La vacca di Vogel è morta di febbre. Sono rimasto a guardarla crepare, il respiro sempre piú lento, un rantolo soffocato, gli occhi vitrei che si riempivano d'indifferenza per il mondo, per la vita.
Dicono che Magister Thomas, prima di essere giustiziato, abbia scritto una lettera ai cittadini di Mühlhausen. Dicono che li abbia invitati a deporre le armi, perché tutto ormai era perduto.
Penso all'uomo, che cerca di spiegarsi perché. Perché il Signore ha abbandonato i suoi eletti e ha lasciato che perdessero tutto.
Ti vedo, Magister, mentre giaci nel buio della cella, coi segni della tortura che piagano il corpo, in attesa del boia che metta fine al cammino. Ma è la piaga che avevi nel cuore che ti deve aver spinto all'ultimo messaggio. Non i loro ferri... non avrebbero mai potuto... è stato forse perché abbiamo pensato troppo a noi stessi!? Forse perché siamo stati impudenti fino a scandalizzare il Signore!? Perché abbiamo preteso di interpretare il Suo volere? Forse perché abbiamo ucciso, perché la rabbia degli umili non ha avuto pietà degli empi affamatori!? È questo che hai scritto, Magister? È questo che pensavi in quegli ultimi istanti, mentre l'esercito dei principi marciava all'assedio dell'eroica Mühlhausen?
Un motivo. Un qualunque motivo, perfino l'insondabile volontà del Signore Iddio, non può bastare a scongiurare la disperazione. Perché è ancora un grido di disperazione, quello lanciato dal profondo di una cella oscura. È ancora la cupa angoscia della sconfitta a incatenarmi a questo letto.
Mi appare nitido come una delle incisioni di quel grande artista delle nostre regioni, per sorte non sempre rozze nei gusti, a volte addirittura intrise di soavi abilità. Sembrava scoppiare dentro la stretta delle mura. Le case e le guglie delle chiese si ergevano una sull'altra come grappoli di funghi su un tronco d'albero.
Certo, cosí potrei dire del ricordo del primo ingresso a Mühlhausen: quattro cavalli lanciati dalle nostre urla di stupida celia, sul sentiero a un paio di miglia dalle mura del borgo imperiale, la risata tonante di Elias e i rimbrotti al vento di Ottilie. Poi al passo, quasi marziali, in prossimità del gigantesco portale, a darsi un contegno di autorità non investite, ma non meno importanti, con lo sguardo fiero, diritto, in quella mattina rovente di mezzo agosto.
Già si intravedeva il fitto brulicare di umanità assortita, come un serraglio che volesse, uno dopo l'altro, contenere ciascun esemplare per specie, tipo, forme o deformità tra coloro che portano, appunto, il nome di umani; bestie e carretti e brusio, grida scomposte, eco di bestemmie e trivio. Il puzzo di luppolo e il chiasso vitale dello Steinweg, sul quale si aprono le botteghe e le rivendite di birra. La birra che ha arricchito i mercanti di Mühlhausen come in nessun'altra città tedesca.
La parola di Dio pronunciata a ogni angolo di strada; l'ala nera dei Cavalieri Teutonici che copre i palazzi; la corruzione dei monaci che attira le bestemmie per le strade, a confermare la norma e la regola del mondo: dove c'è lucro ci sono sempre preti in quantità. Nel dedalo di viottoli secchi e polverosi da settimane di siccità, costeggiati da muri di abitazioni e botteghe, locande e opifici, fitti di iscrizioni e graffiature, simboli d'ogni tipo, piú volte però quelli inneggianti all'Ercole di Germania - Luther -, proprio cosí, LUTHER campeggiava su ogni muro del nostro primo tragitto verso la chiesa di San Giacomo, ci precedeva e accompagnava con il suo disprezzo, per altro ossequiosamente ricambiato.
Mi investe, netto e fragoroso il ricordo, il puzzo di sudore e bestiame del mercato nella grande piazza, che ben altri eventi avrebbe veduto in poche settimane, facendoci fremere, palpitare, mentre «i giusti invocavano il martello di Dio» che ricadesse implacabile sopra le teste degli usurpatori della sua parola. Una tensione che si respirava nei vicoli, odore intenso di un'ingiustizia che si voleva far pagare, e ribolliva inquieta sotto i pinnacoli della Cattedrale di Nostra Signora e nel grande mercato. Come in attesa di una scintilla.
Il grande Elias a solcare la folla da battistrada: - Sono già stato in questo buco di culo di straccioni e messi imperiali! - Io dietro, a perdere il passo, distratto da urla di liti di bottegai e dall'offerta procace di dame che avevano conosciuto i soldati prezzolati del duca Giovanni meglio dei loro stessi capitani. Non riuscivo a tirar via diritto, che settimane di sogni di lussuria mi stavano consumando d'ansia di godimento, e il sorriso caustico di Ottilie che mi seguiva da presso a scoraggiare le offerte e rendere il mio volto un tizzone ardente.
- Benvenuti nella polveriera!
Ricordo ancora distintamente il primo sorriso e la frase con cui ci accolse. Heinrich Pfeiffer, nella chiesa di San Giacomo, presso la porta Felchta, punto di ritrovo per gli abitanti del sobborgo di San Nicola. Quest'ambiguo predicatore, figlio di una lattaia, ex cuoco, ex confessore, ex amico del duca di Sassonia, scaltro sostenitore della causa degli umili. Il suo legame con il duca gli era servito per far eleggere ben cinquantasei rappresentanti del popolo nel Consiglio. I suoi sermoni avevano spinto al saccheggio dei beni della Chiesa e alla distruzione delle immagini sacre. Senza l'appoggio del duca non avrebbe mai resistito a lungo in città. Ammirammo la sua astuzia e l'intelligenza: non era difficile capire che insieme, lui e il Magister, avrebbero potuto fare grandi cose.
E infatti, eccoli già indaffarati in discussione serrata su cose da fare e sermoni incendiari da pronunciare per i borghigiani e gli straccioni, i diseredati, la gente del contado e anche i notabili, che «hanno subito da provare la voglia di mettere quelle facce da porci all'ingrasso in un piatto fumante di escrementi».
Adesso, dal mio angolo nascosto, Mühlhausen sembra una città di sogno, uno spettro che il visita di notte e ti racconta la sua storia, ma come se non fossi tu ad averla vissuta, quadro di pennello e bulino, cosí io la ricordo, come di quel genio di pittore nostro, messer Albrecht Dürer.
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