale. Venti uomini, con me, entrano dalla facciata occidentale ed escono dalla finestra del transetto che sta proprio dietro al Profeta. Gli altri dieci sono tra le prime file. Non si dà alle guardie il tempo di reagire. Gresbeck afferra Matthys alle spalle e gli porta la lama alla gola. Il Capitano Gert spiega perché Enoch deve morire.
Secondo scenario: Enoch guida il popolo dei santi alla battaglia finale. Lasciarlo fare. L'esercito raccattato di von Waldeck può essere travolto. Venti dei miei nei posti chiave della battaglia. Il resto fa quadrato attorno al Profeta e tiene d'occhio la sua guardia personale. Nella confusione della battaglia cogliere il momento propizio. La pistola del Capitano Gert lascia Enoch sul campo.
La Cattedrale spalanca le fauci.
Quattro gradini larghi e sottili, di una spanna ciascuno, rialzano i due pilastri a sostegno dell'arco che precede e sovrasta il portale; appuntito al culmine, frastagliato sul bordo inferiore da tredici merletti di pietra come zanne acuminate. Due passi poi ancora quattro gradini, piú stretti e ripidi, fino alle due porte. In mezzo, sorta di ugola, una statua sorretta da una colonna sottile. Ai lati della seconda scalinata restringono gradualmente l'apertura tre nicchie per parte. Dall'arco delle labbra e dei denti fino alla gola scura, grande affollamento di statue, specie sul palato, come dannati ingoiati dal mostro.
Sovrastano l'ingresso gli occhi enormi di una vetrata dai fini ricami, affiancata da due grezze finestrelle per ogni lato. Chiude il volto il frontone triangolare, su cui campeggiano tre pinnacoli: le corna.
La facciata è racchiusa dalle massicce torri quadrate, profilate da due ordini di archi pensili, semplici i primi, duplici i secondi, e aperte da due ordini di bifore di grandezza progressiva. Da una parte e dall'altra, le due ali del transetto sono zampe pesantemente accovacciate sul terreno.
Fradicio di pioggia, mi lascio inghiottire.
Quasi metà dell'attuale popolazione di Münster è riunita fin dai vespri di sabato tra queste tre imponenti navate. In ginocchio, le mani giunte, attendono cantando sommessamente ciò che il Profeta ha predetto per questo giorno.
- Oggi farò sparire dalla terra ogni cosa, dice il Signore. Distruggerò uomini e bestie. Sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, abbatterò gli empi. Sterminerò l'uomo dalla terra. Come un diluvio è il giorno finale. Questa nostra città è l'arca costruita col legno della penitenza e della giustizia. Essa galleggerà sulle acque della vendetta finale.
Dio non chiese a Noè di avvisare il mondo di quanto stava per accadere. E quando le acque si ritirarono, promise che mai piú avrebbe colpito ogni essere vivente come in quel giorno. Da allora, ogni qual volta il Signore nutre propositi di distruzione, sceglie un profeta che indichi ai suoi simili la strada della conversione. Geremia parlò al Re di Giuda, Giona attraversò Ninive, Ezechiele fu mandato agli Israeliti, Amos percorse il deserto.
Se mando la spada contro un paese e il popolo di quella terra sceglie una sentinella, e questa, vedendo sopraggiungere la spada sul paese, suona la tromba e dà l'allarme al popolo, se colui che ben sente il suono della tromba non ci bada e la spada giunge e lo sorprende, egli dovrà a se stesso la propria rovina. Se invece la sentinella vede giungere la spada e non suona la tromba e la spada giunge e sorprende qualcuno, questi sarà sorpreso per la sua iniquità: ma della sua morte domanderò conto alla sentinella.
Io non godo della morte dell'empio, dice il Signore Dio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Se Dio volesse giudicare il mondo cosí come è, non si servirebbe di profeti. Se Dio volesse convertire tutti gli empi, infonderebbe loro il suo Spirito, ma non si servirebbe di profeti.
Jan Matthys di Haarlem fu chiamato per diffondere la parola di Dio fin dove la sua voce potesse giungere. Oltre quel confine il Signore avrà chiamato a sé altri profeti: presso il Turco, nel Nuovo Mondo, nel Catai.
Fuori da queste mura, dove la morte affila la sua falce, stanno uomini che non per loro distrazione sono stati sordi alla tromba. I mercenari al soldo dei principi, i disperati costretti dalla fame a combattere guerre non loro, ai quali sono state raccontate soltanto bugie sul nostro conto. Quanti di loro entrerebbero nell'arca se qualcuno gli dicesse che il denaro è stato abolito, ogni bene messo in comune, che unica erudizione è quella della Bibbia e unica legge quella di Dio?
Se il Profeta della Nuova Gerusalemme non parlerà loro per distoglierli da una condotta infame, dettata solo dalla miseria, allora il Signore chiederà conto soltanto a lui della loro rovina.
C'è un tempo e un luogo per cui ogni cosa abbia un inizio e una fine. Ecco, il nostro tempo è finito. Il Signore giunge, e il profeta diviene nulla. Le porte del Regno sono spalancate. Egli adempirà al suo mandato, com'è scritto nel Piano.
Knipperdolling non riesce a capire. Con lo sguardo incredulo segue i passi di Matthys verso l'uscita. Prova a domandare qualcosa a Rothmann, ma non ottiene risposta. Il volto malato del predicatore non tradisce emozioni, le labbra mosse dal tremolare di una preghiera. Forse la conoscenza della Bibbia e dei suoi profeti lo aiuta a essere piú lungimirante di me e Gresbeck sul comportamento di Matthys. Heinrich, addossato a un pilastro, pare una statua. Riesce a fatica a voltare il collo per cercare i miei occhi. Che facciamo adesso? Jan di Leida sfoglia freneticamente la Bibbia in cerca di risposte da tradurre sulla scena. Qualcuno intona il Dies Irae. Una sorta di processione spontanea scorre lungo la navata centrale.
Spingo per raggiungere la porta, pronto a qualunque scenario.
Un raggio di sole malato accompagna il suo incedere deciso.
Il profeta di Münster varca la Ludgeritor e si lascia alle spalle la città, scortato da una dozzina di uomini. Nessun altro ha potuto seguirlo: ognuno ha il suo ruolo nel Piano.
Ci accalchiamo sulle mura.
Il campo del principe vescovo è ben visibile, a poca distanza, sfocato appena dai vapori che salgono dalla terra umida.
Li vediamo avanzare verso il terrapieno scavato dai mercenari del vescovo. Trambusto nelle loro fila, puntano gli archibugi.
Matthys fa cenno ai suoi di fermarsi.
Matthys prosegue da solo.
Matthys è disarmato.
Attoniti. Cosa vuole fare?
Nessuno respira.
Matthys alza le braccia al cielo, altissime, i capelli neri sconvolti dalla pioggia.
È fuori tiro, ma basta una breve corsa, poche decine di passi.
Tutti zitti, come se il vento potesse portare le sue parole fino agli spalti.
Migliaia di occhi concentrati sull'unico punto. L'ultimo istante.
Il Piano.
Avanza ancora. Sale in piedi sul primo muro basso delle fortificazioni.
Mio Dio, sta per farlo veramente.
Fino a Pasqua.
Un profeta a termine.
Sembra di udite qualcosa, forse l'eco di una parola pronunciata piú forte.
Un movimento, un balzo alle spalle del Profeta. Qualcuno sale, il luccichio di una spada. Cadono in avanti.
Un manipolo di cavalieri esce dall'accampamento e si lancia sulla strada a bloccare il seguito di Matthys. Uomini e cavalli in un solo groviglio.
Gli occhi di tutti si congelano d'orrore, come foglie secche nel ghiaccio.
Non un grido, non un fiato.
L'urlo d'esultanza dei vescovili.
Una mano sulla spalla.
- Vieni via, Gert.
È Gresbeck, faccia scura: - Che cazzo si fa adesso!?
- L'ha fatto veramente...
I münsteriti sono ancora tutti sulle mura, in attesa che accada qualcosa, che quel colpo si rialzi e apra il cielo con una parola di fuoco.
- Che cazzo facciamo, Gert!?
Mi scuote. Quasi scarico la tensione con un sorriso idiota: - Quel bastardo è riuscito a mandare a monte i nostri piani...
- L'importante è che si è tolto di mezzo. Ma adesso?
Guardiamo la gente rifluire per le strade, mentre andiamo in cerca dei borgomastri. Svuotati, inerti fantasmi e sonnambuli che non riescono nemmeno ad avere paura. Gli hanno strappato l'Apocalisse, il Profeta non c'è piú. Di Dio nemmeno l'ombra. Ma questa è davvero l'Ultima Pasqua, con le tombe scoperchiate e le anime dei defunti a vagare in attesa del giudizio. Qualcuno l'ha visto portare in cielo dagli angeli, qualcun altro trascinato negli inferi da un demonio. Affollano le vie, la piazza del Mercato, senza piú voglia di pregare, perché non sanno piú per chi o per cosa valga la pena farlo. Capannelli di persone che parlano a bassa voce si formano un po' dappertutto. Bisogna prendere in mano la situazione, trovare Knipperdolling e Kibbenbrock prima che lo scoramento si trasformi in panico.
Troviamo il secondo borgomastro seduto sui gradini di San Lamberto, il capo chino.
- Dov'è Knipperdolling?
Confuso: - Era con me alle mura, poi non l'ho piú visto.
- Sei sicuro che non sia in chiesa?
Scuote la testa: - Di qui non è passato.
Ci affrettiamo verso la piazza della Cattedrale. Non ho bisogno di guardare Gresbeck: respiriamo gli stessi pessimi presentimenti.
Poco prima del buio la macabra conferma.
Il corpo di Jan di Haarlem in una cesta catapultata oltre le mura. Macellato, a pezzi.
Knipperdolling come impazzito. Di corsa, nel torpore della città, invoca a squarciagola il nome di Jan Bockelson, il novello Davide.
Sul palco a ridosso della Cattedrale si staglia la sagoma inconfondibile del Leidano Pazzo.
Scena prima: il sogno di Re Davide (Knipperdolling nella parte di Matthys, Bockelson in quella di se stesso).
MATTHYS: - Sí, sí. Sei un bastardo Jan di Leida. Un figlio di puttana. Il bastardo e il figlio di puttana che mi succederà alla guida delle schiere del Signore.
BOCKELSON: - No, no! Sono un verme viscido e schifoso, indegno, indegno!
MATTHYS: - Jan, omonimo apostolo mio, tu sai quanto ti amo. E il mio amore non è altro che un riflesso dell'amore piú grande del Padre per te. Verme, nient'altro eri. E io ti ho trascinato fuori dal fango dei bordelli per farti combattere a Münster al mio fianco. Verme. Regale verme a cui spetterà il compito di raccogliere la mia spada e instaurare il Regno. Tra otto giorni il Profeta dovrà lasciare il posto al Signore. E il Signore sceglierà te, per essere guida della Nuova Sion.
BOCKELSON (trattiene le lacrime, non vede piú nessuno, o forse ha tutto chiaro. Molto piú chiaro di me e di Gresbeck): - Vieni avanti Berndt.,
Intermezzo (Knipperdolling, nei panni di se stesso, avanza goffo, lo spadone della Giustizia in mano).
KNIPPERDOLLING: - È vero. Otto giorni fa Jan di Leida mi disse d'essere stato visitato da Matthys in sogno e di aver ricevuto da lui la consegna di portare a compimento il Piano.
Scena seconda: il compimento del Piano (Bockelson nella parte di Dio e di Davide, Knipperdolling nella parte di se stesso).
DIO: - Uomini e donne di Münster, guardate questo piccolo omuncolo. Guardate Davide. Uomini e donne della Nuova Gerusalemme: il Regno è vostro! Per dio, io vinco! Tutto ciò che era promesso si è avverato. Siete i padroni del Regno. Correte sulle mura a ridere in faccia ai vostri nemici, scoreggiate la vostra gioia sui loro grugni bestiali! Essi non possono nulla, Matthys l'ha dimostrato. Egli ha voluto dirvi che gli empi leccastola possono anche ridurlo in briciole grandi come caccole del naso, ma non scalfiranno il Piano! E il mio piano è vincere! Vincere! Una fionda! Una fionda per Davide!
(Knipperdolling si affretta a passare una fionda a Bockelson, di quelle che i contadini usano per tenere lontani i corvi dal raccolto).
DAVIDE: - Cittadini della Nuova Gerusalemme, io sono l'uomo che viene nel nome del Padre: il novello Davide, il bastardo fratellastro di Cristo, il prescelto! Ammirate il Padre, che ha voluto scegliere un mentecatto, un puttaniere, per farne il Suo apostolo, il Suo capitano. E per bocca dell'arcangelo Matthys gli ha annunciato la gravidanza. Sí, gravidanza del compimento del Piano. Jan Matthys non è morto! Matthys il Grande mi ha fecondato con la Parola del Padre e vive in me, vive in tutti voi, perché noi siamo destinati ad andare fino in fondo, siamo noi la forza di Dio, siamo i migliori, i prescelti, i santi, coloro che hanno ereditato la terra e possono usarne come piú ne hanno voglia. Non abbiamo piú limiti: il mondo è finito, è ai nostri piedi! (Tira il fiato, fa planare il suo sguardo azzurro sulla folla, che si è ormai ingrossata fino a riempire la piazza). - Fratelli e sorelle: l'Eden è nostro!
KNIPPERDOLLING (al suo fianco): - Evvia Sion!
La risposta è un colpo che spezza le gambe, una sbornia, uno sparo, un cazzotto al mento, una secchiata d'acqua gelida che mi stordisce. È un evviva urlato a squarciagola da migliaia di persone, a cancellare la disperazione, lo scoraggiamento, la consapevolezza di aver seguito un folle che ora giace a pezzi in un canestro. Meglio crederci fino in fondo allora, meglio continuare a sognare piuttosto che prendere atto della follia collettiva. Lo leggo nei loro occhi, nelle espressioni stravolte di quei volti: meglio un pappone saltimbanco, sí, sí, il figlio di Matthys, meglio lui, ma ridateci l'Apocalisse, ridateci la fede. Ridateci Dio.
Barcollo ammutolito, vedo Bockelson innalzato da una foresta di mani e portato in trionfo per la piazza. Ride e manda baci a tutti quanti, sensuali, provocanti, forse ne ha uno anche per il compare che piú d'una volta l'ha tirato fuori dai guai e lo ha accompagnato fin qui. O forse a tutto questo il Santo Puttaniere non pensa piú. Non uscirà mai piú da questa parte, la migliore interpretazione della sua vita. Jan, sei finalmente riuscito a far calzare il mondo come un guanto al tuo repertorio d'attore. O al contrario, sono i tuoi personaggi che hanno trovato il palcoscenico adatto nel cuore di questi uomini e negli eventi del mondo. Adesso sei Mosè, Giovanni, Elia, e chiunque ti va di essere. Lo sei per sempre: non hai nessuna intenzione di tornare indietro. Sta scritto nel tuo sorriso e nel fatto che non avresti nessun motivo per farlo.
Gran finale: La folla inonda la città, innalza il nuovo profeta di Münster alla Aegiditor, che i vescovili vedano che il morale del popolo di Sion è alto e che c'è un nuovo condottiero. Ma un urlo di ribrezzo e terrore agghiaccia il corteo trionfale. Le donne che hanno spalancato la porta indicano una delle due grandi ante.
Una freccia tiene affisso qualcosa al legno, come un sacchetto sanguinolento. Uno scherzo macabro dei vescovili: devono aver approfittato dell'assenza delle sentinelle per avvicinarsi alle mura e poi scappare.
La folla si apre e avanza Jan di Leida, deciso, stacca la freccia e raccoglie senza battere ciglio lo scroto di Jan Matthys, lo stringe in mano, annuisce ai propri angeli. Alza la voce e i coglioni del Profeta, in bella vista, affinché tutti possano vedere.
BOCKELSON: - Sí. Benché io abbia lasciato una moglie legittima a Leida per seguire il Grande Matthys, egli mi disse che avrei dovuto essere marito della sua donna. Dovrò sposare la vedova del Profeta e usare i coglioni al suo posto. (Si ficca in tasca il grumo sanguinolento e annuncia): - Portate Divara! La mia sposa destinata.
Applausi.
Fine.
Münster, 16 marzo 1534
Siamo in perlustrazione. Disegnamo curve che via via si allargano dalle mura della città. In sette saggiamo la saldezza dell'accerchiamento vescovile. Ci muoviamo in silenzio, distanziati, a portata di segnale acustico o luminoso, spesso favoriti dall'oscurità, sulla nuda pietra lastricata da Mastro Inverno e tornita da Fabbro Vento. Non appena scorgiamo le linee mercenarie, prendiamo poi a bordeggiarle occulti, fino a quando troviamo una maglia piú larga.
Pazienti attese, gelide, spostamenti leggeri, furtive incursioni, segnali disseminati e annotati su mappe improvvisate, a imprimere la visione di percorsi, smagliature, vie di fuga.
Abbiamo già eluso due volte il blocco di von Waldeck, riusciremo ancora, abbiamo capito che è sfilacciato, poco efficace, indolente.
Manca una branda dove poggiare le ossa ai coraggiosi fratelli Mayer, eroi delle barricate di febbraio; manca la tazza dove versare l'infuso di erbe copiosamente allungato da acquavite al maniscalco Adrianson; la birra al piú grande dei fratelli Brundt, Pieter, semplice ed entusiasta come il mezzodí.
Heinrich Gresbeck rimpiange, senza dirlo, la lampada che rischiara le incessanti letture notturne di questo soldato impassibile e preciso, la cui brama di conoscenza dev'essere nata in stagioni diverse da questa.
C'è invece Freccia, il falco da caccia che Bart Boekbinder, giovane e raccattato cugino, alleva con cura paterna e risultati sorprendenti.
Quanto a me, non so dire con chiarezza della condizione di questi giorni: mente e corpo viaggiano separati, senza contrastarsi platealmente, ma distanti. A sua volta, il pensiero si divide, come dire, anche da se stesso, in accumulo, foglio sopra foglio, azione dopo ricordo, riflessione sopra decisione, lasciandomi come una grande cipolla, strato su strato, nel cui cuore profondo risuonano, lancinanti e abissali, le parole del Grande Matthys, il Dio Fornaio.
Sproniamo i cavalli appena fuori la Judefeldertor, verso nord-ovest, per aggirare le postazioni dei vescovili.
Gresbeck cavalca al mio fianco, insieme a cinque degli uomini migliori. Ho scelto gente che ha combattuto ai miei ordini il 9 e 10 febbraio: i nuovi arrivati dall'Olanda non mi ispirano una grande fiducia; portano armi, certo, ma soprattutto donne e bambini, bocche da sfamare in un inverno cattivo; quasi non sanno chi sia von Waldeck e nemmeno come tutto questo sia cominciato: vedono soltanto il faro di Gerusalemme nella notte. E l'ardore del Profeta.
Il vescovo ha reclutato un esercito ridicolo, un migliaio di uomini ben armati, ma sottopagati, con pochi motivi per rischiare la pelle; sbalzato dalla cathedra il porco porporato non è piú niente. Dicono che il langravio d'Assia Filippo gli abbia inviato due spingarde gigantesche, dai nomi impressionanti di «Il diavolo» e «Sua madre», ma che si sia rifiutato di mandare truppe. Sono convinto che von Waldeck stia cercando di convincere tutti i signorotti vicini a dargli manforte contro la peste anabattista. Per ora si è limitato a scavare dei terrapieni per chiudere le vie d'uscita in direzione di Anmarsch e Telgte. E dato che non è uno stupido starà mettendo sul chi vive tutti i nobili signori delle terre tra l'Olanda e qui, affinché blocchino l'afflusso di eretici verso Münster.
Galoppiamo fin dentro il bosco di Wasserberger, proseguendo lungo il sentiero che si ricongiunge alla strada per Telgte. Smontiamo, zitti, e portiamo i cavalli fino al limitare dello stagno, tappa obbligata per chiunque scenda dal Nord: gli animali possono bere, una vecchia cascina abbandonata offre riparo dalla neve e dalla pioggia.
Il freddo intenso dissolve il fiato davanti alle barbe. Ci acquattiamo sul muschio umido.
Contiamo una dozzina di uomini, archibugi, una fila di stendardi, un piccolo cannone.
- Mercenari del vescovo -. La cicatrice campeggia piú bianca del solito.
- Conosci le insegne?
Gresbeck alza le spalle: - Non mi pare. Forse il capitano Kempel... Te l'ho detto, è una vita che non torno da queste parti.
- Questa è gente che combatte per quattro soldi, sciacalli. Con quello che si è requisito ai luterani e ai papisti potremmo offrirgli una paga piú alta di quella che passa von Waldeck.
- Mmh. È un'idea. Ma meglio andar cauti, la nostra forza è la fratellanza.
- Si potrebbero stampare dei fogli volanti e diffonderli per le campagne.
- Münster non può accogliere gente all'infinito.
- Infatti. Bisognerebbe prendere contatti con i fratelli olandesi e tedeschi. Münster può essere l'esempio. Abbiamo dimostrato che si può fare. Ma perché non Amsterdam, o Emden...?
Torniamo ai cavalli e ci rimettiamo in marcia per completare la perlustrazione.
Decido di dirglielo. Devo sapere su chi posso contare.
- Matthys è pericoloso, Heinrich. Potrebbe bruciare tutto quello che abbiamo fatto. Gli basterebbe un giorno.
L'ex mercenario mi guarda strano, qualcosa lo rode.
Di nuovo: - Non voglio che finisca cosí. Ho conosciuto Melchior Hofmann, anche lui aveva stabilito una data per la fine del mondo. Il giorno è trascorso, non è successo niente e la sua reputazione è volata via.
Cavalchiamo avanti agli altri, non possono sentire i nostri discorsi.
- Quell'uomo ha le palle, Gert: ha abolito il denaro e da che sono al mondo non avevo mai pensato che si potesse fare una cosa del genere. Invece lui l'ha fatta schioccando le dita...
- E mettendo a tacere chiunque apre la bocca.
- Parla chiaro. Cosa pensi di fare?
Devo dirglielo.
- Voglio fermarlo, Heinrich. Voglio impedirgli di diventare il nuovo vescovo di Münster, o di trascinarci tutti quanti in un'ecatombe di sangue. Devo essere io a farlo. Rothmann è malato, debole. Knipperdolling e Kibbenbrock non attaccherebbero mai l'autorità del profeta, se la fanno sotto.
Rimaniamo zitti, ad ascoltare gli zoccoli che pestano il terreno, lo sbuffare dei cavalli.
È lui a parlare di nuovo: - Non succederà proprio niente il giorno di Pasqua.
Forse è piú di una parola d'intesa.
- Proprio questo è il problema. Cosa ha intenzione di fare Matthys quel giorno. È un pazzo, Heinrich, un pazzo pericoloso.
Sembra incredibile: poco piú di un mese fa eravamo i padroni di Münster; oggi parliamo sottovoce, lontani dalle orecchie di tutti, come se il dubbio fosse un reato mortale.
- Ha dato un termine, e in vista di quel termine detiene l'autorità assoluta. Possiamo incastrarlo.
- Sputtanarlo davanti a tutti?
Deglutisco: - Oppure ucciderlo.
Le ossa si gelano appena le parole vengono pronunciate, come se l'inverno volesse suggellarle in una morsa ghiacciata.
Ancora pochi metri in silenzio. Sembra di avvertire il brusio confuso dei suoi pensieri.
Lo sguardo rimane piantato in fondo alla strada: - Sarebbe la guerra in città. Tutta quella gente venuta da fuori lo ama. I münsteriti, loro forse ti seguirebbero, ma ogni giorno che passa diventano sempre piú una minoranza.
- Hai ragione. Ma non si può restare a guardare, mentre quello per cui si è lottato va in fumo.
Di nuovo il rumore dei suoi pensieri.
- Chi ha provato a contestarlo ha lasciato il sangue sul selciato della piazza.
Annuisco: - Appunto. Non è per questo che hai usato le tue pistole contro i luterani e i vescovili.
***
La città sembra deserta. Silenzio, nessuno per le strade. Ci guardiamo preoccupati, come chi annusa nell'aria una sciagura consumata; ma non parliamo, lasciamo i cavalli e ci incamminiamo insieme, come attratti da un magnete verso il teatro centrale, la grande piazza della Cattedrale. A ogni passo sale l'ansia di una minaccia ignota, eppure nitida, presente, discesa sulla città a inghiottirla tutta. Dove sono finiti gli abitanti? Non c'è piú nessuno, non un cane pulcioso. Affrettiamo il passo all'unisono.
La nuvola biancastra sbuffa sopra la fila di costruzioni che delimita la strada stretta che porta alla piazza.
È piena.
Brusio di folla che si dispone tutta intorno al suo centro, lo ossequia rapita, dove campeggia la pira che sprizza lingue di fuoco. Osceno altare innalzato all'oblio, la parola di Dio scaccia quella degli uomini, vomita il suo trionfo sopra le nostre schiene, seppellisce il nostro sguardo sotto una coltre impenetrabile; il suo fiato alita sopra le nostre teste; il suo occhio ci scova implacabile, ci dà la caccia fin dove non potremmo nasconderci, dentro i nostri pensieri, dentro il desiderio di poter essere, un giorno, piú saggi. A uccidere ogni curiosità, e ogni ingegno.
Sale piano il fumo del rogo dei libri. A manciate raccolgono i volumi che vengono scaricati sul selciato dai carri, e li gettano nel falò; una colonna di fuoco alta fino a lambire il cielo; per richiamare gli angeli col fumo di Pietro Lombardo, Agostino, Tacito, Cesare, Aristotele...
Il Profeta, ritto in piedi sul palco, stringe in mano una Bibbia. Sono certo che mi vede. Sillabe che non superano il vociare esaltato della gente, né il crepitio del fuoco, ma sono pronunciate per me, da quelle labbra sottili.
- Vane parole d'uomini, non vedrete il giorno del tuono. La Parola, e soltanto essa, canterà il giudizio del Padre.
La catasta cresce e si consuma, si alza e incenerisce, scorgo una copia di Erasmo, a dimostrare che quel Dio non ha piú bisogno della nostra lingua, e non ci darà pace. Il vecchio mondo si consuma come pergamena nel fuoco...
Al mio fianco, il volto livido di Gresbeck, truce e forte: - Sarò con te.
Pazienti attese, gelide, spostamenti leggeri, furtive incursioni, segnali disseminati e annotati su mappe improvvisate, a imprimere la visione di percorsi, smagliature, vie di fuga.
Abbiamo già eluso due volte il blocco di von Waldeck, riusciremo ancora, abbiamo capito che è sfilacciato, poco efficace, indolente.
Manca una branda dove poggiare le ossa ai coraggiosi fratelli Mayer, eroi delle barricate di febbraio; manca la tazza dove versare l'infuso di erbe copiosamente allungato da acquavite al maniscalco Adrianson; la birra al piú grande dei fratelli Brundt, Pieter, semplice ed entusiasta come il mezzodí.
Heinrich Gresbeck rimpiange, senza dirlo, la lampada che rischiara le incessanti letture notturne di questo soldato impassibile e preciso, la cui brama di conoscenza dev'essere nata in stagioni diverse da questa.
C'è invece Freccia, il falco da caccia che Bart Boekbinder, giovane e raccattato cugino, alleva con cura paterna e risultati sorprendenti.
Quanto a me, non so dire con chiarezza della condizione di questi giorni: mente e corpo viaggiano separati, senza contrastarsi platealmente, ma distanti. A sua volta, il pensiero si divide, come dire, anche da se stesso, in accumulo, foglio sopra foglio, azione dopo ricordo, riflessione sopra decisione, lasciandomi come una grande cipolla, strato su strato, nel cui cuore profondo risuonano, lancinanti e abissali, le parole del Grande Matthys, il Dio Fornaio.
Sproniamo i cavalli appena fuori la Judefeldertor, verso nord-ovest, per aggirare le postazioni dei vescovili.
Gresbeck cavalca al mio fianco, insieme a cinque degli uomini migliori. Ho scelto gente che ha combattuto ai miei ordini il 9 e 10 febbraio: i nuovi arrivati dall'Olanda non mi ispirano una grande fiducia; portano armi, certo, ma soprattutto donne e bambini, bocche da sfamare in un inverno cattivo; quasi non sanno chi sia von Waldeck e nemmeno come tutto questo sia cominciato: vedono soltanto il faro di Gerusalemme nella notte. E l'ardore del Profeta.
Il vescovo ha reclutato un esercito ridicolo, un migliaio di uomini ben armati, ma sottopagati, con pochi motivi per rischiare la pelle; sbalzato dalla cathedra il porco porporato non è piú niente. Dicono che il langravio d'Assia Filippo gli abbia inviato due spingarde gigantesche, dai nomi impressionanti di «Il diavolo» e «Sua madre», ma che si sia rifiutato di mandare truppe. Sono convinto che von Waldeck stia cercando di convincere tutti i signorotti vicini a dargli manforte contro la peste anabattista. Per ora si è limitato a scavare dei terrapieni per chiudere le vie d'uscita in direzione di Anmarsch e Telgte. E dato che non è uno stupido starà mettendo sul chi vive tutti i nobili signori delle terre tra l'Olanda e qui, affinché blocchino l'afflusso di eretici verso Münster.
Galoppiamo fin dentro il bosco di Wasserberger, proseguendo lungo il sentiero che si ricongiunge alla strada per Telgte. Smontiamo, zitti, e portiamo i cavalli fino al limitare dello stagno, tappa obbligata per chiunque scenda dal Nord: gli animali possono bere, una vecchia cascina abbandonata offre riparo dalla neve e dalla pioggia.
Il freddo intenso dissolve il fiato davanti alle barbe. Ci acquattiamo sul muschio umido.
Contiamo una dozzina di uomini, archibugi, una fila di stendardi, un piccolo cannone.
- Mercenari del vescovo -. La cicatrice campeggia piú bianca del solito.
- Conosci le insegne?
Gresbeck alza le spalle: - Non mi pare. Forse il capitano Kempel... Te l'ho detto, è una vita che non torno da queste parti.
- Questa è gente che combatte per quattro soldi, sciacalli. Con quello che si è requisito ai luterani e ai papisti potremmo offrirgli una paga piú alta di quella che passa von Waldeck.
- Mmh. È un'idea. Ma meglio andar cauti, la nostra forza è la fratellanza.
- Si potrebbero stampare dei fogli volanti e diffonderli per le campagne.
- Münster non può accogliere gente all'infinito.
- Infatti. Bisognerebbe prendere contatti con i fratelli olandesi e tedeschi. Münster può essere l'esempio. Abbiamo dimostrato che si può fare. Ma perché non Amsterdam, o Emden...?
Torniamo ai cavalli e ci rimettiamo in marcia per completare la perlustrazione.
Decido di dirglielo. Devo sapere su chi posso contare.
- Matthys è pericoloso, Heinrich. Potrebbe bruciare tutto quello che abbiamo fatto. Gli basterebbe un giorno.
L'ex mercenario mi guarda strano, qualcosa lo rode.
Di nuovo: - Non voglio che finisca cosí. Ho conosciuto Melchior Hofmann, anche lui aveva stabilito una data per la fine del mondo. Il giorno è trascorso, non è successo niente e la sua reputazione è volata via.
Cavalchiamo avanti agli altri, non possono sentire i nostri discorsi.
- Quell'uomo ha le palle, Gert: ha abolito il denaro e da che sono al mondo non avevo mai pensato che si potesse fare una cosa del genere. Invece lui l'ha fatta schioccando le dita...
- E mettendo a tacere chiunque apre la bocca.
- Parla chiaro. Cosa pensi di fare?
Devo dirglielo.
- Voglio fermarlo, Heinrich. Voglio impedirgli di diventare il nuovo vescovo di Münster, o di trascinarci tutti quanti in un'ecatombe di sangue. Devo essere io a farlo. Rothmann è malato, debole. Knipperdolling e Kibbenbrock non attaccherebbero mai l'autorità del profeta, se la fanno sotto.
Rimaniamo zitti, ad ascoltare gli zoccoli che pestano il terreno, lo sbuffare dei cavalli.
È lui a parlare di nuovo: - Non succederà proprio niente il giorno di Pasqua.
Forse è piú di una parola d'intesa.
- Proprio questo è il problema. Cosa ha intenzione di fare Matthys quel giorno. È un pazzo, Heinrich, un pazzo pericoloso.
Sembra incredibile: poco piú di un mese fa eravamo i padroni di Münster; oggi parliamo sottovoce, lontani dalle orecchie di tutti, come se il dubbio fosse un reato mortale.
- Ha dato un termine, e in vista di quel termine detiene l'autorità assoluta. Possiamo incastrarlo.
- Sputtanarlo davanti a tutti?
Deglutisco: - Oppure ucciderlo.
Le ossa si gelano appena le parole vengono pronunciate, come se l'inverno volesse suggellarle in una morsa ghiacciata.
Ancora pochi metri in silenzio. Sembra di avvertire il brusio confuso dei suoi pensieri.
Lo sguardo rimane piantato in fondo alla strada: - Sarebbe la guerra in città. Tutta quella gente venuta da fuori lo ama. I münsteriti, loro forse ti seguirebbero, ma ogni giorno che passa diventano sempre piú una minoranza.
- Hai ragione. Ma non si può restare a guardare, mentre quello per cui si è lottato va in fumo.
Di nuovo il rumore dei suoi pensieri.
- Chi ha provato a contestarlo ha lasciato il sangue sul selciato della piazza.
Annuisco: - Appunto. Non è per questo che hai usato le tue pistole contro i luterani e i vescovili.
***
La città sembra deserta. Silenzio, nessuno per le strade. Ci guardiamo preoccupati, come chi annusa nell'aria una sciagura consumata; ma non parliamo, lasciamo i cavalli e ci incamminiamo insieme, come attratti da un magnete verso il teatro centrale, la grande piazza della Cattedrale. A ogni passo sale l'ansia di una minaccia ignota, eppure nitida, presente, discesa sulla città a inghiottirla tutta. Dove sono finiti gli abitanti? Non c'è piú nessuno, non un cane pulcioso. Affrettiamo il passo all'unisono.
La nuvola biancastra sbuffa sopra la fila di costruzioni che delimita la strada stretta che porta alla piazza.
È piena.
Brusio di folla che si dispone tutta intorno al suo centro, lo ossequia rapita, dove campeggia la pira che sprizza lingue di fuoco. Osceno altare innalzato all'oblio, la parola di Dio scaccia quella degli uomini, vomita il suo trionfo sopra le nostre schiene, seppellisce il nostro sguardo sotto una coltre impenetrabile; il suo fiato alita sopra le nostre teste; il suo occhio ci scova implacabile, ci dà la caccia fin dove non potremmo nasconderci, dentro i nostri pensieri, dentro il desiderio di poter essere, un giorno, piú saggi. A uccidere ogni curiosità, e ogni ingegno.
Sale piano il fumo del rogo dei libri. A manciate raccolgono i volumi che vengono scaricati sul selciato dai carri, e li gettano nel falò; una colonna di fuoco alta fino a lambire il cielo; per richiamare gli angeli col fumo di Pietro Lombardo, Agostino, Tacito, Cesare, Aristotele...
Il Profeta, ritto in piedi sul palco, stringe in mano una Bibbia. Sono certo che mi vede. Sillabe che non superano il vociare esaltato della gente, né il crepitio del fuoco, ma sono pronunciate per me, da quelle labbra sottili.
- Vane parole d'uomini, non vedrete il giorno del tuono. La Parola, e soltanto essa, canterà il giudizio del Padre.
La catasta cresce e si consuma, si alza e incenerisce, scorgo una copia di Erasmo, a dimostrare che quel Dio non ha piú bisogno della nostra lingua, e non ci darà pace. Il vecchio mondo si consuma come pergamena nel fuoco...
Al mio fianco, il volto livido di Gresbeck, truce e forte: - Sarò con te.
Münster, un'ora dopo
È invecchiato. Seduto sul bordo del letto, l'aura dell'amabile predicatore scomparsa. Il volto scavato, ulcerato dal freddo. Ricurvo, abbandona per un attimo i pensieri, mi concede uno sguardo vacuo, torna a chinare la testa.
- Cosa dobbiamo fare?
Bernhard Rothmann si passa le mani sulla faccia, chiude gli occhi: - Non buttiamo via tutto. Non sta accadendo come l'avevamo pensato, ma sta accadendo.
- Che cosa, cosa sta succedendo?
Un sospiro: - Qualcosa mai avvenuto prima: l'abolizione del censo, la comunanza dei beni, il riscatto degli ultimi su questa terra...
- Il sangue di Ruecher.
Cupo, di nuovo le mani sul volto.
- Ha cancellato la speranza, Bernhard. Leggi nuove non ce la daranno indietro. Prima Dio combatteva al nostro fianco. Adesso è tornato a terrorizzarci.
Rothmann continua a fissare il vuoto, mormora: - Sto pregando, fratello Gert, sto pregando molto...
Lo lascio solo con l'angoscia che gli piega la schiena a sussurrare invocazioni che non troveranno ascolto.
Quello che devo fare.
***
Mi si para di fronte il sontuoso portale di palazzo Wördemann, fregiato di placche e bulbi di bronzo, incisioni raffinate nel legno secolare, fino alla sommità. È qui, nella dimora dell'uomo piú ricco della città, che il Profeta si è stabilito.
Appena dentro, quattro uomini armati: facce sconosciute, gente di fuori, olandesi probabilmente.
- Devo perquisirti, fratello.
Mi squadra, mi riconosce forse, ma ha ricevuto degli ordini.
Un'occhiata truce: - Sono il Capitano Gert dal Pozzo, che cazzo vuoi?
Intuisce: - Non posso lasciar salire nessuno, se prima non l'ho frugato.
L'altro guardiano annuisce, archibugio in spalla, faccia tonta. Rispondo in olandese: - Sai chi sono.
Alza le spalle imbarazzato: - Jan Matthys mi ha detto di non lasciar entrare nessuno armato. Che posso farci?
E va bene, lascio la pistola e la daga. Una seconda occhiata basta a scoraggiarlo, non osa toccarmi.
Mi accompagna su per le scale illuminando i gradini con la lanterna.
Quello che devo fare.
In cima alla seconda rampa, un corridoio, un'altra luce cattura lo sguardo, viene da una stanza laterale, la porta è aperta: è seduta, spazzola la chioma luminosa, quasi fino a terra. Il gesto ripetuto dall'alto al basso. Si volta: una bellezza terribile, l'innocenza nello sguardo.
- Muoviti -. La voce del guardiano.
- Divara. Non sapevo che l'avesse portata qui.
- E infatti non esiste. Non l'hai vista, è meglio per tutti:
Mi fa strada fino al salone. Un camino gigantesco contiene il fuoco che dà luce all'ambiente.
È seduto su uno scranno imponente, scomposto, lo sguardo puntato sulle fiamme che divorano il ceppo. L'olandese mi fa cenno di entrare, gira sui tacchi e torna indietro.
Soli. Quello che devo fare.
I miei passi risuonano come i rintocchi di una campana, lugubri, pesanti.
Mi fermo e cerco il volto, ma la sua mente è altrove, le ombre disegnano strane figure su quella faccia pallida.
- Ti stavo aspettando, fratello mio.
Gli attizzatoi campeggiano in fila sulla parete del camino, come picche da guerra.
Un candelabro massiccio, sul lungo tavolo di noce.
Il coltello che ha tagliato la carne della cena.
Le mie mani. Forti.
Quello che devo fare.
Si volta appena: uno sguardo senza determinazione, senza minaccia.
- I cuori impavidi amano il cuore della notte. È il momento in cui è piú difficile mentire, tutti siamo piú deboli, vulnerabili. E il rosso del sangue scompare insieme a tutti i colori.
Accavalla la gamba sul bracciolo e la lascia penzolare inerte. - Ci sono fardelli che non è facile portare. Scelte difficili, che la rozza mente degli uomini non può afferrare. Ci sforziamo, lottiamo ogni giorno, per capire. E chiediamo a Dio di darci un segno, un cenno d'assenso per le nostre meschine azioni. Questo chiediamo. Vorremmo essere presi per mano e guidati in questa notte oscura, fino alla luce del giorno che verrà. Vogliamo sapere di non essere soli, di non sbagliare mentre alziamo il coltello su Isacco. E cosí aspettiamo di vedere l'angelo che venga a fermare la nostra lama e ci rassicuri sul bene di Dio. Vorremmo davvero che ci venisse confermata l'inutilità dei nostri gesti, che fosse soltanto una pantomima ridicola, senz'altro scopo che quello di provare il nostro assoluto abbandono alla volontà del Signore. Ma non è cosí. Dio non ci mette alla prova per trastullarsi con queste misere creature forgiate dal fango, per saggiarne la devozione, no. Dio ci fa suoi testimoni, vuole che sacrifichiamo noi stessi, il nostro orgoglio mortale che ci fa amare l'essere amati, osannati, innalzati come profeti, santi. Capitani. Il Signore non sa che farsene della nostra buona fede. Della nostra bontà. E ci trasforma in omicidi, figli di puttana senza scrupoli, cosiccome converte gli omicidi e i lenoni alla sua causa.
La voce di Matthys è un mormorio che sale fino al soffitto, a toccare la testa delle nostre ombre allungate. È la voce di una malattia mortale, di una cancrena profonda: c'è qualcosa di agghiacciante in quelle parole, in quel corpo che ora pare sfinito, qualcosa che mette i brividi a pochi passi dal fuoco. È come se sapesse per che cosa sono venuto. Come se uno specchio rimandasse l'immagine di quello che ho dentro.
- A volte il peso di quella scelta non è piú sopportabile. E si ha voglia di morire, di tapparsi le orecchie e disertare Dio. Perché il Regno, Gert, quello che sogniamo fin da quando eravamo in Olanda, ricordi?, il Regno di Dio, è un gioiello che puoi conquistare soltanto se ti sporchi le mani di fango, di merda e di sangue. E sei tu che devi farlo, non un altro, sarebbe facile, no, tu. Recitare la tua parte nel piano -. Sorride storto agli spettri. - Una volta un uomo mi salvò la vita. Saltò fuori da un pozzo e affrontò da solo quelli che volevano farmi la pelle. Quando affidai a quell'uomo una missione, venire qui, a Münster, e preparare l'avvento del Regno, sapevo che non avrebbe fallito. Perché questo era il suo ruolo nel piano. Come il mio è tenere il trono del Padre fino al giorno prestabilito.
Quello che devo fare.
L'attizzatoio.
Il candelabro.
Il coltello.
- Qual è il giorno, Jan?
Ho parlato, ma era un'altra voce, il pensiero si è composto dentro di me ed è uscito senza bisogno delle labbra. Era la voce della mia mente.
No, si volta, senza esitare: - Pasqua. Quello è il giorno -. Annuisce a se stesso. - E fino ad allora, Gert, fratello mio, affido a te la difesa di questa nostra città dalle schiere delle tenebre che si stanno radunando là fuori. Fai ancora questo. Proteggi il popolo di Dio dall'ultimo sussulto del vecchio mondo.
Sí, lo sai cosa sono venuto a fare. L'hai saputo appena sono entrato.
Ci fissiamo a lungo, la promessa negli occhi: sei un profeta a termine, Jan di Haarlem.
- Cosa dobbiamo fare?
Bernhard Rothmann si passa le mani sulla faccia, chiude gli occhi: - Non buttiamo via tutto. Non sta accadendo come l'avevamo pensato, ma sta accadendo.
- Che cosa, cosa sta succedendo?
Un sospiro: - Qualcosa mai avvenuto prima: l'abolizione del censo, la comunanza dei beni, il riscatto degli ultimi su questa terra...
- Il sangue di Ruecher.
Cupo, di nuovo le mani sul volto.
- Ha cancellato la speranza, Bernhard. Leggi nuove non ce la daranno indietro. Prima Dio combatteva al nostro fianco. Adesso è tornato a terrorizzarci.
Rothmann continua a fissare il vuoto, mormora: - Sto pregando, fratello Gert, sto pregando molto...
Lo lascio solo con l'angoscia che gli piega la schiena a sussurrare invocazioni che non troveranno ascolto.
Quello che devo fare.
***
Mi si para di fronte il sontuoso portale di palazzo Wördemann, fregiato di placche e bulbi di bronzo, incisioni raffinate nel legno secolare, fino alla sommità. È qui, nella dimora dell'uomo piú ricco della città, che il Profeta si è stabilito.
Appena dentro, quattro uomini armati: facce sconosciute, gente di fuori, olandesi probabilmente.
- Devo perquisirti, fratello.
Mi squadra, mi riconosce forse, ma ha ricevuto degli ordini.
Un'occhiata truce: - Sono il Capitano Gert dal Pozzo, che cazzo vuoi?
Intuisce: - Non posso lasciar salire nessuno, se prima non l'ho frugato.
L'altro guardiano annuisce, archibugio in spalla, faccia tonta. Rispondo in olandese: - Sai chi sono.
Alza le spalle imbarazzato: - Jan Matthys mi ha detto di non lasciar entrare nessuno armato. Che posso farci?
E va bene, lascio la pistola e la daga. Una seconda occhiata basta a scoraggiarlo, non osa toccarmi.
Mi accompagna su per le scale illuminando i gradini con la lanterna.
Quello che devo fare.
In cima alla seconda rampa, un corridoio, un'altra luce cattura lo sguardo, viene da una stanza laterale, la porta è aperta: è seduta, spazzola la chioma luminosa, quasi fino a terra. Il gesto ripetuto dall'alto al basso. Si volta: una bellezza terribile, l'innocenza nello sguardo.
- Muoviti -. La voce del guardiano.
- Divara. Non sapevo che l'avesse portata qui.
- E infatti non esiste. Non l'hai vista, è meglio per tutti:
Mi fa strada fino al salone. Un camino gigantesco contiene il fuoco che dà luce all'ambiente.
È seduto su uno scranno imponente, scomposto, lo sguardo puntato sulle fiamme che divorano il ceppo. L'olandese mi fa cenno di entrare, gira sui tacchi e torna indietro.
Soli. Quello che devo fare.
I miei passi risuonano come i rintocchi di una campana, lugubri, pesanti.
Mi fermo e cerco il volto, ma la sua mente è altrove, le ombre disegnano strane figure su quella faccia pallida.
- Ti stavo aspettando, fratello mio.
Gli attizzatoi campeggiano in fila sulla parete del camino, come picche da guerra.
Un candelabro massiccio, sul lungo tavolo di noce.
Il coltello che ha tagliato la carne della cena.
Le mie mani. Forti.
Quello che devo fare.
Si volta appena: uno sguardo senza determinazione, senza minaccia.
- I cuori impavidi amano il cuore della notte. È il momento in cui è piú difficile mentire, tutti siamo piú deboli, vulnerabili. E il rosso del sangue scompare insieme a tutti i colori.
Accavalla la gamba sul bracciolo e la lascia penzolare inerte. - Ci sono fardelli che non è facile portare. Scelte difficili, che la rozza mente degli uomini non può afferrare. Ci sforziamo, lottiamo ogni giorno, per capire. E chiediamo a Dio di darci un segno, un cenno d'assenso per le nostre meschine azioni. Questo chiediamo. Vorremmo essere presi per mano e guidati in questa notte oscura, fino alla luce del giorno che verrà. Vogliamo sapere di non essere soli, di non sbagliare mentre alziamo il coltello su Isacco. E cosí aspettiamo di vedere l'angelo che venga a fermare la nostra lama e ci rassicuri sul bene di Dio. Vorremmo davvero che ci venisse confermata l'inutilità dei nostri gesti, che fosse soltanto una pantomima ridicola, senz'altro scopo che quello di provare il nostro assoluto abbandono alla volontà del Signore. Ma non è cosí. Dio non ci mette alla prova per trastullarsi con queste misere creature forgiate dal fango, per saggiarne la devozione, no. Dio ci fa suoi testimoni, vuole che sacrifichiamo noi stessi, il nostro orgoglio mortale che ci fa amare l'essere amati, osannati, innalzati come profeti, santi. Capitani. Il Signore non sa che farsene della nostra buona fede. Della nostra bontà. E ci trasforma in omicidi, figli di puttana senza scrupoli, cosiccome converte gli omicidi e i lenoni alla sua causa.
La voce di Matthys è un mormorio che sale fino al soffitto, a toccare la testa delle nostre ombre allungate. È la voce di una malattia mortale, di una cancrena profonda: c'è qualcosa di agghiacciante in quelle parole, in quel corpo che ora pare sfinito, qualcosa che mette i brividi a pochi passi dal fuoco. È come se sapesse per che cosa sono venuto. Come se uno specchio rimandasse l'immagine di quello che ho dentro.
- A volte il peso di quella scelta non è piú sopportabile. E si ha voglia di morire, di tapparsi le orecchie e disertare Dio. Perché il Regno, Gert, quello che sogniamo fin da quando eravamo in Olanda, ricordi?, il Regno di Dio, è un gioiello che puoi conquistare soltanto se ti sporchi le mani di fango, di merda e di sangue. E sei tu che devi farlo, non un altro, sarebbe facile, no, tu. Recitare la tua parte nel piano -. Sorride storto agli spettri. - Una volta un uomo mi salvò la vita. Saltò fuori da un pozzo e affrontò da solo quelli che volevano farmi la pelle. Quando affidai a quell'uomo una missione, venire qui, a Münster, e preparare l'avvento del Regno, sapevo che non avrebbe fallito. Perché questo era il suo ruolo nel piano. Come il mio è tenere il trono del Padre fino al giorno prestabilito.
Quello che devo fare.
L'attizzatoio.
Il candelabro.
Il coltello.
- Qual è il giorno, Jan?
Ho parlato, ma era un'altra voce, il pensiero si è composto dentro di me ed è uscito senza bisogno delle labbra. Era la voce della mia mente.
No, si volta, senza esitare: - Pasqua. Quello è il giorno -. Annuisce a se stesso. - E fino ad allora, Gert, fratello mio, affido a te la difesa di questa nostra città dalle schiere delle tenebre che si stanno radunando là fuori. Fai ancora questo. Proteggi il popolo di Dio dall'ultimo sussulto del vecchio mondo.
Sí, lo sai cosa sono venuto a fare. L'hai saputo appena sono entrato.
Ci fissiamo a lungo, la promessa negli occhi: sei un profeta a termine, Jan di Haarlem.
Münster, 6 marzo 1534
Butta male. Ruecher, il fabbro, inchiavardato a una grande ruota di carro da pesanti catene, probabilmente da lui stesso forgiate, è circondato da quattro guardie improvvisate, come tutto il resto in questi giorni, e attende.
La popolazione, insieme ai nuovi arrivati che aumentano ogni giorno, è chiamata a radunarsi nell'ora seconda, dal sommo Profeta: adirato, deluso, mesto, imbestialito dal comportamento dei santi suoi sudditi.
Ruecher, il fabbro, questo grandissimo pezzo di merda, ha osato proferire pesanti commenti di biasimo verso l'esito di tre giorni di meditazione, totale abbandono, discesa piena della luce dell'Altissimo dentro il corpo terreno del Grande Matthys, che avevano prodotto importanti decisioni.
Che cazzo, ha detto il fabbro dando voce a ciò che molti pensavano, va bene tutto, l'abolizione di ogni proprietà, la piena comunanza di tutto ciò che è disponibile, ricchezza di nessuno e per tutti, certo, l'avevamo pensato noi, e prima anche, il fondo per i poveri, sacrosanto, regole nuove, ma cazzo, nominare sette diaconi per l'amministrazione e la distribuzione di ogni risorsa, per la soluzione di ogni conflitto o bisogno, senza che uno, neanche uno, fosse nato e vissuto in quella che era Münster, nemmeno uno, tutti olandesi, tutti discepoli suoi, e cazzo no, ha detto, abbiamo rischiato la vita per le libertà municipali, c'è mancato poco che le nostre teste fregiassero i merli delle mura, porca puttana, e poi arriva uno, sí un grande profeta, illuminato dalla parola santa certo, ma cazzo non uno, tutti olandesi, e poi manco c'era quando abbiamo preso la città, come cazzo funziona, uno arriva, trova tutto pronto e comanda, comanda e mette i suoi a dare ordini, comanda e noi ricominciamo subito a prenderlo nel culo.
Arrestato, subito.
Hubert Ruecher. Fabbroferraio. Münsterita. Battista. Eroe delle barricate del 9 febbraio. Hubert Ruecher. Figlio della causa. Forgiatore di proiettili. Combattente per la liberazione di Münster dalla tirannia del vescovo.
Hubert Ruecher trascinato in catene alla piazza del Mercato: un traditore, un infame, che ha sollevato un dubbio, ha parlato contro, ha detto che Matthys ha pregato tre giorni per poi nominare diaconi i suoi fedelissimi. La comunione di tutti i beni, d'accordo: raccoglierli in quei grandi magazzini, uno per ogni quartiere, e distribuirli a chi ne ha bisogno, sí, ma perché metterne a capo sette olandesi? Perché? Perché escludere i münsteriti? Una cazzata, Jan, una cazzata imperdonabile. Hai forse paura? E di che cosa? Di chi? Siamo tutti santi, l'hai detto tu, siamo stati scelti, siamo fratelli. Pensi che accentrando tutto il potere nelle tue mani, non farai sorgere il dubbio in qualcuno? Qualcuno che ha combattuto per liberare la sua città e adesso, dopo la scelta di quei sette olandesi, può pensare di averlo fatto per niente, per non riuscire ancora a essere padrone di scegliere in casa propria.
Qualcuno come Hubert Ruecher.
Ti hanno riferito tutto - hai forse sguinzagliato delle spie per la città? - hai mandato i tuoi sgherri a prelevarlo con la forza. In catene, adesso, schiumante di rabbia: monito per tutti. Sei impazzito, Jan, non è per questo che hanno lottato.
Ti vedo, mentre esci imponente sul palco, occhi di ghiaccio e barba piú appuntita che mai.
Ti vedo, mentre parli della mancanza di fede, agitando il ventilabro.
Ti vedo.
- Il Signore è adirato, perché qualcuno ha sollevato il dubbio sul compito del Suo profeta.
Ha combattuto con me, quell'uomo, ha ubbidito ai miei ordini, e ora so che se n'è pentito, che forse odia ciò che ha fatto, vorrei trovare il suo sguardo, per capire: ma è meglio di no, forse. Se ne sta lí, ritto e paralizzato dalle catene, ad aspettare che Dio suggerisca a Jan Matthys il Profeta come comportarsi.
- Il tempo è finito. La scelta è compiuta. Chi abbandona la bandiera del Signore rivela d'essere sempre stato indeciso, d'aver seguito gli altri senza avere in realtà ricevuto la chiamata interiore alle armi sante: è un nemico. E oggi insinua l'incertezza tra le fila dei santi per minare la nostra vittoria. Ma essa è inevitabile, perché ci guida il Signore;
Sei un pazzo, pazzo fornaio cialtrone, e sono un pazzo anch'io, perché sí, sono stato io a darti tutto questo.
- Se non toglieremo subito di mezzo il peccatore dal popolo dei santi, l'ira del Signore cadrà su tutti.
Spada in mano, gira intorno a Ruecher, volto paonazzo e atterrito.
Il leguleio von der Wieck, insieme ad altri tre notabili, obietta che a Münster nessuno è mai stato giustiziato senza un regolare processo, ci vogliono dei testimoni, un avvocato...
Matthys in silenzio gira, gira, soppesa quelle parole, continua a girare, la tensione sale fin sopra le teste, lo raggiunge. Si ferma.
- Regolare processo. Testimoni, un avvocato. Fatevi avanti, dunque.
Sguardi titubanti che si incrociano, con passi incerti raggiungono il palco.
Che cazzo fai, Jan? Mi rendo conto di aver impugnato la pistola. Poche teste piú in là, Gresbeck mi guarda, faccia dura, impassibile, la cicatrice che vibra sul sopracciglio, l'unico segno di nervosismo.
Stai attento, Jan, questi uomini hanno imparato a combattere.
- Oggi testimoniate del piú grande degli eventi. Testimoniate la nascita di Gerusalemme: Münster non esiste piú, nella città di Dio è la Sua parola a essere l'unica legge. Ed egli parla e agisce per mano del Suo profeta. Voi siete i testimoni.
La lama rotea in alto e scende fino alla gola di Ruecher, a reciderla d'un colpo.
Sgomento.
Von der Wieck, investito dal fiotto di sangue, è annichilito al centro della piazza, Knipperdolling e Kibbenbrock guardano per terra, Rothmann muove le labbra in preghiera, Gresbeck immobile.
Un silenzio che gela le ossa piú del freddo invernale, rotto solo da sommesse invocazioni della volontà di Dio: qualcuno si inginocchia.
Bockelson cattura la scena: - Quale immenso privilegio offrire il sangue che purifica il popolo dei santi dall'onta del dubbio! - Imbraccia un archibugio, si fa avanti, accarezza la faccia di von der Wieck per raccogliere il sangue di Ruecher. Se lo spalma sul viso: - A questo bastardo. A questo verme immondo è toccato il piú alto degli onori. Perché!? Perché lui!?
Spara nel petto del cadavere a bruciapelo, intinge le mani nelle ferite e benedice la folla con ampi schizzi: - Vi benedico in sangue e spirito, fratelli miei santissimi!
Nessuno si muove.
Matthys allarga le braccia a raccoglierci tutti: - Gregge di Dio, una grande lezione ci è stata data dal Padre. Egli ha svelato l'impurità, ha scavato a fondo la brama del privilegio e del possesso che ancora serpeggiava tra di noi, e ce ne ha mondati. Ancora qualcuno pensava che lo spirito potesse essere racchiuso nei meschini privilegi municipali d'una città. No. La Nuova Gerusalemme è oggi un faro per tutto il popolo dei santi, che da ogni dove giunge qui a condividere la gloria dell'Altissimo. Noi non combattiamo per il privilegio di pochi, ma per il Regno di Dio. E in verità ecco il meraviglioso annuncio: io vi dico che la Pasqua di quest'anno saluterà un cielo e una terra nuovi, e sarà l'inizio del Regno dei santi. Il Padre giungerà e spazzerà via ogni palmo di terra oltre queste mura. Nel breve tempo che resta, non io, non sarò io colui che guarderà il gregge dalle tentazioni del vecchio mondo. Il Padre dice che va bene, che chi è stato nominato dagli uomini per questo compito lo adempie anche in Suo nome, - porge la spada a Knipperdolling. - Non esitare, fratello, è la volontà del Padre.
Il borgomastro la prende impacciato, incredulo, poi cerca aiuto nel volto di Matthys, che non gli dà scampo: - Siamo soltanto il Suo strumento.
Il Profeta intona il salmo e piano piano tutti gli vanno dietro...
Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
Tornino gli empi negli inferi,
tutti coloro che dimenticano Dio.
Perché il giusto non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
Sorgi Signore, davanti a te siano giudicate le genti.
***
Colpi alla porta. Non mi muovo. Sono stanco, al buio. Colpi secchi, ripetuti.
- Gert, apri. Apri questa cazzo di porta.
Altri colpi. Mi alzo, lento. Non se ne andrà.
Apro.
Avvolto tutto da una pesante cappa scura, da viaggio, Redeker mi sta di fronte.
Se ne sta andando.
Sprofondo sulla poltrona con la testa di lato. Come appena prima che entrasse. Come nelle ultime tre ore. Cosa devo dirti adesso? Il cervello non risponde. Un sussurro senza convinzione: - Non pensavo che andasse a finire cosí.
- Cosa pensavi? Che cazzo dici, lo avete portato voi.
Balbetto qualcosa. La rabbia di Redeker mi affetta le parole.
- Ho creduto nel vostro Dio, Gert, perché saliva sulle barricate e si sbronzava nelle osterie, saccheggiava le chiese e spaventava i cavalieri. Ci credo ancora, se vuoi saperlo. Sai per caso da che parte è andato, mentre usciva di qua!?
L'eco delle frasi rimbalzate in testa fin dall'arrivo di Jan di Haarlem.
- Matthys è uno stronzo, Gert. I giudici, gli sbirri, il boia sono i nemici peggiori dei poveracci che hanno combattuto con noi. Quel figlio di cane parla del Dio della feccia. Ma chi è il suo Dio? Ancora un giudice, uno sbirro, un boia.
Tre ore fa, in piazza, la pistola stretta in mano. Inghiottivo saliva e aria. Aspettavo.
Erano gli altri ad aspettare. Me.
- Quel pazzo fottuto ha rovinato tutto. Mi ha gelato il sangue.
- E perché stai fermo? Perché non lo fai fuori, 'sto figlio di puttana? Fallo adesso, Gert, mettiglielo nel culo, dal Pozzo! Voi siete i santi, ricorda, io il ladro. Ho preso il mio. Quando esco di qua vado via.
Stringo il pugno, le unghie piantate nel palmo. Non ho risposta.
Fioco lume su un uomo che non pare di queste terre, rapace piccolo e nervoso, ai piedi, unica protuberanza, calzari solidi, lerci e veloci. Intuisco il gonfiore delle pistole e della bisaccia piccola, gonfia, crespo pelo corto sopra la strana barba, rada, curata cornice fino al pizzo, affilata lama nera che guarda a terra, i baffi sottili a disegnare l'arco di congiunzione al mento, bizzarra geometria di meticcio, uno spigolo tagliente che è meglio non incontrare nelle notti incerte di queste lande.
La popolazione, insieme ai nuovi arrivati che aumentano ogni giorno, è chiamata a radunarsi nell'ora seconda, dal sommo Profeta: adirato, deluso, mesto, imbestialito dal comportamento dei santi suoi sudditi.
Ruecher, il fabbro, questo grandissimo pezzo di merda, ha osato proferire pesanti commenti di biasimo verso l'esito di tre giorni di meditazione, totale abbandono, discesa piena della luce dell'Altissimo dentro il corpo terreno del Grande Matthys, che avevano prodotto importanti decisioni.
Che cazzo, ha detto il fabbro dando voce a ciò che molti pensavano, va bene tutto, l'abolizione di ogni proprietà, la piena comunanza di tutto ciò che è disponibile, ricchezza di nessuno e per tutti, certo, l'avevamo pensato noi, e prima anche, il fondo per i poveri, sacrosanto, regole nuove, ma cazzo, nominare sette diaconi per l'amministrazione e la distribuzione di ogni risorsa, per la soluzione di ogni conflitto o bisogno, senza che uno, neanche uno, fosse nato e vissuto in quella che era Münster, nemmeno uno, tutti olandesi, tutti discepoli suoi, e cazzo no, ha detto, abbiamo rischiato la vita per le libertà municipali, c'è mancato poco che le nostre teste fregiassero i merli delle mura, porca puttana, e poi arriva uno, sí un grande profeta, illuminato dalla parola santa certo, ma cazzo non uno, tutti olandesi, e poi manco c'era quando abbiamo preso la città, come cazzo funziona, uno arriva, trova tutto pronto e comanda, comanda e mette i suoi a dare ordini, comanda e noi ricominciamo subito a prenderlo nel culo.
Arrestato, subito.
Hubert Ruecher. Fabbroferraio. Münsterita. Battista. Eroe delle barricate del 9 febbraio. Hubert Ruecher. Figlio della causa. Forgiatore di proiettili. Combattente per la liberazione di Münster dalla tirannia del vescovo.
Hubert Ruecher trascinato in catene alla piazza del Mercato: un traditore, un infame, che ha sollevato un dubbio, ha parlato contro, ha detto che Matthys ha pregato tre giorni per poi nominare diaconi i suoi fedelissimi. La comunione di tutti i beni, d'accordo: raccoglierli in quei grandi magazzini, uno per ogni quartiere, e distribuirli a chi ne ha bisogno, sí, ma perché metterne a capo sette olandesi? Perché? Perché escludere i münsteriti? Una cazzata, Jan, una cazzata imperdonabile. Hai forse paura? E di che cosa? Di chi? Siamo tutti santi, l'hai detto tu, siamo stati scelti, siamo fratelli. Pensi che accentrando tutto il potere nelle tue mani, non farai sorgere il dubbio in qualcuno? Qualcuno che ha combattuto per liberare la sua città e adesso, dopo la scelta di quei sette olandesi, può pensare di averlo fatto per niente, per non riuscire ancora a essere padrone di scegliere in casa propria.
Qualcuno come Hubert Ruecher.
Ti hanno riferito tutto - hai forse sguinzagliato delle spie per la città? - hai mandato i tuoi sgherri a prelevarlo con la forza. In catene, adesso, schiumante di rabbia: monito per tutti. Sei impazzito, Jan, non è per questo che hanno lottato.
Ti vedo, mentre esci imponente sul palco, occhi di ghiaccio e barba piú appuntita che mai.
Ti vedo, mentre parli della mancanza di fede, agitando il ventilabro.
Ti vedo.
- Il Signore è adirato, perché qualcuno ha sollevato il dubbio sul compito del Suo profeta.
Ha combattuto con me, quell'uomo, ha ubbidito ai miei ordini, e ora so che se n'è pentito, che forse odia ciò che ha fatto, vorrei trovare il suo sguardo, per capire: ma è meglio di no, forse. Se ne sta lí, ritto e paralizzato dalle catene, ad aspettare che Dio suggerisca a Jan Matthys il Profeta come comportarsi.
- Il tempo è finito. La scelta è compiuta. Chi abbandona la bandiera del Signore rivela d'essere sempre stato indeciso, d'aver seguito gli altri senza avere in realtà ricevuto la chiamata interiore alle armi sante: è un nemico. E oggi insinua l'incertezza tra le fila dei santi per minare la nostra vittoria. Ma essa è inevitabile, perché ci guida il Signore;
Sei un pazzo, pazzo fornaio cialtrone, e sono un pazzo anch'io, perché sí, sono stato io a darti tutto questo.
- Se non toglieremo subito di mezzo il peccatore dal popolo dei santi, l'ira del Signore cadrà su tutti.
Spada in mano, gira intorno a Ruecher, volto paonazzo e atterrito.
Il leguleio von der Wieck, insieme ad altri tre notabili, obietta che a Münster nessuno è mai stato giustiziato senza un regolare processo, ci vogliono dei testimoni, un avvocato...
Matthys in silenzio gira, gira, soppesa quelle parole, continua a girare, la tensione sale fin sopra le teste, lo raggiunge. Si ferma.
- Regolare processo. Testimoni, un avvocato. Fatevi avanti, dunque.
Sguardi titubanti che si incrociano, con passi incerti raggiungono il palco.
Che cazzo fai, Jan? Mi rendo conto di aver impugnato la pistola. Poche teste piú in là, Gresbeck mi guarda, faccia dura, impassibile, la cicatrice che vibra sul sopracciglio, l'unico segno di nervosismo.
Stai attento, Jan, questi uomini hanno imparato a combattere.
- Oggi testimoniate del piú grande degli eventi. Testimoniate la nascita di Gerusalemme: Münster non esiste piú, nella città di Dio è la Sua parola a essere l'unica legge. Ed egli parla e agisce per mano del Suo profeta. Voi siete i testimoni.
La lama rotea in alto e scende fino alla gola di Ruecher, a reciderla d'un colpo.
Sgomento.
Von der Wieck, investito dal fiotto di sangue, è annichilito al centro della piazza, Knipperdolling e Kibbenbrock guardano per terra, Rothmann muove le labbra in preghiera, Gresbeck immobile.
Un silenzio che gela le ossa piú del freddo invernale, rotto solo da sommesse invocazioni della volontà di Dio: qualcuno si inginocchia.
Bockelson cattura la scena: - Quale immenso privilegio offrire il sangue che purifica il popolo dei santi dall'onta del dubbio! - Imbraccia un archibugio, si fa avanti, accarezza la faccia di von der Wieck per raccogliere il sangue di Ruecher. Se lo spalma sul viso: - A questo bastardo. A questo verme immondo è toccato il piú alto degli onori. Perché!? Perché lui!?
Spara nel petto del cadavere a bruciapelo, intinge le mani nelle ferite e benedice la folla con ampi schizzi: - Vi benedico in sangue e spirito, fratelli miei santissimi!
Nessuno si muove.
Matthys allarga le braccia a raccoglierci tutti: - Gregge di Dio, una grande lezione ci è stata data dal Padre. Egli ha svelato l'impurità, ha scavato a fondo la brama del privilegio e del possesso che ancora serpeggiava tra di noi, e ce ne ha mondati. Ancora qualcuno pensava che lo spirito potesse essere racchiuso nei meschini privilegi municipali d'una città. No. La Nuova Gerusalemme è oggi un faro per tutto il popolo dei santi, che da ogni dove giunge qui a condividere la gloria dell'Altissimo. Noi non combattiamo per il privilegio di pochi, ma per il Regno di Dio. E in verità ecco il meraviglioso annuncio: io vi dico che la Pasqua di quest'anno saluterà un cielo e una terra nuovi, e sarà l'inizio del Regno dei santi. Il Padre giungerà e spazzerà via ogni palmo di terra oltre queste mura. Nel breve tempo che resta, non io, non sarò io colui che guarderà il gregge dalle tentazioni del vecchio mondo. Il Padre dice che va bene, che chi è stato nominato dagli uomini per questo compito lo adempie anche in Suo nome, - porge la spada a Knipperdolling. - Non esitare, fratello, è la volontà del Padre.
Il borgomastro la prende impacciato, incredulo, poi cerca aiuto nel volto di Matthys, che non gli dà scampo: - Siamo soltanto il Suo strumento.
Il Profeta intona il salmo e piano piano tutti gli vanno dietro...
Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
Tornino gli empi negli inferi,
tutti coloro che dimenticano Dio.
Perché il giusto non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
Sorgi Signore, davanti a te siano giudicate le genti.
***
Colpi alla porta. Non mi muovo. Sono stanco, al buio. Colpi secchi, ripetuti.
- Gert, apri. Apri questa cazzo di porta.
Altri colpi. Mi alzo, lento. Non se ne andrà.
Apro.
Avvolto tutto da una pesante cappa scura, da viaggio, Redeker mi sta di fronte.
Se ne sta andando.
Sprofondo sulla poltrona con la testa di lato. Come appena prima che entrasse. Come nelle ultime tre ore. Cosa devo dirti adesso? Il cervello non risponde. Un sussurro senza convinzione: - Non pensavo che andasse a finire cosí.
- Cosa pensavi? Che cazzo dici, lo avete portato voi.
Balbetto qualcosa. La rabbia di Redeker mi affetta le parole.
- Ho creduto nel vostro Dio, Gert, perché saliva sulle barricate e si sbronzava nelle osterie, saccheggiava le chiese e spaventava i cavalieri. Ci credo ancora, se vuoi saperlo. Sai per caso da che parte è andato, mentre usciva di qua!?
L'eco delle frasi rimbalzate in testa fin dall'arrivo di Jan di Haarlem.
- Matthys è uno stronzo, Gert. I giudici, gli sbirri, il boia sono i nemici peggiori dei poveracci che hanno combattuto con noi. Quel figlio di cane parla del Dio della feccia. Ma chi è il suo Dio? Ancora un giudice, uno sbirro, un boia.
Tre ore fa, in piazza, la pistola stretta in mano. Inghiottivo saliva e aria. Aspettavo.
Erano gli altri ad aspettare. Me.
- Quel pazzo fottuto ha rovinato tutto. Mi ha gelato il sangue.
- E perché stai fermo? Perché non lo fai fuori, 'sto figlio di puttana? Fallo adesso, Gert, mettiglielo nel culo, dal Pozzo! Voi siete i santi, ricorda, io il ladro. Ho preso il mio. Quando esco di qua vado via.
Stringo il pugno, le unghie piantate nel palmo. Non ho risposta.
Fioco lume su un uomo che non pare di queste terre, rapace piccolo e nervoso, ai piedi, unica protuberanza, calzari solidi, lerci e veloci. Intuisco il gonfiore delle pistole e della bisaccia piccola, gonfia, crespo pelo corto sopra la strana barba, rada, curata cornice fino al pizzo, affilata lama nera che guarda a terra, i baffi sottili a disegnare l'arco di congiunzione al mento, bizzarra geometria di meticcio, uno spigolo tagliente che è meglio non incontrare nelle notti incerte di queste lande.
Münster, 27 febbraio 1534
Sono gelide le fiamme dell'inferno? Si attende seminudi, affamati, uno dietro l'altro, muti, l'ora di essere scagliati dal Cerbero attraverso la porta nel ghiaccio eterno dell'empietà?
L'aia deve essere spazzata.
Quale infamia, che non possa essere mondata, marchia questi fanciulli in lacrime, avvinghiati a madri disonorate, a vecchi terrorizzati che pisciano dentro i propri stracci? Chi spiegherà loro perché furono scacciati dall'Eden?
Testa su testa, ha sentenziato Enoch. Teste impilate sulle torri, sulle mura a fregiare i merli, ammonticchiate, ordinate, disposte ben visibili al vescovo e al viandante, alla suora e al soldato, al pio e al ladro, e piú di tutti all'armata delle tenebre che presto assedierà la Nuova Gerusalemme, ha ordinato il profeta.
Cosicché sembra clemenza questo «Andatevene, senzadio! E non tornate mai piú, nemici del Padre!», gridato da Matthys sotto la tormenta.
Striscia via piano sul manto bianco di neve l'esodo dei vecchi credenti. Nudi. Occhi a terra, a contare i passi che rimangono prima di finire congelati. Qualcuno forse può sperare di raggiungere Telgte, o Anmarsch. Nessuno può farcela, forse gli adulti piú forti, da soli, ma non lasceranno indietro le mogli, i figli, i genitori.
- Non c'è niente da aspettare. Adesso il Padre vuole fare giustizia.
- Cosa intendi dire?
- Devono morire -. Quasi sereno mentre lo dice, serafico, lo sguardo fisso.
Scivolano. Piangono. Reggono pance gravide. Papisti, luterani: il vecchio mondo sepolto dalla bufera evocata da Jan Matthys. Ci puoi leggere il segno: la volontà di Dio.
- È scritto, non c'è altro da sapere, è questo che intendi!? Sono dannati, devono morire. Vuoi tagliare la testa a tutti quanti!?
- Questo è il luogo prescelto. Questa è la Nuova Gerusalemme: non c'è posto per i non rigenerati. Possono ancora scegliere, convertirsi. Ma il tempo è giunto agli ultimi rintocchi. Che facciano presto.
- E se non lo fanno?
- Saranno spazzati via insieme a tutto ciò che è decrepito.
- Allora mandali via. Lascia almeno che se ne vadano, che raggiungano il loro fottuto vescovo, o i loro maledetti amici luterani.
Si consuma la resa dei conti ai nostri occhi. Abbiamo vinto, dunque. Ma dov'è la gioia impronunciabile, il riso vitale, il desiderio di unire i corpi, tutti i corpi delle comuni donne e degli uomini nell'abbandono dell'abbraccio e nel calore della luce?
Il nostro compito è esaurito: il tempo è finito, l'Onnipotente Dio penserà a tutto il resto. L'Apocalisse, la Rivelazione, giunge dall'alto, ci cattura in una pantomima tragica e terribile a cui non è possibile sottrarsi, a meno di non voler rinunciare a tutto ciò per cui si è lottato, perdendo il senso stesso del nostro stare qui, a sfidare il mondo.
Abbiamo vinto? Perché questo sapore acre mi invade la bocca? Perché evito come la peste lo sguardo dei fratelli?
«Che sia di monito, monito per tutti».
Mi appaiono oscene le invettive dei piú esagitati. Crudeli gli sputi e i calci agli sconfitti. Non sono piú i nemici del popolo di Münster, non coloro che ci hanno vessato per secoli, non sono piú uomini, donne, bambini, ma creature deformi, mostruose, ributtanti. Solo la loro estinzione può darci la vita, confermare la parola di Dio sul destino che ci aspetta.
Sono forse io lo sconfitto di ogni tempo, di ogni battaglia? Il Santo Giullare di Leida percorre quella fila toccando appena le teste con un piccolo bastone. La conta si ferma su un ragazzino, lo sguardo di Jan è al cielo.
- Perché? Perché un innocente? - Cade in ginocchio piangendo. - Costui non ha colpe! L'angelo della luce volteggia su di lui! - Si percuote il petto, strilla piú forte, singhiozza. - Perché!?
Il piccolo affonda il viso nel grembo della madre. Lei attinge al fondo della disperazione, piega le ginocchia, lo abbraccia e lo solleva al petto tra le lacrime. Poi in un gesto definitivo, la donna lo discosta da sé e dalla propria fine, e implora: - Salvalo. Tienilo con te.
L'apostolo di Matthys si risolleva, si tocca la barba e rivolto all'angelo annuncia: - Il Padre separa il grano dalla pula, - poi abbassa lo sguardo sul ragazzo: - Da oggi tu sarai Seariasúb, «il resto che ritorna», colui che si converte e cosí sfugge al castigo. Vieni.
Lo prende con sé, mentre la porta già risucchia l'esodo dei dannati.
La bufera mi oscura la vista come il piú cupo dei presagi.
Il Carnevale è finito.
L'aia deve essere spazzata.
Quale infamia, che non possa essere mondata, marchia questi fanciulli in lacrime, avvinghiati a madri disonorate, a vecchi terrorizzati che pisciano dentro i propri stracci? Chi spiegherà loro perché furono scacciati dall'Eden?
Testa su testa, ha sentenziato Enoch. Teste impilate sulle torri, sulle mura a fregiare i merli, ammonticchiate, ordinate, disposte ben visibili al vescovo e al viandante, alla suora e al soldato, al pio e al ladro, e piú di tutti all'armata delle tenebre che presto assedierà la Nuova Gerusalemme, ha ordinato il profeta.
Cosicché sembra clemenza questo «Andatevene, senzadio! E non tornate mai piú, nemici del Padre!», gridato da Matthys sotto la tormenta.
Striscia via piano sul manto bianco di neve l'esodo dei vecchi credenti. Nudi. Occhi a terra, a contare i passi che rimangono prima di finire congelati. Qualcuno forse può sperare di raggiungere Telgte, o Anmarsch. Nessuno può farcela, forse gli adulti piú forti, da soli, ma non lasceranno indietro le mogli, i figli, i genitori.
- Non c'è niente da aspettare. Adesso il Padre vuole fare giustizia.
- Cosa intendi dire?
- Devono morire -. Quasi sereno mentre lo dice, serafico, lo sguardo fisso.
Scivolano. Piangono. Reggono pance gravide. Papisti, luterani: il vecchio mondo sepolto dalla bufera evocata da Jan Matthys. Ci puoi leggere il segno: la volontà di Dio.
- È scritto, non c'è altro da sapere, è questo che intendi!? Sono dannati, devono morire. Vuoi tagliare la testa a tutti quanti!?
- Questo è il luogo prescelto. Questa è la Nuova Gerusalemme: non c'è posto per i non rigenerati. Possono ancora scegliere, convertirsi. Ma il tempo è giunto agli ultimi rintocchi. Che facciano presto.
- E se non lo fanno?
- Saranno spazzati via insieme a tutto ciò che è decrepito.
- Allora mandali via. Lascia almeno che se ne vadano, che raggiungano il loro fottuto vescovo, o i loro maledetti amici luterani.
Si consuma la resa dei conti ai nostri occhi. Abbiamo vinto, dunque. Ma dov'è la gioia impronunciabile, il riso vitale, il desiderio di unire i corpi, tutti i corpi delle comuni donne e degli uomini nell'abbandono dell'abbraccio e nel calore della luce?
Il nostro compito è esaurito: il tempo è finito, l'Onnipotente Dio penserà a tutto il resto. L'Apocalisse, la Rivelazione, giunge dall'alto, ci cattura in una pantomima tragica e terribile a cui non è possibile sottrarsi, a meno di non voler rinunciare a tutto ciò per cui si è lottato, perdendo il senso stesso del nostro stare qui, a sfidare il mondo.
Abbiamo vinto? Perché questo sapore acre mi invade la bocca? Perché evito come la peste lo sguardo dei fratelli?
«Che sia di monito, monito per tutti».
Mi appaiono oscene le invettive dei piú esagitati. Crudeli gli sputi e i calci agli sconfitti. Non sono piú i nemici del popolo di Münster, non coloro che ci hanno vessato per secoli, non sono piú uomini, donne, bambini, ma creature deformi, mostruose, ributtanti. Solo la loro estinzione può darci la vita, confermare la parola di Dio sul destino che ci aspetta.
Sono forse io lo sconfitto di ogni tempo, di ogni battaglia? Il Santo Giullare di Leida percorre quella fila toccando appena le teste con un piccolo bastone. La conta si ferma su un ragazzino, lo sguardo di Jan è al cielo.
- Perché? Perché un innocente? - Cade in ginocchio piangendo. - Costui non ha colpe! L'angelo della luce volteggia su di lui! - Si percuote il petto, strilla piú forte, singhiozza. - Perché!?
Il piccolo affonda il viso nel grembo della madre. Lei attinge al fondo della disperazione, piega le ginocchia, lo abbraccia e lo solleva al petto tra le lacrime. Poi in un gesto definitivo, la donna lo discosta da sé e dalla propria fine, e implora: - Salvalo. Tienilo con te.
L'apostolo di Matthys si risolleva, si tocca la barba e rivolto all'angelo annuncia: - Il Padre separa il grano dalla pula, - poi abbassa lo sguardo sul ragazzo: - Da oggi tu sarai Seariasúb, «il resto che ritorna», colui che si converte e cosí sfugge al castigo. Vieni.
Lo prende con sé, mentre la porta già risucchia l'esodo dei dannati.
La bufera mi oscura la vista come il piú cupo dei presagi.
Il Carnevale è finito.
Iscriviti a:
Post (Atom)