Eltersdorf, capodanno 1527

Il vento picchia contro le assi della porta come un cane impazzito. Le candele sembrano vacillare anche qui dentro, come se potessero essere raggiunte dal soffio gelido dell'inverno. Cosí i ricordi si mescolano e tremano, percorsi ancora dai brividi di quella rabbia: furono i giorni della tempesta. Giacigli al cui confronto questa branda è un letto principesco; bambini magri e sporchi, volti dignitosi incapaci di un lamento che si riempivano della voglia di riscatto; sempre in strada, attraverso cascine, borghi, villaggi. Eravamo seminatori solerti, che accendevano la scintilla della guerra contro gli usurpatori della gloria di Dio, i vessatori del Suo popolo. Vidi falci trasformarsi in spade, zappe divenire lance e uomini semplici lasciare l'aratro per mutarsi nei piú impavidi guerrieri. Vidi un piccolo falegname incidere un grande crocifisso e guidare le schiere di Cristo come il capitano del piú invincibile esercito. Vidi tutto questo e vidi quegli uomini e quelle donne raccogliere la propria fede e farne bandiera di rivincita. L'amore stringeva i cuori in quell'unico fuoco che avvampava dentro di noi: eravamo liberi ed eguali nel nome di Dio e avremmo spaccato le montagne, fermato i venti, ucciso tutti i nostri tiranni per realizzare il Suo regno di pace e fratellanza. Potevamo farlo, finalmente potevamo farlo: la vita ci apparteneva.
Themar, Unterhof, Regendorf, Swartzfeld, Ohrdruf, mai due giorni nello stesso posto. A metà novembre decidemmo di fermarci in un minuscolo paesino di nome Grünbach, poco piú di una giornata di cammino da Mühlhausen. Il villaggio era abitato esclusivamente da contadini al servizio del cavaliere di Entzenberger, presso il quale anni prima il poliedrico Pfeiffer aveva svolto funzioni di cuoco e di confessore. Ci assicurò che il cavaliere era un nemico giurato della città imperiale e che non avrebbe certo impedito la nostra azione di evangelizzazione nei suoi possedimenti.
In cambio di un aiuto nei lavori piú pesanti, trovammo sistemazione in una vecchia stalla in disuso, accanto alla casupola di una vedova di nome Frida. Come letto paglia e coperte di lana grezza. La donna si dimostrò, fin dal mattino del nostro arrivo, molto lieta di ospitarci, sostenendo che per tutta la settimana precedente aveva avuto presagi di ogni tipo sull'arrivo nella sua casa di persone di grande riguardo. Per la prima volta provai la strana sensazione di ascoltare una persona parlare la mia lingua senza capire alcunché di quello che stesse dicendo. Escluso Pfeiffer, che era nato da queste parti, l'unica ad afferrare qualcosa di quello che disse l'anziana contadina fu Ottilie, che nel suo girovagare insieme al marito aveva cominciato a fare l'orecchio ai mille modi in cui può essere storpiato lo stesso vernacolo.
La vedova Frenner aveva una figlia, di circa sedici anni, che si occupava delle mucche del padrone e le mungeva tutte le mattine. La ragazza era la piú piccola di sei fratelli, finiti tutti al seguito di un valoroso capitano al soldo del conte di Mansfeld.
Fin dal giorno successivo al nostro arrivo a Grünbach, di buon mattino, cominciammo a visitare campi, orti e stalle e a prendere contatto con la gente, distribuendo i fogli volanti e annunciando l'imminente caduta dei potenti. La concorrenza fu molto agguerrita: nella stessa giornata incontrammo un predicatore luterano, due vagabondi che cercavano di ottenere ospitalità e cibo spiegando la Bibbia e predicendo il futuro; e da ultimo un reclutatore di truppe mercenarie che magnificava la vita nel suo esercito, la paga generosa, i facili guadagni, la gloria.
La gran parte dei contadini che incontrammo ci ascoltò con una certa attenzione, fece domande molto puntigliose riguardo alla fine del mondo, si inorgoglí nel sentirsi chiamare popolo eletto e mostrò un certo spavento di fronte all'idea che per cambiare la loro situazione non sarebbe sceso Dio in persona a rovesciare i potenti, ma avrebbero dovuto farlo loro con falci e forconi. Alcuni di loro, grazie ai fogli che gli mettemmo in mano, fecero conoscenza con la stampa, mentre altri dimostrarono di essere in grado di leggere qualcosa e ci spiegarono di aver imparato grazie a un venditore ambulante di almanacchi e profezie. Grande successo riscuoteva la stampa dell'immagine di Martin Lutero che randella vescovi e papisti. Decidemmo cosí che nei prossimi fogli volanti avremmo stampato piú che altro immagini: sovrani costretti a zappare la terra, contadini in rivolta sotto lo sguardo protettore dell'Onnipotente e via discorrendo.
La sera, a Grünbach, fummo invitati nella bottega di un certo Lambert, che faceva il fabbro e accomodava gli attrezzi. La fornace spenta da poco diffondeva nella stanza il suo calore. Ci venne offerto pane condito con cumino e coriandolo ed Elias, senza dare troppo nell'occhio, convinse anche Ottilie, che odiava quei sapori, a mangiarne almeno un poco. Piú tardi, mentre ci avvolgevamo nelle coperte ruvide, ci spiegò che soltanto streghe e stregoni rifiutano di mangiare il cumino, perché si dice che annulli ogni loro potere.
Il fabbro Lambert lanciò una sfida di canzoni al contrario e cominciò a proporre la sua: Sono uscito stamattina che faceva già buio, con la falce per andare a zappare, per la strada son salito su una quercia, e ho mangiato tutte le ciliegie, è arrivato il padrone di quel melo, mi ha detto di pagargli la sua uva.
Altri rilanciarono con filastrocche che raccontavano di lupi che belano, di gusci che trascinano lumache, di pulcini che si trasformano in uova. Ma il premio finale se lo aggiudicò Elias, con la sua voce da orco: Conosco una canzone al contrario, presto al dritto la dovrò cantare, ho spiegato il Vangelo al parroco, che s'ostinava a parlare in latino, gli ho detto il grano lo devi pagare, quel che avanza è di chi non l'ha. Son salito da solo a palazzo, col mio amico siamo andati dal signore, in cinque gli abbiam detto che la terra è nostra, in dieci gliel'abbiamo spiegato, in venti lo abbiamo fatto scappare, in cinquanta ci siam presi il castello, in cento lo abbiamo bruciato, in mille abbiam passato il fiume, in diecimila andiamo alla battaglia finale!
Grazie a quella canzone, che presto diventò un vero e proprio inno, ci conquistammo da subito la simpatia dei contadini di Grünbach. Elias preparava la battaglia finale: veri e propri addestramenti, tutti i giorni al tramonto, insegnando a usare la spada e il coltello, a disarmare l'avversario, ad atterrarlo e a conciarlo per le feste a mani nude. Prima di allora non avevo mai maneggiato nessun tipo di arma, e devo ammettere che i contadini si dimostrarono allievi ben piú abili di me.
E poiché la gente delle campagne non ama le cose astratte, dopo qualche giorno mettemmo alla prova il nostro piccolo esercito. Tuttavia non ci fu molto da combattere; il parroco si diede alla fuga non appena scorse i forconi alti sopra le teste, e non fu difficile requisire il grano dell'ultima decima per ridistribuirlo tra la gente dei villaggi circostanti.
Qualche giorno dopo organizzammo una grande festa a Sneedorf, nel corso della quale venne eletto il nuovo parroco della comunità e per la prima volta dopo molti anni venne concesso dall'autorità religiosa di ballare la danza del Gallo, che era stata fino ad allora proibita, per via di certe piroette molto lascive, che lasciavano scoprire le gambe delle donne. Prima di ubriacarmi come poche volte mi era successo, finché le gambe mi sorressero, accompagnai nelle danze Dana, la giovane figlia della vedova Frenner.
Nei giorni successivi, la notizia di un parroco eletto dai fedeli raggiunse anche le comunità vicine, che inviarono messaggeri a Grünbach per chiederci di intervenire a loro sostegno, ora contro il parroco, ora contro il signore. Senza esitazioni i nostri confratelli lasciavano i loro lavori e accorrevano dove c'era bisogno, fino a quando tre giorni ininterrotti di neve bloccarono ogni possibile spostamento.
Oltre al vento e al gelo un'altra tempesta raggiunse il nostro villaggio. Poco prima dell'alba venimmo svegliati dalle urla dei contadini che erano andati sui campi per controllare gli effetti della gelata.
Quando uscimmo sull'aia, Frida correva impazzita da ogni parte e Dana piangeva inginocchiata nella neve. Pfeiffer bloccò la vedova per capire cosa stesse succedendo, ma nello stato in cui era, la sua parlata si faceva ancor piú incomprensibile. Allora mi avvicinai a Dana e piegandomi su di lei chiesi lentamente: - Cosa sta succedendo, sorella? Dicci qualcosa...
Singhiozzando: - I lanzichenecchi, sono di nuovo qui... Hanno ucciso mio padre, portato via i miei fratelli, a me e a mia madre... - Non riuscí a continuare.
Spuntati dal nulla, chiamati da chissà quale guerra, affamati dal freddo e stanchi, un manipolo di mercenari puntava dritto sul paesello, con la speranza di portar via un po' di cibo, e la minaccia di stupri, incendi e uccisioni se non ne avessero trovato.
Elias fu il primo a cercare una soluzione.
- Se non sbaglio qui in paese siamo trenta uomini e venti donne. Loro sono sicuramente molti di piú. Batterci non possiamo. Propongo di lasciargli le mucche del cavaliere: quattro vacche dovrebbero sfamarli -. Detto questo si allontanò per avvertire gli altri. Io gli andai dietro, mentre Pfeiffer restò con le donne.
I contadini erano abituati a difendere i beni del loro signore a costo della vita, perché in alternativa avrebbero passato anni interi a cedere al padrone quasi tutta la loro parte del raccolto per ripagare il danno da lui subito. Per questo non fu facile convincerli che questa volta, quando il padrone fosse venuto a reclamare i suoi privilegi, gli avremmo risposto come meritava, mentre ora, isolati come eravamo, bisognava pensare soltanto a salvare la pelle.
Accogliemmo i mercenari sulla strada del villaggio, con la neve alle ginocchia e ogni tipo di attrezzo stretto in pugno. Erano almeno un centinaio, ma ci accorgemmo subito che la marcia e il freddo li avevano stremati. Molti di loro non si reggevano sulle gambe a causa dei piedi congelati, altri non erano lontani dall'assideramento. Con loro anche parecchie donne, probabilmente prostitute, in condizioni miserevoli.
- Abbiamo bisogno di cibo, di un fuoco e di qualche erba contro la febbre, - disse il capitano giunto a distanza di voce.
- Li avrete, - fu la risposta del fabbro Lambert.
- Però, - aggiunse Elias, che aveva intuito la situazione, - lascerete liberi tutti gli uomini e le donne che non voghono piú seguirvi.
- Nessuno se ne vuole andare dal mio esercito! - rispose il capitano cercando di essere convincente, ma non aveva finito di dire quelle parole che almeno una trentina, tra uomini e donne, inciampando nella neve, vennero a nascondersi dietro di noi.
Il capitano restò immobile, la mascella serrata. Poi disse di nuovo: - Avanti, allora, mostrateci il cibo, la legna.
Consegnammo ai cuochi quattro mucche piuttosto in carne, che quelli cominciarono a sgozzare e a macellare immediatamente, e il sangue si mescolava alla neve sciolta.
Quella notte Dana, intirizzita dal freddo e dalla paura, venne a trovarmi nel mio letto di paglia, pregandomi di farla restare lí e di proteggerla, perché temeva che i soldati potessero rifarle quello che lei e sua madre avevano dovuto subire due anni prima.
Scivolò sotto di me, prima di emettere un fiato, ordinare un pensiero. Era magra, gomiti spigolosi, lunghe gambe diritte come i seni, piccoli, appuntiti contro di me, che già faticavo a trattenere il respiro piú intenso, proprio sulla sua faccia tutta grandi occhi neri. Si fece piú piccola, viso premuto contro il mio petto, piano una gamba avvolse il bacino.
Nessuno ti farà del male.
Sciolsi dentro di lei, senza irruenza, giorni, mesi di tensioni e desiderio, ansimando a ogni tocco e lieve movimento. I sottili gemiti di Dana non chiedevano parole né promesse: mi incurvai, la bocca cercava il suo seno, prima sfiorai, poi premetti le labbra su un capezzolo. Tenni il suo viso e i capelli, piú corti di quelli di un ragazzo di bottega, tra le mani, dentro di lei, a lungo, per un tempo che non ricordo, fin quando non si addormentò avvinghiata a me.
Se ne andarono tre giorni dopo, abbandonando i resti delle carcasse accanto ai fori nerastri dei fuochi nella neve e quella trentina di disperati senza paga da mesi. I nuovi arrivi si dimostrarono utili: quasi tutta gente di campagna, ma sapeva usare le armi e schierarsi in battaglia.
Il primo venerdí di ogni mese si teneva a Mühlhausen un grande mercato artigianale, al quale accorreva gente dai quattro angoli della Turingia, da Halle e da Fulda, da Allstedt e da Kassel. Secondo Pfeiffer quello era il giorno in cui avremmo dovuto tentare il rientro in città, nascosti dalla gran massa di persone che ne attraversava le porte. Dicembre si avvicinava. Cominciammo a prendere contatti dentro Mühlhausen, tra i minatori del conte di Mansfeld, tra gli abitanti di Salza e Sangerhausen. Il primo venerdí di dicembre la città dei birrai si sarebbe riempita di una folla interessata a ben altro che a qualche cesto di paglia.

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