Giunge il chiarore dell'alba. Mi accascio, esausto.
Quando ho riaperto gli occhi, nel buio completo della notte e della mia esistenza, la prima sensazione è stata l'assoluto torpore delle membra.
Da quanto tempo se n'erano andati?
Dalla strada salivano imprecazioni di ubriachi, rumori di gozzoviglie, grida di donne sottoposte alla legge dei mercenari.
A ricordarmi di essere vivo, un prurito d'inferno: sulla pelle una corazza di sudore, paglia e polvere.
Vivo, libero di tossire e gemere.
Soltanto rialzarmi e issarmi sul tetto con la sacca e la spada è stata una fatica improba. Ho atteso il tempo di abituarmi all'oscurità scrutando il volto della città della morte.
Sotto, il bagliore dei falò sparsi ovunque illuminava le ghigne dei soldati in baldoria, intenti a bersi il compenso della vittoria piú facile.
Di fronte, buio. Il buio totale della campagna. Sulla sinistra, a poche decine di passi, un tetto sporgeva piú degli altri, scavalcando il vicolo sottostante, fino al confine dell'oscurità assoluta. Strisciando sui tetti, ho trascinato la schiena spezzata fino a quel limite: le mura. Alte come tre uomini, nessuno di guardia. Le ho percorse.
Dapprima non ne ho sentito l'odore: la bocca era una cloaca, il naso pregno del sudore e della sporcizia... Poi l'ho avvertito: letame. Letame proprio lí sotto. Mi sono lasciato cadere, cosí, nel buio, che importava.
Un cumulo di letame.
Di corsa, via, assetato, di corsa, poi ho camminato, inciampato, via, e camminato, via, via, affamato, piú veloce della morte che mi ha sfiorato e del puzzo di merda che mi inseguiva, finché le gambe reggevano.
L'alba.
Sdraiato in un fosso, bevo acqua fangosa. Sprofondo nell'oscurità mentre si leva il sole.
***
Il cielo arde a ponente. Ogni anfratto del corpo brucia; incrostato di merda e fango: vivo.
Campi, covoni, il margine di un bosco qualche miglio a sud. Riprendere a scappare. Devo aspettare il buio.
Solo. I miei compagni, il maestro, Elias.
Solo. I volti dei fratelli, cadaveri stesi nella piana.
La sacca e la spada sembrano pesare il doppio. Sono debole: devo mangiare. A pochi passi spighe verdi di grano. Ne strappo a manciate. Mando giú a fatica.
Mi chiedo che aspetto devo avere, osservo l'ombra lunghissima sul terreno. Alza una mano e se la porta al viso: gli occhi, la barba, non sono io. Non lo sarò mai piú.
Pensare.
Dimenticare l'orrore e pensare. Poi muoversi e dimenticare l'orrore. Poi ancora, distruggere l'orrore e vivere.
Pensare, dunque. Cibo, soldi, vestiti.
Un rifugio, lontano da qui, un posto sicuro, dove avere notizie e rintracciare i fratelli scampati.
Pensare.
Hans Hut, il libraio. Nella piana, la sua fuga alla vista delle corazze del duca Giorgio, prima del macello. Se qualcuno s'è salvato è Hut.
La sua stamperia è a Bibra, vicino a Norimberga. Anni fa pullulava già di fratelli. Un approdo per molti.
A piedi, di notte, senza usare le strade, per i boschi e al limitare dei campi, saranno almeno una dozzina di giorni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento