L'occhio di Carafa (1525-1529)

Lettera inviata a Roma dalla città sassone di Wittenberg, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 28 maggio 1525.

All'illustrissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo, è con grande soddisfazione che scrivo per dare la lieta notizia: gli ordini di Vostra Signoria sono stati eseguiti il piú rapidamente possibile e hanno ottenuto il risultato sperato.
Avrete forse già avuto nuove dalla terra di Germania e saprete che l'esercito dei contadini insorti è stato sconfitto. Mentre vergo queste righe i mercenari dei principi si accingono a debellare gli ultimi fuochi della piú grande rivolta che queste lande abbiano mai conosciuto.
La città ribelle piú fortificata, che è stata l'epicentro dell'incendio, Mühlhausen, si è arresa già da alcuni giorni all'esercito dei principi e la testa del suo capopopolo Heinrich Pfeiffer è caduta ieri sulla piazza di Görmar, insieme a quella di Thomas Müntzer. Le voci riportano che nelle sue ultime ore il predicatore, sottoposto alla tortura, abbia taciuto senza un lamento in attesa del boia e che solo una volta, nell'ultimo istante di vita, abbia fatto risuonare la voce per la quale si è reso famoso presso il volgo: «Omnia sunt communia», dicono sia stato il suo unico grido, lo stesso motto che ha animato il furore popolare di questi mesi.
Ora che il sangue dei due uomini piú pericolosi si è mescolato sul selciato, la Signoria Vostra può senza dubbio rallegrarsi per quella lungimiranza e saggezza in cui il Suo fedele osservatore confida ciecamente da sempre.
Ma per non venire meno al voto di franchezza che avete richiesto da parte mia, confesserò di aver dovuto agire assai precipitosamente, rischiando finanche di mettere a repentaglio i mesi di lavoro e di sforzi concentrati nel tentativo di procurarmi la fiducia del focoso predicatore dei contadini. Solo grazie a tale precedente tessitura, per altro, è stato possibile accelerare la rovina di Müntzer. L'avergli offerto i miei servigi e informazioni sugli intrighi di Wittenberg ha consentito di guadagnarne la fede e di potergli passare le false notizie che lo hanno spronato allo scontro campale. A onor del vero devo dire che il nostro uomo ci ha messo bene del suo per far precipitare gli avvenimenti: la mia missiva non ha sortito che l'effetto di offuscare l'ultima luce di raziocinio. Un'armata di straccioni non poteva avere alcuna speranza di sconfiggere le schiere ben armate dei lanzichenecchi e la cavalleria dei principi.
Orbene mio Signore, dato che con tanta magnanimità richiedete il mio parere su quanto è stato fatto finora, lasciate che il Vostro grato servitore liberi il cuore dal peso di tutte le impressioni e dai semplici giudizi che lo colmano.
Quando il buon cuore di V.S. mi scelse per osservare da vicino gli affari dei principi tedeschi col monaco Martin Lutero, non era possibile immaginare ciò che il Signore Iddio avrebbe riservato a questa regione. Che l'apostasia e l'eresia avrebbero stretto un patto tanto forte con il potere secolare e si sarebbero a tal punto radicate negli animi, non era destino che intelletto umano potesse intravedere.
Ciononostante, in quel tremendo frangente, la Vostra fermezza mi ordinò di cercare un antagonista al dannato Lutero, per fomentare lo spirito di ribellione del popolo contro i principi apostati e indebolirne la compagine.
Quando non era nelle facoltà umane riconoscere il grave pericolo che sarebbe giunto da colui che si erge a paladino della cattolicità, l'Imperatore Carlo V, la Vostra saggezza è stata tale da indicare al Suo umile servitore la direzione giusta in cui indirizzare l'operato e subito, appena appresa la notizia della cattura del re di Francia sul campo di Pavia, ha saputo dare l'ordine piú appropriato: accelerare la fine della rivolta contadina, affinché i principi amici di Lutero potessero esser saldi rivali di Carlo. L'Imperatore infatti, avendo vinto e catturato il re dei francesi in Italia, si innalza ora come un'aquila rapace che, palesando di voler difendere il nido di Roma, può offuscarlo con la sua ala e il rostro acuminato. La vastità dei suoi possedimenti e il suo potere sono del resto tali da mettere a repentaglio l'autonomia della Santa Sede e l'autorità spirituale di Roma, tanto da spingere a preferire che in una regione dell'Impero come questa da cui scrivo, i principi eretici continuino a piantare la spada nel costato di Carlo, pur di non lasciarlo libero di fare il bello e il cattivo tempo in tutto il mondo. Ciò che il peccatore apprende è che Iddio misericordioso non manca mai di ricordarci quanto misterioso e insondabile sia il Suo disegno: colui che ci difendeva ora ci minaccia, coloro che ci attaccavano ora ci sono alleati. E allora, sia fatta la volontà di Dio. Amen.
Ed ecco dunque che il servo risponde con la franchezza richiesta dal suo Signore: la valutazione della S.V. è sempre stata a mio umilissimo avviso quanto mai lungimirante e repentina. E lo è stata tanto piú in quest'ultimo frangente, a tal punto che questo Suo braccio è sommamente onorato di aver saputo agire quanto piú prontamente possibile per adempiere alla direttiva.
Piú di quanto la S.V. non abbia intuito e previsto, non era dato intuire né prevedere. Oscure e tortuose sono le vie del Signore e solo alla Sua Volontà dobbiamo rimetterci. Non spetta a noi mortali giudicare l'operato dell'Altissimo: il nostro umile compito, come la Signoria Vostra non manca occasione di ricordarmi, può essere soltanto quello di difendere un barlume di fede e cristianità in un mondo che sembra andare perdendola di giorno in giorno. Per questo facciamo tutto ciò che facciamo, non curandoci di leggi umane o patimenti di cuore.
Ebbene, sono certo che saprete indirizzarmi ancora una volta, nelle traversie e nelle insidie che questo tempo sembra riservare ai cristiani e che fanno tremare le vene. Il Signore ha voluto concedere a questo peccatore la valida guida della Signoria Vostra e ha concesso che questi occhi e questa mano potessero servire la Sua causa. Ciò mi fa star saldo nell'affrontare le sfide future, in impaziente attesa di una Vostra nuova parola.
Baciando le mani di Vostra Signoria e raccomandandomi continuamente alla Sua grazia.
Di Wittenberg il giorno 28 maggio 1525
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.


Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 22 giugno 1526.

Al munificentissimo e onorandissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
L'illustrissima Eccellenza Vostra ha voluto onorare di un complimento immeritato e di una grazia troppo grande chi aspira semplicemente e umilmente a servire Dio per Vostra mercede. Ma per non volere mancare agli ordini di Vostra Signoria e abbandonandomi del tutto alla Vostra saggezza, non appena ho ricevuto l'ultima missiva, ho intrapreso la strada di questo grande borgo imperiale per adempiere alla consegna del mio signore.
A proposito di quest'ultima tengo a informare della liberalità con cui il giovane Fugger mi ha accolto in ordine alla Vostra raccomandazione. Egli è un uomo devoto e accorto, del saggio zio ha tutta la prudenza e l'abilità calcolatoria, unite al coraggio e all'intraprendenza che la giovane età gli concede. La scomparsa del vecchio Jacob Fugger, ormai due anni orsono, non ha nuociuto alle attività e agli sconfinati interessi della piú ricca e influente famiglia d'Europa: lo zelo con cui il nipote cura gli affari che furono dello zio è secondo soltanto alla sua cristianissima devozione e fedeltà alla Santa Sede. Salta agli occhi la semplicità e astinenza sincera in un giovane uomo quale Anton Fugger, quando la si paragoni alla vastità del suo credito in oro presso tutte le corti d'Europa.
Riguardo alla ripresa della guerra e alla nuova alleanza contratta dalla Santa Sede con la Francia, egli, foraggiatore dell'Imperatore, si è dato pena, sperando forse in una mia intercessione presso la S.V., di ribadire la sua neutralità; la stessa neutralità, mi sia consentito aggiungere, che può emanare soltanto l'oro zecchino. L'impressione mia è che poco importi a questo pio banchiere chi contragga credito presso i suoi forzieri, sia esso imperiale o francese, cattolico o luterano, cristiano o musulmano; essenziali sono per lui il quanto e in quale forma. Che questa guerra venga vinta dagli uni o dagli altri, ai suoi occhi non fa grande differenza, ma a ben vedere la condizione ideale per questo giovane finanziatore non è altra che quella di stallo, ovvero di una guerra perenne che non veda mai vincitori né vinti e tenga legati ai cordoni della sua borsa le teste coronate di tutto il mondo.
Ma non per dare giudizi sui banchieri sono stato inviato ad Augusta. Rispetto dunque al credito che la S.V. ha voluto aprire a mio nome, Fugger si è detto onorato di poter contare tra i suoi clienti una persona che tiene in tanta stima e che si duole di non poter incontrare direttamente, quale Vostra Signoria. Egli ha ritenuto necessario fornirmi d'un simbolo, che consenta ai suoi legati di riconoscermi in ogni città dell'Impero e a me di riscuotere presso tutte le sue filiali, garantendomi cosí la piú vasta libertà di movimento. Per ragioni che posso facilmente intuire non ha voluto mettermi a parte dell'entità del credito aperto, lasciando appena intuire che si tratti di un conto «illimitato». Dal canto mio, Dio non voglia ch'io manchi di rispetto alla S.V., non ho ritenuto giusto chiedere altro. Detto ciò mi premuro fin d'ora di informare la S.V. che cercherò d'amministrare il privilegio che ha voluto concedermi, con parsimonia e saggezza, per quanto sarà nelle mie facoltà, comunicando preventivamente al mio signore ogni utilizzo delle somme messe a mia disposizione.
Non mi resta che ringraziare ancora la S.V. per l'infinita munificenza e raccomandarmi alla sua grazia in attesa di nuove.
Che Iddio misericordioso voglia concedere salute al mio signore e il Suo sguardo magnanimo non abbandoni questo indegno servo della Sua Santa Chiesa.
Di Augusta, il giorno 22 del mese di giugno dell'anno 1526
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.


Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 10 giugno 1527.

All'onorandissimo signore mio, Giovanni Pietro Carafa, felicemente scampato alle schiere immonde dei barbari eretici.
La notizia di sapere la Signoria Vostra sana e salva mi riempie il cuore di gioia e allevia finalmente la pena che in questi giorni terribili mi ha privato del sonno. Il solo pensiero del soglio di Pietro devastato dai nuovi Vandali mi gela il sangue nelle vene. Non oso immaginare quali tremende visioni e quali pensieri di morte debbano aver colpito la S.V. Eminentissima in quei momenti. Nessuno meglio di questo devoto servo può conoscere la brutalità e l'empietà dei tedeschi, soldati immondi gonfi di birra e irrispettosi d'ogni autorità, d'ogni luogo santo. So bene che lordare le chiese, decapitare le immagini sacre dei Santi e della Madonna è da loro ritenuto un merito di fede, oltreché un vero sollazzo.
Ma, come la S.V. ha avuto modo di affermare nella Sua missiva, lo scandalo non potrà rimanere impunito; se Iddio onnipotente ha saputo castigare l'arroganza di queste bestie scagliando su di esse la pestilenza, non mancherà di punire chi a esse ha aperto la gabbia, lasciando che dilagassero per l'Italia: se non davanti al Santo Padre, l'Imperatore dovrà risponderne al cospetto di Dio.
L'Asburgo infatti finge di non sapere che nel suo esercito e in quello dei suoi principi si annidano intere schiere di eretici: luterani che non hanno rispetto di niente e di nessuno. Ho infatti ragione di credere che non sia stato un caso che la conduzione della campagna d'Italia sia stata affidata a Georg Frundsberg e ai suoi lanzichenecchi. Quassú essi sono ben noti per l'efferatezza e l'empietà, oltreché per la simpatia che nutrono verso Lutero. Non mi meraviglierei affatto se quello che oggi sembra il risultato indesiderato di una scorribanda di barbari mercenari, domani si rivelasse il frutto di una decisione militare e interessata dell'Imperatore. Il sacco di Roma indebolisce il Santo Padre e lo lascia indifeso nelle mani dell'Asburgo. Quest'ultimo ha cosí trovato il modo di essere a un tempo paladino della fede cristiana e secondino della Santa Sede.
Non posso dunque che condividere le durissime parole di condanna e disprezzo di Vostra Signoria, quando afferma che Carlo minaccia sempre piú da vicino e spudoratamente l'autonomia della Chiesa e che dovrà pagare per questo ultimo inaudito affronto.
Prego dunque l'Altissimo affinché voglia assisterci nel grande mistero dell'iniquità che ci circonda e conceda a Vostra Signoria di resistere contro chi si dice difensore della Santa Chiesa di Roma, mentre non si fa scrupolo di concedere alla sua immonda soldataglia di devastarla.
In fedeltà sinceramente mi raccomando baciando le mani,
di Augusta, il giorno 10 di giugno dell'anno 1527
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.


Lettera spedita dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 17 settembre 1527.

All'eminentissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo,
In quest'ora grave di incertezza mi è concesso soltanto l'appello alla misericordia di Dio, consapevole che la Sua luce, attraverso la bontà che Vostra Signoria continua a manifestare verso di me, può indicare a questo indegno mortale la via da tenere nella tenebra che ci circonda. Ed è per questo che mi accingo a riferire su quanto accade quassú, nel cuore marcio dell'Impero, nella speranza che anche una sola delle mie parole possa essere d'aiuto ai disegni della Signoria Vostra.
La Sassonia Elettorale si accinge a mutare il proprio ordinamento ecclesiastico: l'ultimo atto dell'opera incominciata ormai dieci anni orsono sta per compiersi. Fin dal momento della morte di Federico il Savio, due anni fa, è infatti apparsa chiara l'intenzione del fratello Giovanni di continuare là dove il suo predecessore aveva dovuto interrompere. Ebbene il nuovo ordinamento concede al principe stesso la scelta dei parroci, i quali ora possono prendere moglie; un Concistoro di dottori e Soprintendenti lo consigliano nella selezione; il patrimonio della Chiesa è posto sotto il controllo del principe, che presto o tardi procederà ad annetterselo completamente, cosiccome l'insegnamento della dottrina e la gestione delle scuole; la formazione delle nuove leve di teologi luterani è in questo modo garantita. A Marburgo è stata fondata la prima università eretica.
Il modesto parere del servo di Vostra Signoria è che la peste luterana sia ormai invincibile dalle sole forze umane, e che sia possibile solamente tentare un suo contenimento entro i confini che ha finora guadagnato. Ma gli eventi degli ultimi anni hanno insegnato a questo povero soldato di Dio che spesso ciò che appare un male, nel grande disegno dell'Altissimo può trasformarsi in bene. Il matrimonio della fede eretica con i principi tedeschi fa sí che essa non possa piú svincolarsi da quest'ultimi e dalle alleanze che essi vorranno contrarre. Essi possono rivelarsi ottimi alleati contro l'Imperatore e già ora non è raro incontrare messi e ambasciatori francesi lungo le strade di queste lande germaniche. Certo è prematuro attendersi una imminente discesa in campo dei principi contro Carlo, ma non è da pazzi prospettarla per il futuro. Io credo, mio signore, che i nostri calcoli si riveleranno nel corso del tempo quanto mai acuti e premonitori. Se dunque le sorti della guerra in Italia versano a sfavore dei francesi, la S.V. si consoli pensando che di qui a pochi anni Carlo rischia di vedere i propri confini orientali schiacciati tra il Turco e i principi luterani. Allora il suo potere comincerebbe davvero a vacillare.
Ma vi è un male sottile che striscia su questa terra sventurata e di cui mi accingo a darvi notizia.
Le ultime settimane hanno visto questa città squassata dalla repressione contro i cosiddetti Anabattisti. Questi bestemmiatori portano alle estreme conseguenze le perfide dottrine di Lutero. Essi rifiutano il battesimo degli infanti, poiché ritengono che lo Spirito Santo possa essere accettato soltanto per volontà del fedele che lo riceve; rifiutano la gerarchia ecclesiastica e si uniscono in comunità, i cui pastori vengono eletti dai fedeli medesimi; misconoscono l'autorità dottrinale della Chiesa e considerano la Scrittura l'unica fonte di verità; ma, in questo peggiori di Lutero, rifiutano anche di obbedire alle autorità secolari e pretendono che siano le singole comunità cristiane ad adempiere all'amministrazione civica. Inoltre avversano la ricchezza e tutte le forme secolari del culto, le immagini, le chiese, i paramenti sacri, in nome dell'uguaglianza di tutti i discendenti di Adamo. Essi vorrebbero sovvertire il mondo da capo a piedi e non è un caso che molti reduci della guerra dei contadini abbiano simpatizzato con essi, sposandone la causa.
Le autorità hanno un bel da fare per reprimere questi sedotti da Satana, che proprio il mese scorso si erano dati convegno qui ad Augusta per un sinodo generale. Fortunatamente in pochi giorni quasi tutti i loro capi sono stati imprigionati. Tra di essi non si possono annoverare uomini del peso di Thomas Müntzer, e tuttavia il pericolo rappresentato da costoro si prefigura piú grave di quanto il loro numero attuale non possa far pensare. Le loro eresie infatti sembrano diffondersi in tutta la Germania sud-occidentale con facilità e rapidità estrema. Esse prediligono i ceti minori, i lavoratori meccanici, che ne rimangono infettati per l'odio che covano nei confronti dei loro superiori. Le popolazioni delle campagne, ignoranti e scontente, partecipano spesso ai loro rituali nei boschi cedendo all'incanto di Satana. Proprio per il fatto di non essere vincolati a nessun ordinamento civile e religioso, questi Anabattisti, che tra loro si chiamano fratelli, propagano piú facilmente e rapidamente la propria peste di quanto lo stesso Lutero non riesca a fare negli ultimi tempi; è facile prevedere che il loro numero aumenterà e presto l'anabattismo varcherà i confini di queste città. Ovunque vi sia un contadino o un artigiano scontento, affamato, o maltrattato, vi è un eretico in potenza.
Ecco perché non smetterò di raccogliere informazioni e di seguire quanto piú da vicino mi sarà possibile le sorti di questi miscredenti, per fornire a V.S. nuova materia di valutazione.
Non occorre a dire altro se non che bacio le mani della Signoria Vostra, raccomandandomi alla benevolenza di cui è solita omaggiarmi, concedendomi di continuare a prestare questi poveri occhi alla causa di Dio.
Di Augusta, il giorno 17 settembre dell'anno 1527
Il fedele osservatore di V.S.
Q.


Lettera inviata a Venezia dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 1 ottobre 1529.

All'eminentissimo signore mio Giovanni Pietro Carafa, in Venezia.
Signore mio onorandissimo, l'animo di questo servo si riempie di gratitudine e commozione per la possibilità che gli si offre di comparire al Vostro cospetto. Non dubitate ch'io possa mancare all'appuntamento: la pace ha reso le strade della Lombardia piú sicure e questo fatto, unito alla premura che ho di incontrare il mio signore, mi farà bruciare le tappe fino a Bologna. Mi piange il cuore nell'apprendere come il Santo Padre Clemente abbia dovuto scendere a un cosí vile mercato con Carlo, concedendogli questa incoronazione ufficiale in Bologna; la vittoria sui francesi in Italia e ora questo riconoscimento pontificio innalzeranno Carlo V al rango dei piú grandi Cesari dell'antichità, senza ch'egli possegga una goccia della loro virtú e rettitudine. Egli comanderà l'Italia secondo il suo volere, e il mio parere è che questo congresso vedrà gli stati italiani, e quello Pontificio sopra tutti, spettatori impotenti delle decisioni dell'Imperatore. Ma tanto basta: Vae victis, non altro per ora, nella speranza che Iddio misericordioso conceda agli animi devotissimi come quello della Signoria Vostra la grazia di saper arginare l'arroganza di questo novello Cesare.
Proprio a tale proposito mi permetto ancora di usare la franchezza alla quale la Signoria Vostra ha cosí magnanimamente voluto abituarmi, dato che il vagheggiare libero del pensiero, spregiudicato quanto certo di provocare il savio sorriso del mio signore, mi spinge a notare che oggi i nemici di Carlo sono tre: il re di Francia, cattolico; i principi tedeschi, di fede luterana; e il turco Solimano, infedele; e che se costoro fossero capaci di far prevalere il loro comune interesse anti-imperiale sulle diversità di fede, colpendo l'Impero all'unisono e concordemente, allora non vi sarebbe dubbio che esso vacillerebbe come una tenda scossa da un turbine di vento, e con esso anche il trono di Carlo. Ma questi occhi sono stati ordinati per guardare alle faccende di Germania e non al mondo intero, da cui il bisogno di tacere, nell'attesa impaziente di raggiungere la Signoria Vostra a Bologna, e poter riferire di persona della situazione tedesca e in particolare di quegli eretici Anabattisti che la S.V. ricorderà avermi sentito nominare già piú volte in precedenza.
Nella speranza di non tardare d'un solo giorno all'appuntamento, bacio le mani di Vostra Signoria e mi rimetto alla sua grazia.
Di Augusta, il giorno primo di ottobre 1529
Il fedele osservatore di V.S.
Q.

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