Addí 4 aprile 1538
Essendo costituto in carcere in Vilvoorde et condennato a morte per via di iustitia, Jan di Batenburg, il quale ostinatissimo nell'eresia non si poté mai ridurre a confessare la santa fede, ma vuolse morire nella perversità sua.
Per li orribili massacri et omicidi di cui non ha mostrato pentimento alcuno et anzi soddisfatione et diabolica vanteria, è condennato a morte per il taglio della testa, per esser poi abbruciato et le ceneri lasciate al vento.
Presenti li sottoscritti testimoni:
Nicholas Buyssere, domenicanus
Sebastien Van Runne, domenicanus
Lieven de Backere
Chrestien de Ridder
Per Rijkard Niclaes, provveditore.
L'occhio di Carafa (1525-1529)
Lettera inviata a Roma dalla città sassone di Wittenberg, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 28 maggio 1525.
All'illustrissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo, è con grande soddisfazione che scrivo per dare la lieta notizia: gli ordini di Vostra Signoria sono stati eseguiti il piú rapidamente possibile e hanno ottenuto il risultato sperato.
Avrete forse già avuto nuove dalla terra di Germania e saprete che l'esercito dei contadini insorti è stato sconfitto. Mentre vergo queste righe i mercenari dei principi si accingono a debellare gli ultimi fuochi della piú grande rivolta che queste lande abbiano mai conosciuto.
La città ribelle piú fortificata, che è stata l'epicentro dell'incendio, Mühlhausen, si è arresa già da alcuni giorni all'esercito dei principi e la testa del suo capopopolo Heinrich Pfeiffer è caduta ieri sulla piazza di Görmar, insieme a quella di Thomas Müntzer. Le voci riportano che nelle sue ultime ore il predicatore, sottoposto alla tortura, abbia taciuto senza un lamento in attesa del boia e che solo una volta, nell'ultimo istante di vita, abbia fatto risuonare la voce per la quale si è reso famoso presso il volgo: «Omnia sunt communia», dicono sia stato il suo unico grido, lo stesso motto che ha animato il furore popolare di questi mesi.
Ora che il sangue dei due uomini piú pericolosi si è mescolato sul selciato, la Signoria Vostra può senza dubbio rallegrarsi per quella lungimiranza e saggezza in cui il Suo fedele osservatore confida ciecamente da sempre.
Ma per non venire meno al voto di franchezza che avete richiesto da parte mia, confesserò di aver dovuto agire assai precipitosamente, rischiando finanche di mettere a repentaglio i mesi di lavoro e di sforzi concentrati nel tentativo di procurarmi la fiducia del focoso predicatore dei contadini. Solo grazie a tale precedente tessitura, per altro, è stato possibile accelerare la rovina di Müntzer. L'avergli offerto i miei servigi e informazioni sugli intrighi di Wittenberg ha consentito di guadagnarne la fede e di potergli passare le false notizie che lo hanno spronato allo scontro campale. A onor del vero devo dire che il nostro uomo ci ha messo bene del suo per far precipitare gli avvenimenti: la mia missiva non ha sortito che l'effetto di offuscare l'ultima luce di raziocinio. Un'armata di straccioni non poteva avere alcuna speranza di sconfiggere le schiere ben armate dei lanzichenecchi e la cavalleria dei principi.
Orbene mio Signore, dato che con tanta magnanimità richiedete il mio parere su quanto è stato fatto finora, lasciate che il Vostro grato servitore liberi il cuore dal peso di tutte le impressioni e dai semplici giudizi che lo colmano.
Quando il buon cuore di V.S. mi scelse per osservare da vicino gli affari dei principi tedeschi col monaco Martin Lutero, non era possibile immaginare ciò che il Signore Iddio avrebbe riservato a questa regione. Che l'apostasia e l'eresia avrebbero stretto un patto tanto forte con il potere secolare e si sarebbero a tal punto radicate negli animi, non era destino che intelletto umano potesse intravedere.
Ciononostante, in quel tremendo frangente, la Vostra fermezza mi ordinò di cercare un antagonista al dannato Lutero, per fomentare lo spirito di ribellione del popolo contro i principi apostati e indebolirne la compagine.
Quando non era nelle facoltà umane riconoscere il grave pericolo che sarebbe giunto da colui che si erge a paladino della cattolicità, l'Imperatore Carlo V, la Vostra saggezza è stata tale da indicare al Suo umile servitore la direzione giusta in cui indirizzare l'operato e subito, appena appresa la notizia della cattura del re di Francia sul campo di Pavia, ha saputo dare l'ordine piú appropriato: accelerare la fine della rivolta contadina, affinché i principi amici di Lutero potessero esser saldi rivali di Carlo. L'Imperatore infatti, avendo vinto e catturato il re dei francesi in Italia, si innalza ora come un'aquila rapace che, palesando di voler difendere il nido di Roma, può offuscarlo con la sua ala e il rostro acuminato. La vastità dei suoi possedimenti e il suo potere sono del resto tali da mettere a repentaglio l'autonomia della Santa Sede e l'autorità spirituale di Roma, tanto da spingere a preferire che in una regione dell'Impero come questa da cui scrivo, i principi eretici continuino a piantare la spada nel costato di Carlo, pur di non lasciarlo libero di fare il bello e il cattivo tempo in tutto il mondo. Ciò che il peccatore apprende è che Iddio misericordioso non manca mai di ricordarci quanto misterioso e insondabile sia il Suo disegno: colui che ci difendeva ora ci minaccia, coloro che ci attaccavano ora ci sono alleati. E allora, sia fatta la volontà di Dio. Amen.
Ed ecco dunque che il servo risponde con la franchezza richiesta dal suo Signore: la valutazione della S.V. è sempre stata a mio umilissimo avviso quanto mai lungimirante e repentina. E lo è stata tanto piú in quest'ultimo frangente, a tal punto che questo Suo braccio è sommamente onorato di aver saputo agire quanto piú prontamente possibile per adempiere alla direttiva.
Piú di quanto la S.V. non abbia intuito e previsto, non era dato intuire né prevedere. Oscure e tortuose sono le vie del Signore e solo alla Sua Volontà dobbiamo rimetterci. Non spetta a noi mortali giudicare l'operato dell'Altissimo: il nostro umile compito, come la Signoria Vostra non manca occasione di ricordarmi, può essere soltanto quello di difendere un barlume di fede e cristianità in un mondo che sembra andare perdendola di giorno in giorno. Per questo facciamo tutto ciò che facciamo, non curandoci di leggi umane o patimenti di cuore.
Ebbene, sono certo che saprete indirizzarmi ancora una volta, nelle traversie e nelle insidie che questo tempo sembra riservare ai cristiani e che fanno tremare le vene. Il Signore ha voluto concedere a questo peccatore la valida guida della Signoria Vostra e ha concesso che questi occhi e questa mano potessero servire la Sua causa. Ciò mi fa star saldo nell'affrontare le sfide future, in impaziente attesa di una Vostra nuova parola.
Baciando le mani di Vostra Signoria e raccomandandomi continuamente alla Sua grazia.
Di Wittenberg il giorno 28 maggio 1525
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 22 giugno 1526.
Al munificentissimo e onorandissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
L'illustrissima Eccellenza Vostra ha voluto onorare di un complimento immeritato e di una grazia troppo grande chi aspira semplicemente e umilmente a servire Dio per Vostra mercede. Ma per non volere mancare agli ordini di Vostra Signoria e abbandonandomi del tutto alla Vostra saggezza, non appena ho ricevuto l'ultima missiva, ho intrapreso la strada di questo grande borgo imperiale per adempiere alla consegna del mio signore.
A proposito di quest'ultima tengo a informare della liberalità con cui il giovane Fugger mi ha accolto in ordine alla Vostra raccomandazione. Egli è un uomo devoto e accorto, del saggio zio ha tutta la prudenza e l'abilità calcolatoria, unite al coraggio e all'intraprendenza che la giovane età gli concede. La scomparsa del vecchio Jacob Fugger, ormai due anni orsono, non ha nuociuto alle attività e agli sconfinati interessi della piú ricca e influente famiglia d'Europa: lo zelo con cui il nipote cura gli affari che furono dello zio è secondo soltanto alla sua cristianissima devozione e fedeltà alla Santa Sede. Salta agli occhi la semplicità e astinenza sincera in un giovane uomo quale Anton Fugger, quando la si paragoni alla vastità del suo credito in oro presso tutte le corti d'Europa.
Riguardo alla ripresa della guerra e alla nuova alleanza contratta dalla Santa Sede con la Francia, egli, foraggiatore dell'Imperatore, si è dato pena, sperando forse in una mia intercessione presso la S.V., di ribadire la sua neutralità; la stessa neutralità, mi sia consentito aggiungere, che può emanare soltanto l'oro zecchino. L'impressione mia è che poco importi a questo pio banchiere chi contragga credito presso i suoi forzieri, sia esso imperiale o francese, cattolico o luterano, cristiano o musulmano; essenziali sono per lui il quanto e in quale forma. Che questa guerra venga vinta dagli uni o dagli altri, ai suoi occhi non fa grande differenza, ma a ben vedere la condizione ideale per questo giovane finanziatore non è altra che quella di stallo, ovvero di una guerra perenne che non veda mai vincitori né vinti e tenga legati ai cordoni della sua borsa le teste coronate di tutto il mondo.
Ma non per dare giudizi sui banchieri sono stato inviato ad Augusta. Rispetto dunque al credito che la S.V. ha voluto aprire a mio nome, Fugger si è detto onorato di poter contare tra i suoi clienti una persona che tiene in tanta stima e che si duole di non poter incontrare direttamente, quale Vostra Signoria. Egli ha ritenuto necessario fornirmi d'un simbolo, che consenta ai suoi legati di riconoscermi in ogni città dell'Impero e a me di riscuotere presso tutte le sue filiali, garantendomi cosí la piú vasta libertà di movimento. Per ragioni che posso facilmente intuire non ha voluto mettermi a parte dell'entità del credito aperto, lasciando appena intuire che si tratti di un conto «illimitato». Dal canto mio, Dio non voglia ch'io manchi di rispetto alla S.V., non ho ritenuto giusto chiedere altro. Detto ciò mi premuro fin d'ora di informare la S.V. che cercherò d'amministrare il privilegio che ha voluto concedermi, con parsimonia e saggezza, per quanto sarà nelle mie facoltà, comunicando preventivamente al mio signore ogni utilizzo delle somme messe a mia disposizione.
Non mi resta che ringraziare ancora la S.V. per l'infinita munificenza e raccomandarmi alla sua grazia in attesa di nuove.
Che Iddio misericordioso voglia concedere salute al mio signore e il Suo sguardo magnanimo non abbandoni questo indegno servo della Sua Santa Chiesa.
Di Augusta, il giorno 22 del mese di giugno dell'anno 1526
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 10 giugno 1527.
All'onorandissimo signore mio, Giovanni Pietro Carafa, felicemente scampato alle schiere immonde dei barbari eretici.
La notizia di sapere la Signoria Vostra sana e salva mi riempie il cuore di gioia e allevia finalmente la pena che in questi giorni terribili mi ha privato del sonno. Il solo pensiero del soglio di Pietro devastato dai nuovi Vandali mi gela il sangue nelle vene. Non oso immaginare quali tremende visioni e quali pensieri di morte debbano aver colpito la S.V. Eminentissima in quei momenti. Nessuno meglio di questo devoto servo può conoscere la brutalità e l'empietà dei tedeschi, soldati immondi gonfi di birra e irrispettosi d'ogni autorità, d'ogni luogo santo. So bene che lordare le chiese, decapitare le immagini sacre dei Santi e della Madonna è da loro ritenuto un merito di fede, oltreché un vero sollazzo.
Ma, come la S.V. ha avuto modo di affermare nella Sua missiva, lo scandalo non potrà rimanere impunito; se Iddio onnipotente ha saputo castigare l'arroganza di queste bestie scagliando su di esse la pestilenza, non mancherà di punire chi a esse ha aperto la gabbia, lasciando che dilagassero per l'Italia: se non davanti al Santo Padre, l'Imperatore dovrà risponderne al cospetto di Dio.
L'Asburgo infatti finge di non sapere che nel suo esercito e in quello dei suoi principi si annidano intere schiere di eretici: luterani che non hanno rispetto di niente e di nessuno. Ho infatti ragione di credere che non sia stato un caso che la conduzione della campagna d'Italia sia stata affidata a Georg Frundsberg e ai suoi lanzichenecchi. Quassú essi sono ben noti per l'efferatezza e l'empietà, oltreché per la simpatia che nutrono verso Lutero. Non mi meraviglierei affatto se quello che oggi sembra il risultato indesiderato di una scorribanda di barbari mercenari, domani si rivelasse il frutto di una decisione militare e interessata dell'Imperatore. Il sacco di Roma indebolisce il Santo Padre e lo lascia indifeso nelle mani dell'Asburgo. Quest'ultimo ha cosí trovato il modo di essere a un tempo paladino della fede cristiana e secondino della Santa Sede.
Non posso dunque che condividere le durissime parole di condanna e disprezzo di Vostra Signoria, quando afferma che Carlo minaccia sempre piú da vicino e spudoratamente l'autonomia della Chiesa e che dovrà pagare per questo ultimo inaudito affronto.
Prego dunque l'Altissimo affinché voglia assisterci nel grande mistero dell'iniquità che ci circonda e conceda a Vostra Signoria di resistere contro chi si dice difensore della Santa Chiesa di Roma, mentre non si fa scrupolo di concedere alla sua immonda soldataglia di devastarla.
In fedeltà sinceramente mi raccomando baciando le mani,
di Augusta, il giorno 10 di giugno dell'anno 1527
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera spedita dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 17 settembre 1527.
All'eminentissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo,
In quest'ora grave di incertezza mi è concesso soltanto l'appello alla misericordia di Dio, consapevole che la Sua luce, attraverso la bontà che Vostra Signoria continua a manifestare verso di me, può indicare a questo indegno mortale la via da tenere nella tenebra che ci circonda. Ed è per questo che mi accingo a riferire su quanto accade quassú, nel cuore marcio dell'Impero, nella speranza che anche una sola delle mie parole possa essere d'aiuto ai disegni della Signoria Vostra.
La Sassonia Elettorale si accinge a mutare il proprio ordinamento ecclesiastico: l'ultimo atto dell'opera incominciata ormai dieci anni orsono sta per compiersi. Fin dal momento della morte di Federico il Savio, due anni fa, è infatti apparsa chiara l'intenzione del fratello Giovanni di continuare là dove il suo predecessore aveva dovuto interrompere. Ebbene il nuovo ordinamento concede al principe stesso la scelta dei parroci, i quali ora possono prendere moglie; un Concistoro di dottori e Soprintendenti lo consigliano nella selezione; il patrimonio della Chiesa è posto sotto il controllo del principe, che presto o tardi procederà ad annetterselo completamente, cosiccome l'insegnamento della dottrina e la gestione delle scuole; la formazione delle nuove leve di teologi luterani è in questo modo garantita. A Marburgo è stata fondata la prima università eretica.
Il modesto parere del servo di Vostra Signoria è che la peste luterana sia ormai invincibile dalle sole forze umane, e che sia possibile solamente tentare un suo contenimento entro i confini che ha finora guadagnato. Ma gli eventi degli ultimi anni hanno insegnato a questo povero soldato di Dio che spesso ciò che appare un male, nel grande disegno dell'Altissimo può trasformarsi in bene. Il matrimonio della fede eretica con i principi tedeschi fa sí che essa non possa piú svincolarsi da quest'ultimi e dalle alleanze che essi vorranno contrarre. Essi possono rivelarsi ottimi alleati contro l'Imperatore e già ora non è raro incontrare messi e ambasciatori francesi lungo le strade di queste lande germaniche. Certo è prematuro attendersi una imminente discesa in campo dei principi contro Carlo, ma non è da pazzi prospettarla per il futuro. Io credo, mio signore, che i nostri calcoli si riveleranno nel corso del tempo quanto mai acuti e premonitori. Se dunque le sorti della guerra in Italia versano a sfavore dei francesi, la S.V. si consoli pensando che di qui a pochi anni Carlo rischia di vedere i propri confini orientali schiacciati tra il Turco e i principi luterani. Allora il suo potere comincerebbe davvero a vacillare.
Ma vi è un male sottile che striscia su questa terra sventurata e di cui mi accingo a darvi notizia.
Le ultime settimane hanno visto questa città squassata dalla repressione contro i cosiddetti Anabattisti. Questi bestemmiatori portano alle estreme conseguenze le perfide dottrine di Lutero. Essi rifiutano il battesimo degli infanti, poiché ritengono che lo Spirito Santo possa essere accettato soltanto per volontà del fedele che lo riceve; rifiutano la gerarchia ecclesiastica e si uniscono in comunità, i cui pastori vengono eletti dai fedeli medesimi; misconoscono l'autorità dottrinale della Chiesa e considerano la Scrittura l'unica fonte di verità; ma, in questo peggiori di Lutero, rifiutano anche di obbedire alle autorità secolari e pretendono che siano le singole comunità cristiane ad adempiere all'amministrazione civica. Inoltre avversano la ricchezza e tutte le forme secolari del culto, le immagini, le chiese, i paramenti sacri, in nome dell'uguaglianza di tutti i discendenti di Adamo. Essi vorrebbero sovvertire il mondo da capo a piedi e non è un caso che molti reduci della guerra dei contadini abbiano simpatizzato con essi, sposandone la causa.
Le autorità hanno un bel da fare per reprimere questi sedotti da Satana, che proprio il mese scorso si erano dati convegno qui ad Augusta per un sinodo generale. Fortunatamente in pochi giorni quasi tutti i loro capi sono stati imprigionati. Tra di essi non si possono annoverare uomini del peso di Thomas Müntzer, e tuttavia il pericolo rappresentato da costoro si prefigura piú grave di quanto il loro numero attuale non possa far pensare. Le loro eresie infatti sembrano diffondersi in tutta la Germania sud-occidentale con facilità e rapidità estrema. Esse prediligono i ceti minori, i lavoratori meccanici, che ne rimangono infettati per l'odio che covano nei confronti dei loro superiori. Le popolazioni delle campagne, ignoranti e scontente, partecipano spesso ai loro rituali nei boschi cedendo all'incanto di Satana. Proprio per il fatto di non essere vincolati a nessun ordinamento civile e religioso, questi Anabattisti, che tra loro si chiamano fratelli, propagano piú facilmente e rapidamente la propria peste di quanto lo stesso Lutero non riesca a fare negli ultimi tempi; è facile prevedere che il loro numero aumenterà e presto l'anabattismo varcherà i confini di queste città. Ovunque vi sia un contadino o un artigiano scontento, affamato, o maltrattato, vi è un eretico in potenza.
Ecco perché non smetterò di raccogliere informazioni e di seguire quanto piú da vicino mi sarà possibile le sorti di questi miscredenti, per fornire a V.S. nuova materia di valutazione.
Non occorre a dire altro se non che bacio le mani della Signoria Vostra, raccomandandomi alla benevolenza di cui è solita omaggiarmi, concedendomi di continuare a prestare questi poveri occhi alla causa di Dio.
Di Augusta, il giorno 17 settembre dell'anno 1527
Il fedele osservatore di V.S.
Q.
Lettera inviata a Venezia dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 1 ottobre 1529.
All'eminentissimo signore mio Giovanni Pietro Carafa, in Venezia.
Signore mio onorandissimo, l'animo di questo servo si riempie di gratitudine e commozione per la possibilità che gli si offre di comparire al Vostro cospetto. Non dubitate ch'io possa mancare all'appuntamento: la pace ha reso le strade della Lombardia piú sicure e questo fatto, unito alla premura che ho di incontrare il mio signore, mi farà bruciare le tappe fino a Bologna. Mi piange il cuore nell'apprendere come il Santo Padre Clemente abbia dovuto scendere a un cosí vile mercato con Carlo, concedendogli questa incoronazione ufficiale in Bologna; la vittoria sui francesi in Italia e ora questo riconoscimento pontificio innalzeranno Carlo V al rango dei piú grandi Cesari dell'antichità, senza ch'egli possegga una goccia della loro virtú e rettitudine. Egli comanderà l'Italia secondo il suo volere, e il mio parere è che questo congresso vedrà gli stati italiani, e quello Pontificio sopra tutti, spettatori impotenti delle decisioni dell'Imperatore. Ma tanto basta: Vae victis, non altro per ora, nella speranza che Iddio misericordioso conceda agli animi devotissimi come quello della Signoria Vostra la grazia di saper arginare l'arroganza di questo novello Cesare.
Proprio a tale proposito mi permetto ancora di usare la franchezza alla quale la Signoria Vostra ha cosí magnanimamente voluto abituarmi, dato che il vagheggiare libero del pensiero, spregiudicato quanto certo di provocare il savio sorriso del mio signore, mi spinge a notare che oggi i nemici di Carlo sono tre: il re di Francia, cattolico; i principi tedeschi, di fede luterana; e il turco Solimano, infedele; e che se costoro fossero capaci di far prevalere il loro comune interesse anti-imperiale sulle diversità di fede, colpendo l'Impero all'unisono e concordemente, allora non vi sarebbe dubbio che esso vacillerebbe come una tenda scossa da un turbine di vento, e con esso anche il trono di Carlo. Ma questi occhi sono stati ordinati per guardare alle faccende di Germania e non al mondo intero, da cui il bisogno di tacere, nell'attesa impaziente di raggiungere la Signoria Vostra a Bologna, e poter riferire di persona della situazione tedesca e in particolare di quegli eretici Anabattisti che la S.V. ricorderà avermi sentito nominare già piú volte in precedenza.
Nella speranza di non tardare d'un solo giorno all'appuntamento, bacio le mani di Vostra Signoria e mi rimetto alla sua grazia.
Di Augusta, il giorno primo di ottobre 1529
Il fedele osservatore di V.S.
Q.
All'illustrissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo, è con grande soddisfazione che scrivo per dare la lieta notizia: gli ordini di Vostra Signoria sono stati eseguiti il piú rapidamente possibile e hanno ottenuto il risultato sperato.
Avrete forse già avuto nuove dalla terra di Germania e saprete che l'esercito dei contadini insorti è stato sconfitto. Mentre vergo queste righe i mercenari dei principi si accingono a debellare gli ultimi fuochi della piú grande rivolta che queste lande abbiano mai conosciuto.
La città ribelle piú fortificata, che è stata l'epicentro dell'incendio, Mühlhausen, si è arresa già da alcuni giorni all'esercito dei principi e la testa del suo capopopolo Heinrich Pfeiffer è caduta ieri sulla piazza di Görmar, insieme a quella di Thomas Müntzer. Le voci riportano che nelle sue ultime ore il predicatore, sottoposto alla tortura, abbia taciuto senza un lamento in attesa del boia e che solo una volta, nell'ultimo istante di vita, abbia fatto risuonare la voce per la quale si è reso famoso presso il volgo: «Omnia sunt communia», dicono sia stato il suo unico grido, lo stesso motto che ha animato il furore popolare di questi mesi.
Ora che il sangue dei due uomini piú pericolosi si è mescolato sul selciato, la Signoria Vostra può senza dubbio rallegrarsi per quella lungimiranza e saggezza in cui il Suo fedele osservatore confida ciecamente da sempre.
Ma per non venire meno al voto di franchezza che avete richiesto da parte mia, confesserò di aver dovuto agire assai precipitosamente, rischiando finanche di mettere a repentaglio i mesi di lavoro e di sforzi concentrati nel tentativo di procurarmi la fiducia del focoso predicatore dei contadini. Solo grazie a tale precedente tessitura, per altro, è stato possibile accelerare la rovina di Müntzer. L'avergli offerto i miei servigi e informazioni sugli intrighi di Wittenberg ha consentito di guadagnarne la fede e di potergli passare le false notizie che lo hanno spronato allo scontro campale. A onor del vero devo dire che il nostro uomo ci ha messo bene del suo per far precipitare gli avvenimenti: la mia missiva non ha sortito che l'effetto di offuscare l'ultima luce di raziocinio. Un'armata di straccioni non poteva avere alcuna speranza di sconfiggere le schiere ben armate dei lanzichenecchi e la cavalleria dei principi.
Orbene mio Signore, dato che con tanta magnanimità richiedete il mio parere su quanto è stato fatto finora, lasciate che il Vostro grato servitore liberi il cuore dal peso di tutte le impressioni e dai semplici giudizi che lo colmano.
Quando il buon cuore di V.S. mi scelse per osservare da vicino gli affari dei principi tedeschi col monaco Martin Lutero, non era possibile immaginare ciò che il Signore Iddio avrebbe riservato a questa regione. Che l'apostasia e l'eresia avrebbero stretto un patto tanto forte con il potere secolare e si sarebbero a tal punto radicate negli animi, non era destino che intelletto umano potesse intravedere.
Ciononostante, in quel tremendo frangente, la Vostra fermezza mi ordinò di cercare un antagonista al dannato Lutero, per fomentare lo spirito di ribellione del popolo contro i principi apostati e indebolirne la compagine.
Quando non era nelle facoltà umane riconoscere il grave pericolo che sarebbe giunto da colui che si erge a paladino della cattolicità, l'Imperatore Carlo V, la Vostra saggezza è stata tale da indicare al Suo umile servitore la direzione giusta in cui indirizzare l'operato e subito, appena appresa la notizia della cattura del re di Francia sul campo di Pavia, ha saputo dare l'ordine piú appropriato: accelerare la fine della rivolta contadina, affinché i principi amici di Lutero potessero esser saldi rivali di Carlo. L'Imperatore infatti, avendo vinto e catturato il re dei francesi in Italia, si innalza ora come un'aquila rapace che, palesando di voler difendere il nido di Roma, può offuscarlo con la sua ala e il rostro acuminato. La vastità dei suoi possedimenti e il suo potere sono del resto tali da mettere a repentaglio l'autonomia della Santa Sede e l'autorità spirituale di Roma, tanto da spingere a preferire che in una regione dell'Impero come questa da cui scrivo, i principi eretici continuino a piantare la spada nel costato di Carlo, pur di non lasciarlo libero di fare il bello e il cattivo tempo in tutto il mondo. Ciò che il peccatore apprende è che Iddio misericordioso non manca mai di ricordarci quanto misterioso e insondabile sia il Suo disegno: colui che ci difendeva ora ci minaccia, coloro che ci attaccavano ora ci sono alleati. E allora, sia fatta la volontà di Dio. Amen.
Ed ecco dunque che il servo risponde con la franchezza richiesta dal suo Signore: la valutazione della S.V. è sempre stata a mio umilissimo avviso quanto mai lungimirante e repentina. E lo è stata tanto piú in quest'ultimo frangente, a tal punto che questo Suo braccio è sommamente onorato di aver saputo agire quanto piú prontamente possibile per adempiere alla direttiva.
Piú di quanto la S.V. non abbia intuito e previsto, non era dato intuire né prevedere. Oscure e tortuose sono le vie del Signore e solo alla Sua Volontà dobbiamo rimetterci. Non spetta a noi mortali giudicare l'operato dell'Altissimo: il nostro umile compito, come la Signoria Vostra non manca occasione di ricordarmi, può essere soltanto quello di difendere un barlume di fede e cristianità in un mondo che sembra andare perdendola di giorno in giorno. Per questo facciamo tutto ciò che facciamo, non curandoci di leggi umane o patimenti di cuore.
Ebbene, sono certo che saprete indirizzarmi ancora una volta, nelle traversie e nelle insidie che questo tempo sembra riservare ai cristiani e che fanno tremare le vene. Il Signore ha voluto concedere a questo peccatore la valida guida della Signoria Vostra e ha concesso che questi occhi e questa mano potessero servire la Sua causa. Ciò mi fa star saldo nell'affrontare le sfide future, in impaziente attesa di una Vostra nuova parola.
Baciando le mani di Vostra Signoria e raccomandandomi continuamente alla Sua grazia.
Di Wittenberg il giorno 28 maggio 1525
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 22 giugno 1526.
Al munificentissimo e onorandissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
L'illustrissima Eccellenza Vostra ha voluto onorare di un complimento immeritato e di una grazia troppo grande chi aspira semplicemente e umilmente a servire Dio per Vostra mercede. Ma per non volere mancare agli ordini di Vostra Signoria e abbandonandomi del tutto alla Vostra saggezza, non appena ho ricevuto l'ultima missiva, ho intrapreso la strada di questo grande borgo imperiale per adempiere alla consegna del mio signore.
A proposito di quest'ultima tengo a informare della liberalità con cui il giovane Fugger mi ha accolto in ordine alla Vostra raccomandazione. Egli è un uomo devoto e accorto, del saggio zio ha tutta la prudenza e l'abilità calcolatoria, unite al coraggio e all'intraprendenza che la giovane età gli concede. La scomparsa del vecchio Jacob Fugger, ormai due anni orsono, non ha nuociuto alle attività e agli sconfinati interessi della piú ricca e influente famiglia d'Europa: lo zelo con cui il nipote cura gli affari che furono dello zio è secondo soltanto alla sua cristianissima devozione e fedeltà alla Santa Sede. Salta agli occhi la semplicità e astinenza sincera in un giovane uomo quale Anton Fugger, quando la si paragoni alla vastità del suo credito in oro presso tutte le corti d'Europa.
Riguardo alla ripresa della guerra e alla nuova alleanza contratta dalla Santa Sede con la Francia, egli, foraggiatore dell'Imperatore, si è dato pena, sperando forse in una mia intercessione presso la S.V., di ribadire la sua neutralità; la stessa neutralità, mi sia consentito aggiungere, che può emanare soltanto l'oro zecchino. L'impressione mia è che poco importi a questo pio banchiere chi contragga credito presso i suoi forzieri, sia esso imperiale o francese, cattolico o luterano, cristiano o musulmano; essenziali sono per lui il quanto e in quale forma. Che questa guerra venga vinta dagli uni o dagli altri, ai suoi occhi non fa grande differenza, ma a ben vedere la condizione ideale per questo giovane finanziatore non è altra che quella di stallo, ovvero di una guerra perenne che non veda mai vincitori né vinti e tenga legati ai cordoni della sua borsa le teste coronate di tutto il mondo.
Ma non per dare giudizi sui banchieri sono stato inviato ad Augusta. Rispetto dunque al credito che la S.V. ha voluto aprire a mio nome, Fugger si è detto onorato di poter contare tra i suoi clienti una persona che tiene in tanta stima e che si duole di non poter incontrare direttamente, quale Vostra Signoria. Egli ha ritenuto necessario fornirmi d'un simbolo, che consenta ai suoi legati di riconoscermi in ogni città dell'Impero e a me di riscuotere presso tutte le sue filiali, garantendomi cosí la piú vasta libertà di movimento. Per ragioni che posso facilmente intuire non ha voluto mettermi a parte dell'entità del credito aperto, lasciando appena intuire che si tratti di un conto «illimitato». Dal canto mio, Dio non voglia ch'io manchi di rispetto alla S.V., non ho ritenuto giusto chiedere altro. Detto ciò mi premuro fin d'ora di informare la S.V. che cercherò d'amministrare il privilegio che ha voluto concedermi, con parsimonia e saggezza, per quanto sarà nelle mie facoltà, comunicando preventivamente al mio signore ogni utilizzo delle somme messe a mia disposizione.
Non mi resta che ringraziare ancora la S.V. per l'infinita munificenza e raccomandarmi alla sua grazia in attesa di nuove.
Che Iddio misericordioso voglia concedere salute al mio signore e il Suo sguardo magnanimo non abbandoni questo indegno servo della Sua Santa Chiesa.
Di Augusta, il giorno 22 del mese di giugno dell'anno 1526
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera inviata a Roma dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 10 giugno 1527.
All'onorandissimo signore mio, Giovanni Pietro Carafa, felicemente scampato alle schiere immonde dei barbari eretici.
La notizia di sapere la Signoria Vostra sana e salva mi riempie il cuore di gioia e allevia finalmente la pena che in questi giorni terribili mi ha privato del sonno. Il solo pensiero del soglio di Pietro devastato dai nuovi Vandali mi gela il sangue nelle vene. Non oso immaginare quali tremende visioni e quali pensieri di morte debbano aver colpito la S.V. Eminentissima in quei momenti. Nessuno meglio di questo devoto servo può conoscere la brutalità e l'empietà dei tedeschi, soldati immondi gonfi di birra e irrispettosi d'ogni autorità, d'ogni luogo santo. So bene che lordare le chiese, decapitare le immagini sacre dei Santi e della Madonna è da loro ritenuto un merito di fede, oltreché un vero sollazzo.
Ma, come la S.V. ha avuto modo di affermare nella Sua missiva, lo scandalo non potrà rimanere impunito; se Iddio onnipotente ha saputo castigare l'arroganza di queste bestie scagliando su di esse la pestilenza, non mancherà di punire chi a esse ha aperto la gabbia, lasciando che dilagassero per l'Italia: se non davanti al Santo Padre, l'Imperatore dovrà risponderne al cospetto di Dio.
L'Asburgo infatti finge di non sapere che nel suo esercito e in quello dei suoi principi si annidano intere schiere di eretici: luterani che non hanno rispetto di niente e di nessuno. Ho infatti ragione di credere che non sia stato un caso che la conduzione della campagna d'Italia sia stata affidata a Georg Frundsberg e ai suoi lanzichenecchi. Quassú essi sono ben noti per l'efferatezza e l'empietà, oltreché per la simpatia che nutrono verso Lutero. Non mi meraviglierei affatto se quello che oggi sembra il risultato indesiderato di una scorribanda di barbari mercenari, domani si rivelasse il frutto di una decisione militare e interessata dell'Imperatore. Il sacco di Roma indebolisce il Santo Padre e lo lascia indifeso nelle mani dell'Asburgo. Quest'ultimo ha cosí trovato il modo di essere a un tempo paladino della fede cristiana e secondino della Santa Sede.
Non posso dunque che condividere le durissime parole di condanna e disprezzo di Vostra Signoria, quando afferma che Carlo minaccia sempre piú da vicino e spudoratamente l'autonomia della Chiesa e che dovrà pagare per questo ultimo inaudito affronto.
Prego dunque l'Altissimo affinché voglia assisterci nel grande mistero dell'iniquità che ci circonda e conceda a Vostra Signoria di resistere contro chi si dice difensore della Santa Chiesa di Roma, mentre non si fa scrupolo di concedere alla sua immonda soldataglia di devastarla.
In fedeltà sinceramente mi raccomando baciando le mani,
di Augusta, il giorno 10 di giugno dell'anno 1527
Il fedele osservatore di Vostra Signoria
Q.
Lettera spedita dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 17 settembre 1527.
All'eminentissimo e reverendissimo signore Giovanni Pietro Carafa, in Roma.
Signore mio onorandissimo,
In quest'ora grave di incertezza mi è concesso soltanto l'appello alla misericordia di Dio, consapevole che la Sua luce, attraverso la bontà che Vostra Signoria continua a manifestare verso di me, può indicare a questo indegno mortale la via da tenere nella tenebra che ci circonda. Ed è per questo che mi accingo a riferire su quanto accade quassú, nel cuore marcio dell'Impero, nella speranza che anche una sola delle mie parole possa essere d'aiuto ai disegni della Signoria Vostra.
La Sassonia Elettorale si accinge a mutare il proprio ordinamento ecclesiastico: l'ultimo atto dell'opera incominciata ormai dieci anni orsono sta per compiersi. Fin dal momento della morte di Federico il Savio, due anni fa, è infatti apparsa chiara l'intenzione del fratello Giovanni di continuare là dove il suo predecessore aveva dovuto interrompere. Ebbene il nuovo ordinamento concede al principe stesso la scelta dei parroci, i quali ora possono prendere moglie; un Concistoro di dottori e Soprintendenti lo consigliano nella selezione; il patrimonio della Chiesa è posto sotto il controllo del principe, che presto o tardi procederà ad annetterselo completamente, cosiccome l'insegnamento della dottrina e la gestione delle scuole; la formazione delle nuove leve di teologi luterani è in questo modo garantita. A Marburgo è stata fondata la prima università eretica.
Il modesto parere del servo di Vostra Signoria è che la peste luterana sia ormai invincibile dalle sole forze umane, e che sia possibile solamente tentare un suo contenimento entro i confini che ha finora guadagnato. Ma gli eventi degli ultimi anni hanno insegnato a questo povero soldato di Dio che spesso ciò che appare un male, nel grande disegno dell'Altissimo può trasformarsi in bene. Il matrimonio della fede eretica con i principi tedeschi fa sí che essa non possa piú svincolarsi da quest'ultimi e dalle alleanze che essi vorranno contrarre. Essi possono rivelarsi ottimi alleati contro l'Imperatore e già ora non è raro incontrare messi e ambasciatori francesi lungo le strade di queste lande germaniche. Certo è prematuro attendersi una imminente discesa in campo dei principi contro Carlo, ma non è da pazzi prospettarla per il futuro. Io credo, mio signore, che i nostri calcoli si riveleranno nel corso del tempo quanto mai acuti e premonitori. Se dunque le sorti della guerra in Italia versano a sfavore dei francesi, la S.V. si consoli pensando che di qui a pochi anni Carlo rischia di vedere i propri confini orientali schiacciati tra il Turco e i principi luterani. Allora il suo potere comincerebbe davvero a vacillare.
Ma vi è un male sottile che striscia su questa terra sventurata e di cui mi accingo a darvi notizia.
Le ultime settimane hanno visto questa città squassata dalla repressione contro i cosiddetti Anabattisti. Questi bestemmiatori portano alle estreme conseguenze le perfide dottrine di Lutero. Essi rifiutano il battesimo degli infanti, poiché ritengono che lo Spirito Santo possa essere accettato soltanto per volontà del fedele che lo riceve; rifiutano la gerarchia ecclesiastica e si uniscono in comunità, i cui pastori vengono eletti dai fedeli medesimi; misconoscono l'autorità dottrinale della Chiesa e considerano la Scrittura l'unica fonte di verità; ma, in questo peggiori di Lutero, rifiutano anche di obbedire alle autorità secolari e pretendono che siano le singole comunità cristiane ad adempiere all'amministrazione civica. Inoltre avversano la ricchezza e tutte le forme secolari del culto, le immagini, le chiese, i paramenti sacri, in nome dell'uguaglianza di tutti i discendenti di Adamo. Essi vorrebbero sovvertire il mondo da capo a piedi e non è un caso che molti reduci della guerra dei contadini abbiano simpatizzato con essi, sposandone la causa.
Le autorità hanno un bel da fare per reprimere questi sedotti da Satana, che proprio il mese scorso si erano dati convegno qui ad Augusta per un sinodo generale. Fortunatamente in pochi giorni quasi tutti i loro capi sono stati imprigionati. Tra di essi non si possono annoverare uomini del peso di Thomas Müntzer, e tuttavia il pericolo rappresentato da costoro si prefigura piú grave di quanto il loro numero attuale non possa far pensare. Le loro eresie infatti sembrano diffondersi in tutta la Germania sud-occidentale con facilità e rapidità estrema. Esse prediligono i ceti minori, i lavoratori meccanici, che ne rimangono infettati per l'odio che covano nei confronti dei loro superiori. Le popolazioni delle campagne, ignoranti e scontente, partecipano spesso ai loro rituali nei boschi cedendo all'incanto di Satana. Proprio per il fatto di non essere vincolati a nessun ordinamento civile e religioso, questi Anabattisti, che tra loro si chiamano fratelli, propagano piú facilmente e rapidamente la propria peste di quanto lo stesso Lutero non riesca a fare negli ultimi tempi; è facile prevedere che il loro numero aumenterà e presto l'anabattismo varcherà i confini di queste città. Ovunque vi sia un contadino o un artigiano scontento, affamato, o maltrattato, vi è un eretico in potenza.
Ecco perché non smetterò di raccogliere informazioni e di seguire quanto piú da vicino mi sarà possibile le sorti di questi miscredenti, per fornire a V.S. nuova materia di valutazione.
Non occorre a dire altro se non che bacio le mani della Signoria Vostra, raccomandandomi alla benevolenza di cui è solita omaggiarmi, concedendomi di continuare a prestare questi poveri occhi alla causa di Dio.
Di Augusta, il giorno 17 settembre dell'anno 1527
Il fedele osservatore di V.S.
Q.
Lettera inviata a Venezia dalla città imperiale di Augusta, indirizzata a Gianpietro Carafa, datata 1 ottobre 1529.
All'eminentissimo signore mio Giovanni Pietro Carafa, in Venezia.
Signore mio onorandissimo, l'animo di questo servo si riempie di gratitudine e commozione per la possibilità che gli si offre di comparire al Vostro cospetto. Non dubitate ch'io possa mancare all'appuntamento: la pace ha reso le strade della Lombardia piú sicure e questo fatto, unito alla premura che ho di incontrare il mio signore, mi farà bruciare le tappe fino a Bologna. Mi piange il cuore nell'apprendere come il Santo Padre Clemente abbia dovuto scendere a un cosí vile mercato con Carlo, concedendogli questa incoronazione ufficiale in Bologna; la vittoria sui francesi in Italia e ora questo riconoscimento pontificio innalzeranno Carlo V al rango dei piú grandi Cesari dell'antichità, senza ch'egli possegga una goccia della loro virtú e rettitudine. Egli comanderà l'Italia secondo il suo volere, e il mio parere è che questo congresso vedrà gli stati italiani, e quello Pontificio sopra tutti, spettatori impotenti delle decisioni dell'Imperatore. Ma tanto basta: Vae victis, non altro per ora, nella speranza che Iddio misericordioso conceda agli animi devotissimi come quello della Signoria Vostra la grazia di saper arginare l'arroganza di questo novello Cesare.
Proprio a tale proposito mi permetto ancora di usare la franchezza alla quale la Signoria Vostra ha cosí magnanimamente voluto abituarmi, dato che il vagheggiare libero del pensiero, spregiudicato quanto certo di provocare il savio sorriso del mio signore, mi spinge a notare che oggi i nemici di Carlo sono tre: il re di Francia, cattolico; i principi tedeschi, di fede luterana; e il turco Solimano, infedele; e che se costoro fossero capaci di far prevalere il loro comune interesse anti-imperiale sulle diversità di fede, colpendo l'Impero all'unisono e concordemente, allora non vi sarebbe dubbio che esso vacillerebbe come una tenda scossa da un turbine di vento, e con esso anche il trono di Carlo. Ma questi occhi sono stati ordinati per guardare alle faccende di Germania e non al mondo intero, da cui il bisogno di tacere, nell'attesa impaziente di raggiungere la Signoria Vostra a Bologna, e poter riferire di persona della situazione tedesca e in particolare di quegli eretici Anabattisti che la S.V. ricorderà avermi sentito nominare già piú volte in precedenza.
Nella speranza di non tardare d'un solo giorno all'appuntamento, bacio le mani di Vostra Signoria e mi rimetto alla sua grazia.
Di Augusta, il giorno primo di ottobre 1529
Il fedele osservatore di V.S.
Q.
Frankenhausen, 15 maggio 1525, mattina
Il segno.
Striato, fiammeggiante, purpureo, improvviso sale l'arcobaleno dietro le alture e le schiere di Filippo, di fronte agli sguardi rapiti degli umili.
Cancella la paura, un istante, non annunciato da pioggia, cielo terso, stemma del riscatto già dipinto sui nostri vessilli di tela bianca rimediati alla meglio, le insegne del popolo del Signore che si innalzano a salutare lo squillo di tromba celeste che prepara la resa dei conti.
Fragore, trema la terra ovunque, le sue viscere si aprono per inghiottirli, trema la terra, si spacca, avvolge, tuona, erutta la potenza di Dio.
Un pugno grande quanto un uomo mi ribalta a terra, stordito, la faccia nel fango. Mi giro di lato, guidato da un rantolo: un uomo con un grumo di sangue e ossa al posto della faccia. Altri scoppi, la polvere tappa gli occhi, uomini si riparano sotto i cavalli, sotto i carri, dentro le buche che si aprono nella piana. Mi rifugio dietro uno dei pochi alberi vicino a un ragazzo con una scheggia di legno conficcata tra le costole, verde di paura e dolore.
I cannoni continuano a sparare.
La testa del Magister conficcata su un palo. Chiedono. Cosí potrà esserci clemenza.
Malvagio drappello di servi della merda. Luridi bastardi figli di cagna appestata. Non porrete condizioni all'esercito di Dio. Carcasse verminose seccate al sole. Infami falangi delle Tenebre. Sfonderemo i vostri culi con i manici dei picconi. Signore, non abbandonarci ora. Le madri immonde che vi partorirono fottevano con i caproni della foresta. Tornatevene a leccare il culo dei vostri padroni. Perdono, se abbiamo sbagliato. L'inferno aprirà le tremende fauci, le sue viscere vi inghiottiranno. Se abbiamo peccato, la Tua volontà, la Tua volontà sola sia fatta. Sputerà via le ossa, dopo averle spolpate a una a una. Solo l'amore e la parola del Redentore, nel Giorno della Resurrezione degli ultimi. Non avrà pietà delle vostre anime corrotte. Protegga noi la fede in Dio onnipotente.
Magister! Magister! Urla impazzite. Le mie. Voragini di panico tutt'intorno, la fuga del gregge davanti all'orda di lupi.
Lo scorgo davanti a me, inginocchiato, schiacciato a terra, inchiodato come una statua. Su di lui, sento la mia voce gridare sul fragore che si avvicina all'orizzonte: - Magister, Magister!
Gli occhi vuoti, altrove, una preghiera biascicata tra le labbra.
- Magister, per dio, alzati!
Cerco di sollevarlo, ma è come voler sradicare un albero, resuscitare un morto. Mi inginocchio e riesco a rivoltargli le spalle: mi si accascia in grembo. Non c'è piú niente da fare. È finita. L'orizzonte precipita verso di noi sempre piú veloce. È finita. Gli reggo la testa, il petto squarciato dal pianto e dall'ultimo grido, che sputa la disperazione e il sangue al cielo.
È giorno da poco quando cominciamo a prepararci per andare incontro ai principi. Dalle borracce la grappa fa il giro delle gole e cerca di sciacquarle dall'ansia e dalla paura. È giorno da poco, e nella luce incerta e pallida, sotto la nebbia fredda che s'alza piano, lentamente, come di fronte a un sipario, distinguiamo una frangia nera sull'orlo delle colline a settentrione. Nessuno ha dato l'allarme, ma loro sono già qui. Magister Thomas sprona il cavallo, di corsa, da una parte all'altra dell'accampamento, a ravvivare il fuoco della fede e della speranza. Qualcuno urla, alza i forconi, le zappe mutate in alabarde, spara in aria e vomita parole di scherno e di sfida. Qualcuno si inginocchia e prega. Qualcuno resta immobile, come colpito dallo sguardo del basilisco.
Un tratto di carbone intenso si stende lungo la collina a ovest, traccia i contorni sinistri dell'aurora screziata di tenui bagliori. L'esercito di Giorgio di Sassonia si dispone in attesa sulla cresta occidentale. Sagome nere allungate si protendono verso la piana: i cannoni.
Saetta dal nulla di polvere acre e sangue, la belva bardata piomba su un manipolo di sventurati, resi immobili dal terrore, accucciati in preghiera, o rigidi cadaveri in attesa della sentenza fatale. Picca spianata ad altezza di torace, zoccoli e zampe scartano da un corto fosso, trafigge un inerme in ginocchio da parte a parte, travolge un ammasso deforme di arti, ossa, pelle e tela di sacco. Sguaina un'elsa dalla lunga lama sottile, scalcia tra i corpi scuotendo l'armatura, l'abbatte su un cristo che gli si para a destra implorando pietà. Incurva il collo pesante, sbuffa, piega quasi a cadere, recide netto il braccio sinistro, rilancia la corsa verso nuove prede, sale il grido di feroce esultanza.
La polvere scende. Uno squarcio di giorno sul massacro. Solo corpi e grida mutilate. Non un ruggito. Poi li vedo: le schiere si aprono, ferro, picche, stendardi al vento, e la foga trattenuta degli animali che scalpitano. Il galoppo scende dal fianco della collina, fragore di zoccoli e corazze; neri, pesanti e inesorabili come la morte. L'orizzonte ci corre incontro cancellando la piana.
Non è l'urto dell'acciaio a travolgermi, è la presa di Sansone, che solleva il Magister in alto, verso le nuvole e mi trascina per un braccio.
- Alzati, presto!
Elias, un guerriero antico, la faccia nera di terra e sudore, quasi un sogno. Elias, la forza, a indicarmi la direzione, a urlarmi di correre con lui lontano dalla morte.
- Fammi strada ragazzo, ho bisogno di te!
Magister Thomas sulle spalle, e io che ritrovo le gambe.
- Prendi quelle!
Le sacche del Magister, le stringo forte e corro avanti, spingendo i corpi, a capofitto verso l'uscita dell'inferno.
Correre. Fino alla città. Nient'altro. Non un pensiero. Non una parola. La speranza di quell'uomo è infranta, apro la via della sua salvezza.
Quasi alla cieca.
Striato, fiammeggiante, purpureo, improvviso sale l'arcobaleno dietro le alture e le schiere di Filippo, di fronte agli sguardi rapiti degli umili.
Cancella la paura, un istante, non annunciato da pioggia, cielo terso, stemma del riscatto già dipinto sui nostri vessilli di tela bianca rimediati alla meglio, le insegne del popolo del Signore che si innalzano a salutare lo squillo di tromba celeste che prepara la resa dei conti.
Fragore, trema la terra ovunque, le sue viscere si aprono per inghiottirli, trema la terra, si spacca, avvolge, tuona, erutta la potenza di Dio.
Un pugno grande quanto un uomo mi ribalta a terra, stordito, la faccia nel fango. Mi giro di lato, guidato da un rantolo: un uomo con un grumo di sangue e ossa al posto della faccia. Altri scoppi, la polvere tappa gli occhi, uomini si riparano sotto i cavalli, sotto i carri, dentro le buche che si aprono nella piana. Mi rifugio dietro uno dei pochi alberi vicino a un ragazzo con una scheggia di legno conficcata tra le costole, verde di paura e dolore.
I cannoni continuano a sparare.
La testa del Magister conficcata su un palo. Chiedono. Cosí potrà esserci clemenza.
Malvagio drappello di servi della merda. Luridi bastardi figli di cagna appestata. Non porrete condizioni all'esercito di Dio. Carcasse verminose seccate al sole. Infami falangi delle Tenebre. Sfonderemo i vostri culi con i manici dei picconi. Signore, non abbandonarci ora. Le madri immonde che vi partorirono fottevano con i caproni della foresta. Tornatevene a leccare il culo dei vostri padroni. Perdono, se abbiamo sbagliato. L'inferno aprirà le tremende fauci, le sue viscere vi inghiottiranno. Se abbiamo peccato, la Tua volontà, la Tua volontà sola sia fatta. Sputerà via le ossa, dopo averle spolpate a una a una. Solo l'amore e la parola del Redentore, nel Giorno della Resurrezione degli ultimi. Non avrà pietà delle vostre anime corrotte. Protegga noi la fede in Dio onnipotente.
Magister! Magister! Urla impazzite. Le mie. Voragini di panico tutt'intorno, la fuga del gregge davanti all'orda di lupi.
Lo scorgo davanti a me, inginocchiato, schiacciato a terra, inchiodato come una statua. Su di lui, sento la mia voce gridare sul fragore che si avvicina all'orizzonte: - Magister, Magister!
Gli occhi vuoti, altrove, una preghiera biascicata tra le labbra.
- Magister, per dio, alzati!
Cerco di sollevarlo, ma è come voler sradicare un albero, resuscitare un morto. Mi inginocchio e riesco a rivoltargli le spalle: mi si accascia in grembo. Non c'è piú niente da fare. È finita. L'orizzonte precipita verso di noi sempre piú veloce. È finita. Gli reggo la testa, il petto squarciato dal pianto e dall'ultimo grido, che sputa la disperazione e il sangue al cielo.
È giorno da poco quando cominciamo a prepararci per andare incontro ai principi. Dalle borracce la grappa fa il giro delle gole e cerca di sciacquarle dall'ansia e dalla paura. È giorno da poco, e nella luce incerta e pallida, sotto la nebbia fredda che s'alza piano, lentamente, come di fronte a un sipario, distinguiamo una frangia nera sull'orlo delle colline a settentrione. Nessuno ha dato l'allarme, ma loro sono già qui. Magister Thomas sprona il cavallo, di corsa, da una parte all'altra dell'accampamento, a ravvivare il fuoco della fede e della speranza. Qualcuno urla, alza i forconi, le zappe mutate in alabarde, spara in aria e vomita parole di scherno e di sfida. Qualcuno si inginocchia e prega. Qualcuno resta immobile, come colpito dallo sguardo del basilisco.
Un tratto di carbone intenso si stende lungo la collina a ovest, traccia i contorni sinistri dell'aurora screziata di tenui bagliori. L'esercito di Giorgio di Sassonia si dispone in attesa sulla cresta occidentale. Sagome nere allungate si protendono verso la piana: i cannoni.
Saetta dal nulla di polvere acre e sangue, la belva bardata piomba su un manipolo di sventurati, resi immobili dal terrore, accucciati in preghiera, o rigidi cadaveri in attesa della sentenza fatale. Picca spianata ad altezza di torace, zoccoli e zampe scartano da un corto fosso, trafigge un inerme in ginocchio da parte a parte, travolge un ammasso deforme di arti, ossa, pelle e tela di sacco. Sguaina un'elsa dalla lunga lama sottile, scalcia tra i corpi scuotendo l'armatura, l'abbatte su un cristo che gli si para a destra implorando pietà. Incurva il collo pesante, sbuffa, piega quasi a cadere, recide netto il braccio sinistro, rilancia la corsa verso nuove prede, sale il grido di feroce esultanza.
La polvere scende. Uno squarcio di giorno sul massacro. Solo corpi e grida mutilate. Non un ruggito. Poi li vedo: le schiere si aprono, ferro, picche, stendardi al vento, e la foga trattenuta degli animali che scalpitano. Il galoppo scende dal fianco della collina, fragore di zoccoli e corazze; neri, pesanti e inesorabili come la morte. L'orizzonte ci corre incontro cancellando la piana.
Non è l'urto dell'acciaio a travolgermi, è la presa di Sansone, che solleva il Magister in alto, verso le nuvole e mi trascina per un braccio.
- Alzati, presto!
Elias, un guerriero antico, la faccia nera di terra e sudore, quasi un sogno. Elias, la forza, a indicarmi la direzione, a urlarmi di correre con lui lontano dalla morte.
- Fammi strada ragazzo, ho bisogno di te!
Magister Thomas sulle spalle, e io che ritrovo le gambe.
- Prendi quelle!
Le sacche del Magister, le stringo forte e corro avanti, spingendo i corpi, a capofitto verso l'uscita dell'inferno.
Correre. Fino alla città. Nient'altro. Non un pensiero. Non una parola. La speranza di quell'uomo è infranta, apro la via della sua salvezza.
Quasi alla cieca.
Eltersdorf, febbraio 1527
Proprio cosí. Fu in quel modo che lasciammo Mühlhausen. I ricordi di quegli ultimi giorni sono nitidi come il profilo delle colline in questa giornata tersa. Ogni parola di Magister Thomas, ogni frase di Ottilie escono dalla mia memoria come le note di un orologio musicale olandese, il peso del passato trascina le funi e fa girare il meccanismo. Il rumore delle mote dei tre cannoni lungo la strada, il saluto delle donne sui campi, la felicità eccitata di Jacob e Mathias, che paiono passeri intorno a un carro di grano, l'incontro con i fratelli di Frankenhausen, la prima notte passata nella piana, poco fuori dalle mura, in attesa di muovere contro le armate del langravio d'Assia, venute a far giustizia dell'ennesima città insorta.
Proprio cosí. Elias furibondo ripete che siamo soltanto ottomila, lui che a colpo d'occhio sa valutare la consistenza delle folle. L'eco dei suoi insulti ai minatori di Mansfeld che non sono arrivati, trattenuti dalla promessa di un aumento della paga giornaliera. La notizia che Fulda è stata espugnata da dieci giorni e cosí Eisenach, Salza e Sonderhausen. Tagliati fuori, isolati. Il langravio Filippo si è mosso in fretta e ci ha aggirati. Di Denck non si ha notizia, ma anche se avesse trovato uomini e armi, a quest'ora si troverebbe già dietro le linee del principe.
- A maggior gloria di Dio, a maggior gloria Sua! - Il grido del Magister di fronte a quelle notizie. Volessi ripeterlo ora, quell'incitamento, qui, sull'ala della canonica di Vogel, in faccia a oche e galline, so che sarebbe precisamente lo stesso. Ma ho la forza soltanto di masticarlo un po' tra i denti, sottovoce.
Il meccanismo gira. Ottilie che organizza la retroguardia a Frankenhausen: alloggi, difese, approvvigionamenti.
Continua a girare. I volti di tanti, con la precisione del ritratto. Occhi azzurri e naso adunco di un maniscalco di Rottweil, mento carnoso e baffi biondi e ancora naso schiacciato e orecchie a sventola. Visi e voci, uno dopo l'altro. Hans Hut che stipa i libri sul carretto, il cavallo già pronto per essere attaccato: un piccolo libraio inadatto alla battaglia che vuole tornare alla sua stamperia.
A un tratto, uno strappo, la fune s'inceppa e le note stonano, stridono, si fondono in un unico ronzare. I colori si mescolano sulla tavolozza della memoria. Il ricordo muore e lascia spazio all'orrore confuso.
Proprio cosí. Elias furibondo ripete che siamo soltanto ottomila, lui che a colpo d'occhio sa valutare la consistenza delle folle. L'eco dei suoi insulti ai minatori di Mansfeld che non sono arrivati, trattenuti dalla promessa di un aumento della paga giornaliera. La notizia che Fulda è stata espugnata da dieci giorni e cosí Eisenach, Salza e Sonderhausen. Tagliati fuori, isolati. Il langravio Filippo si è mosso in fretta e ci ha aggirati. Di Denck non si ha notizia, ma anche se avesse trovato uomini e armi, a quest'ora si troverebbe già dietro le linee del principe.
- A maggior gloria di Dio, a maggior gloria Sua! - Il grido del Magister di fronte a quelle notizie. Volessi ripeterlo ora, quell'incitamento, qui, sull'ala della canonica di Vogel, in faccia a oche e galline, so che sarebbe precisamente lo stesso. Ma ho la forza soltanto di masticarlo un po' tra i denti, sottovoce.
Il meccanismo gira. Ottilie che organizza la retroguardia a Frankenhausen: alloggi, difese, approvvigionamenti.
Continua a girare. I volti di tanti, con la precisione del ritratto. Occhi azzurri e naso adunco di un maniscalco di Rottweil, mento carnoso e baffi biondi e ancora naso schiacciato e orecchie a sventola. Visi e voci, uno dopo l'altro. Hans Hut che stipa i libri sul carretto, il cavallo già pronto per essere attaccato: un piccolo libraio inadatto alla battaglia che vuole tornare alla sua stamperia.
A un tratto, uno strappo, la fune s'inceppa e le note stonano, stridono, si fondono in un unico ronzare. I colori si mescolano sulla tavolozza della memoria. Il ricordo muore e lascia spazio all'orrore confuso.
Mühlhausen, 10 maggio 1525
La notizia della partenza di Thomas Müntzer per Frankenhausen ha fatto il giro della città in neanche mezza giornata. La mattina, appena desti dopo una notte agitata, affacciandoci alla finestra troviamo il sagrato di Nostra Signora già piuttosto affollato. A volersi illudere si potrebbe concludere che la buona coscienza degli abitanti di Mühlhausen ha finito per prevalere sull'interesse. Ma ormai conosciamo come vanno queste cose: i discorsi di Magister Thomas, che uno li approvi o no, sono qualcosa cui è difficile rinunciare, anche a motivo del fatto che costituiscono, per molti giorni, uno degli argomenti fondamentali di discussione nelle piazze e nelle botteghe. Ed è chiaro a tutti, a chiunque lo conosca anche solo per fama, che Thomas Müntzer non lascerà la città imperiale senza rivolgere un ultimo, rabbioso saluto ai suoi borghigiani.
- Magister, - grido per farmi sentire nell'altra stanza, - sono già qua sotto!
Mi raggiunge e si affaccia leggermente al balcone, salutato da un'esclamazione della folla.
- Lasciamo che la piazza si riempia, cosí che il Signore possa scegliere il suo esercito -. Il suo unico commento.
Un rumore eccitato sale dal sagrato. Quattro colpi decisi sulla porta. Poi altri due. - Magister, Magister, aprite!
- Chi siete? - chiedo piuttosto sorpreso dal timbro squillante delle voci.
- Jacob e Mathias Ziegler, figli di Georg. Dobbiamo parlarvi. Apro con un sorriso ai due figli del sarto Ziegler, nostri fedeli seguaci nonostante l'opposizione del padre, che tempo fa minacciò pure il Magister e dovette desistere da ogni intenzione bellicosa su suggerimento di Elias.
- Che ci fate qui? - chiedo stupito. - Non dovreste essere con i vostri genitori in bottega?
- No, - risponde Jacob, che è il maggiore e ha quindici anni, - da oggi non piú.
- Veniamo con voi, - continua entusiasta il fratello, di due anni piú giovane.
- Piano, piano, - rispondo. - Venire con noi? Avete un'idea di quello che significa?
- Sí, gli eletti sconfiggeranno i principi! Il Signore sarà dalla nostra parte.
Il Magister sorride: - Lo vedi? Tutto si compie: Cristo mette il figlio contro il padre, e ci invita a ritornare come bambini.
- Magister, non possono combattere con noi.
Non mi lasciano parlare: - Abbiamo deciso e non cambiamo idea. Verremo comunque. State saldo, Magister, e a presto, qui non possiamo restare -. Detto questo, si chiudono la porta alle spalle lanciandosi giú per le scale.
Magister Thomas intuisce l'effetto che il breve incontro ha prodotto su di me: - Non temere, - mi rassicura stringendomi le spalle, - il Signore difenderà il suo popolo, abbi fede! Coraggio ora, dobbiamo andare.
Vado a chiamare Ottilie ed Elias. Johannes Denck non è piú con noi: è partito ieri sera, in direzione di Eisenach, in cerca di cannoni, armi e munizioni e ci raggiungerà sulla strada.
Usciamo per il passaggio che porta direttamente in chiesa; Magister Thomas in testa, noi dietro, in silenzio. Attraversiamo le navate trafitte dai raggi di sole a passo lento. Elias apre il pesante portone e ci troviamo, ancora in penombra, sulle gradinate della Cattedrale. Gli sguardi della folla sono tutti rivolti verso le finestre della nostra stanza. Thomas Müntzer avanza un poco, al centro della scalinata. Nessuno lo nota. Il suo primo grido satura la piazza, già strabordante di almeno quattromila persone e viene subito sommerso da un'onda di voci sussultanti:
- Popolo di Mühlhausen, ascolta, la battaglia finale è prossima! Il Signore presto metterà l'empio nelle nostre mani, come fece con i Madianiti e con i loro re, sconfitti dalla spada di Gedeone, figlio di Ioas. Come le genti di Succot, anche voi, dubitando della potenza del Dio d'Israele, rifiutate di portare aiuto alle schiere degli eletti, e riservate i cannoni e le armi alla difesa del vostro privilegio. Gedeone sconfisse le tribú di Madian con trecento uomini, di trentamila che ne aveva chiamati a raccolta. Fu il Signore ad assottigliare le sue fila, perché il popolo non credesse di aver trionfato grazie alle sue sole forze. Coloro che temevano furono cacciati indietro. Non diversamente oggi, la schiera degli eletti si assottiglia, per la defezione dei cittadini di Mühlhausen. Io dico che questo è bene: perché nessuno potrà dimenticare quel che il Signore ha fatto per il suo popolo e, se fosse necessario, sarei pronto a muovere da solo contro i mercenari dei principi. Nulla è impossibile a coloro che hanno fede. Ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo ascoltate, gente di Mühlhausen: il Signore ha scelto i suoi, gli eletti; chi non ha il cuore gonfio del coraggio della fede, non ostacoli i progetti di Dio: se ne vada, ora, verso il suo destino di cane. Via! Torni alla bottega, torni al suo letto. Vada via, scompaia per sempre.
La gente comincia a urlare e a gridare, a spingersi e a ondeggiare e si accendono risse un po' dappertutto tra coloro che si ritengono degni e quelli che vogliono restare a casa e danno del pazzo a Magister Thomas, urlando a gran voce.
Alla fine, rimangono proprio in trecento, per lo piú gente di fuori, vagabondi giunti in città per far razzia nelle chiese, poveracci e gente di San Nicola, che non abbandonerebbero Thomas Müntzer nemmeno se il sole si facesse nero. Il Magister, che non ha piú aperto bocca, fa per rivolgersi al suo piccolo esercito, quando quello si divide in due, per lasciar passare alcuni miliziani che trascinano tre cannoni.
- E questi da dove saltano fuori? - chiede Elias con voce sprezzante.
- Non ci servono, - taglia corto la guardia. - Potete prenderli. Heinrich Pfeiffer dice che il Signore può averne bisogno.
Meno di due ore dopo la colonna dei prescelti esce dalla città in silenzio, dalla porta nord. Due carri carichi di vettovaglie, i cannoni, trainati da muli, a chiudere la fila. Un baco fora il bozzolo che da tempo lo proteggeva e comincia lentamente a strisciare verso nuova vita, la nuova età, incognita e rapace, che l'attesa di farfalla dona la forza di superare.
Nero, lunga criniera dai riflessi argentati sopra due tizzoni e le froge dilatate, schiuma dal morso e scalpita l'animale che conduce la spada di Gedeone in battaglia. Dalla sella pendono le sacche gonfie delle missive degli insorti, che il Magister ha raccolto in mesi e mesi di furibondo errare: non le abbandona mai, contengono nomi, luoghi, notizie che farebbero la gioia di ogni sgherro dei principi.
Mi volto, dietro i cannoni trascinati dai muli, una coltre di polvere rende opaca Mühlhausen. Incerte le mura, le torri sbiadiscono come una stampa sciolta dall'acqua, come la mia anima greve d'angoscia che mai avevo provato. Piú nulla dietro, rivolgo lo sguardo di fronte, di nuovo il Magister, fiero, trattiene il cavallo, fissa l'orizzonte, la resa dei conti, il castigo degli empi.
Mi infonde forza, il tempo è giunto, si deve andare.
- Magister, - grido per farmi sentire nell'altra stanza, - sono già qua sotto!
Mi raggiunge e si affaccia leggermente al balcone, salutato da un'esclamazione della folla.
- Lasciamo che la piazza si riempia, cosí che il Signore possa scegliere il suo esercito -. Il suo unico commento.
Un rumore eccitato sale dal sagrato. Quattro colpi decisi sulla porta. Poi altri due. - Magister, Magister, aprite!
- Chi siete? - chiedo piuttosto sorpreso dal timbro squillante delle voci.
- Jacob e Mathias Ziegler, figli di Georg. Dobbiamo parlarvi. Apro con un sorriso ai due figli del sarto Ziegler, nostri fedeli seguaci nonostante l'opposizione del padre, che tempo fa minacciò pure il Magister e dovette desistere da ogni intenzione bellicosa su suggerimento di Elias.
- Che ci fate qui? - chiedo stupito. - Non dovreste essere con i vostri genitori in bottega?
- No, - risponde Jacob, che è il maggiore e ha quindici anni, - da oggi non piú.
- Veniamo con voi, - continua entusiasta il fratello, di due anni piú giovane.
- Piano, piano, - rispondo. - Venire con noi? Avete un'idea di quello che significa?
- Sí, gli eletti sconfiggeranno i principi! Il Signore sarà dalla nostra parte.
Il Magister sorride: - Lo vedi? Tutto si compie: Cristo mette il figlio contro il padre, e ci invita a ritornare come bambini.
- Magister, non possono combattere con noi.
Non mi lasciano parlare: - Abbiamo deciso e non cambiamo idea. Verremo comunque. State saldo, Magister, e a presto, qui non possiamo restare -. Detto questo, si chiudono la porta alle spalle lanciandosi giú per le scale.
Magister Thomas intuisce l'effetto che il breve incontro ha prodotto su di me: - Non temere, - mi rassicura stringendomi le spalle, - il Signore difenderà il suo popolo, abbi fede! Coraggio ora, dobbiamo andare.
Vado a chiamare Ottilie ed Elias. Johannes Denck non è piú con noi: è partito ieri sera, in direzione di Eisenach, in cerca di cannoni, armi e munizioni e ci raggiungerà sulla strada.
Usciamo per il passaggio che porta direttamente in chiesa; Magister Thomas in testa, noi dietro, in silenzio. Attraversiamo le navate trafitte dai raggi di sole a passo lento. Elias apre il pesante portone e ci troviamo, ancora in penombra, sulle gradinate della Cattedrale. Gli sguardi della folla sono tutti rivolti verso le finestre della nostra stanza. Thomas Müntzer avanza un poco, al centro della scalinata. Nessuno lo nota. Il suo primo grido satura la piazza, già strabordante di almeno quattromila persone e viene subito sommerso da un'onda di voci sussultanti:
- Popolo di Mühlhausen, ascolta, la battaglia finale è prossima! Il Signore presto metterà l'empio nelle nostre mani, come fece con i Madianiti e con i loro re, sconfitti dalla spada di Gedeone, figlio di Ioas. Come le genti di Succot, anche voi, dubitando della potenza del Dio d'Israele, rifiutate di portare aiuto alle schiere degli eletti, e riservate i cannoni e le armi alla difesa del vostro privilegio. Gedeone sconfisse le tribú di Madian con trecento uomini, di trentamila che ne aveva chiamati a raccolta. Fu il Signore ad assottigliare le sue fila, perché il popolo non credesse di aver trionfato grazie alle sue sole forze. Coloro che temevano furono cacciati indietro. Non diversamente oggi, la schiera degli eletti si assottiglia, per la defezione dei cittadini di Mühlhausen. Io dico che questo è bene: perché nessuno potrà dimenticare quel che il Signore ha fatto per il suo popolo e, se fosse necessario, sarei pronto a muovere da solo contro i mercenari dei principi. Nulla è impossibile a coloro che hanno fede. Ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo ascoltate, gente di Mühlhausen: il Signore ha scelto i suoi, gli eletti; chi non ha il cuore gonfio del coraggio della fede, non ostacoli i progetti di Dio: se ne vada, ora, verso il suo destino di cane. Via! Torni alla bottega, torni al suo letto. Vada via, scompaia per sempre.
La gente comincia a urlare e a gridare, a spingersi e a ondeggiare e si accendono risse un po' dappertutto tra coloro che si ritengono degni e quelli che vogliono restare a casa e danno del pazzo a Magister Thomas, urlando a gran voce.
Alla fine, rimangono proprio in trecento, per lo piú gente di fuori, vagabondi giunti in città per far razzia nelle chiese, poveracci e gente di San Nicola, che non abbandonerebbero Thomas Müntzer nemmeno se il sole si facesse nero. Il Magister, che non ha piú aperto bocca, fa per rivolgersi al suo piccolo esercito, quando quello si divide in due, per lasciar passare alcuni miliziani che trascinano tre cannoni.
- E questi da dove saltano fuori? - chiede Elias con voce sprezzante.
- Non ci servono, - taglia corto la guardia. - Potete prenderli. Heinrich Pfeiffer dice che il Signore può averne bisogno.
Meno di due ore dopo la colonna dei prescelti esce dalla città in silenzio, dalla porta nord. Due carri carichi di vettovaglie, i cannoni, trainati da muli, a chiudere la fila. Un baco fora il bozzolo che da tempo lo proteggeva e comincia lentamente a strisciare verso nuova vita, la nuova età, incognita e rapace, che l'attesa di farfalla dona la forza di superare.
Nero, lunga criniera dai riflessi argentati sopra due tizzoni e le froge dilatate, schiuma dal morso e scalpita l'animale che conduce la spada di Gedeone in battaglia. Dalla sella pendono le sacche gonfie delle missive degli insorti, che il Magister ha raccolto in mesi e mesi di furibondo errare: non le abbandona mai, contengono nomi, luoghi, notizie che farebbero la gioia di ogni sgherro dei principi.
Mi volto, dietro i cannoni trascinati dai muli, una coltre di polvere rende opaca Mühlhausen. Incerte le mura, le torri sbiadiscono come una stampa sciolta dall'acqua, come la mia anima greve d'angoscia che mai avevo provato. Piú nulla dietro, rivolgo lo sguardo di fronte, di nuovo il Magister, fiero, trattiene il cavallo, fissa l'orizzonte, la resa dei conti, il castigo degli empi.
Mi infonde forza, il tempo è giunto, si deve andare.
Mühlhausen, 9 maggio 1525
- Allora Heinrich, su quanti credi che potremo contare?
Il tono del Magister è pressante.
Pfeiffer scuote la testa: - Hülm e Briegel non ci stanno. Non sono disposti a cacciare un solo barile di polvere per quelli di Frankenhausen. La gente di qui non verrà.
Dall'orologio del municipio giunge l'eco dei tre colpi di martello dell'automa Hans sulla campana della torre.
- Ma di che hanno paura!? Il Signore non ha dato abbastanza segnali? Ho almeno cinquanta lettere che lo testimoniano chiaramente: la schiera degli eletti ammonta a ventimila uomini.
Magister Thomas fruga nella sacca di cuoio ed estrae una lettera, che brandisce come un'insegna: - Se non vogliono ascoltare la voce del Signore, di fronte ai fatti non potranno esitare. Un fratello che vive a stretto contatto con la cricca wittenberghese mi ha scritto pochi giorni fa confermandomi che i principi sono nella merda: il popolo li odia, le loro truppe sono fiacche e disorganizzate. È il momento di affrontarli, dirigendo verso il cuore della Sassonia, dove non possono permettersi di farci arrivare. Lascia che parli io alla cittadinanza.
- Non servirà. Anche se lasciamo perdere i borgomastri, la gente di qui ha già ottenuto piú di quanto avesse mai osato sperare. Non metterà a rischio le proprie conquiste in una battaglia campale contro i principi.
- Vuoi dire che Mühlhausen, il borgo che ha dato l'esempio a tutte le città della Turingia, nello scontro decisivo per liberare le terre dalle Alpi Bavaresi alla Sassonia, vuole stare a guardare?
Pfeiffer, sempre piú scoraggiato: - Credi che le altre città appoggeranno questa pazzia? Non accadrà, te lo dico io. Se anche Mühlhausen offrisse tutti i suoi cannoni, la situazione non cambierebbe. Le città insorte hanno conquistato l'autonomia e imposto i dodici articoli: nessuno riterrà utile rischiare tutto in un unico scontro frontale. E se venissimo sconfitti? Ascolta. La strada che abbiamo seguito finora ha dato i risultati migliori: la ribellione delle campagne ha trovato nelle città il grimaldello per ottenere le riforme. Cosí deve continuare a essere, non ha senso mettere a repentaglio tutto.
- Vaneggi! Sono le città che si sono giovate della rivolta contadina per strappare i municipi dalle mani dei signori! Ora devono accorrere al fianco delle schiere illuminate per spazzare via per sempre la malvagia tirannia dei principi!
- Non accadrà.
- E allora verranno travolte dal loro miserabile egoismo, nel giorno del trionfo del Signore.
Per un attimo torna la calma. Denck, come me muto finora, riempie i bicchieri del vino sottratto in grande quantità a un convento di domenicani e stappato per l'occasione: - Avremmo bisogno di non meno di mille uomini e dieci cannoni.
Il Magister non guarda neanche la coppa: - Quali cannoni? Sarà la spada di Gedeone a falciare gli eserciti.
Esce, non ha sguardi per nessuno. Dopo un attimo Denck lancia un'occhiata a Pfeiffer, poi a me, e lo segue.
Heinrich Pfeiffer mi parla con tono grave: - Almeno tu devi riuscire a farlo ragionare. È una follia.
- Follia o no, tu credi che sia saggio abbandonare i contadini al loro destino? Se le città non scenderanno in campo, agli occhi dei contadini sembrerà un tradimento. E come dargli torto? Sarà la fine dell'alleanza che abbiamo faticosamente costruito. Se saremo sconfitti, Heinrich, i prossimi sarete voi.
Un respiro profondo, la tristezza gli attanaglia il cuore: - Hai mai visto un esercito caricare?
- No. Ma ho visto Thomas Müntzer sollevare gli umili con la sola forza delle parole. Non lo lascerò adesso.
- Sàlvati. Non andare.
- La salvezza, amico mio, è alzarsi e combattere al fianco del Signore, non restare a guardare.
Silenzio. Ci abbracciamo forte, per l'ultima volta. I destini sono stati scelti.
Il tono del Magister è pressante.
Pfeiffer scuote la testa: - Hülm e Briegel non ci stanno. Non sono disposti a cacciare un solo barile di polvere per quelli di Frankenhausen. La gente di qui non verrà.
Dall'orologio del municipio giunge l'eco dei tre colpi di martello dell'automa Hans sulla campana della torre.
- Ma di che hanno paura!? Il Signore non ha dato abbastanza segnali? Ho almeno cinquanta lettere che lo testimoniano chiaramente: la schiera degli eletti ammonta a ventimila uomini.
Magister Thomas fruga nella sacca di cuoio ed estrae una lettera, che brandisce come un'insegna: - Se non vogliono ascoltare la voce del Signore, di fronte ai fatti non potranno esitare. Un fratello che vive a stretto contatto con la cricca wittenberghese mi ha scritto pochi giorni fa confermandomi che i principi sono nella merda: il popolo li odia, le loro truppe sono fiacche e disorganizzate. È il momento di affrontarli, dirigendo verso il cuore della Sassonia, dove non possono permettersi di farci arrivare. Lascia che parli io alla cittadinanza.
- Non servirà. Anche se lasciamo perdere i borgomastri, la gente di qui ha già ottenuto piú di quanto avesse mai osato sperare. Non metterà a rischio le proprie conquiste in una battaglia campale contro i principi.
- Vuoi dire che Mühlhausen, il borgo che ha dato l'esempio a tutte le città della Turingia, nello scontro decisivo per liberare le terre dalle Alpi Bavaresi alla Sassonia, vuole stare a guardare?
Pfeiffer, sempre piú scoraggiato: - Credi che le altre città appoggeranno questa pazzia? Non accadrà, te lo dico io. Se anche Mühlhausen offrisse tutti i suoi cannoni, la situazione non cambierebbe. Le città insorte hanno conquistato l'autonomia e imposto i dodici articoli: nessuno riterrà utile rischiare tutto in un unico scontro frontale. E se venissimo sconfitti? Ascolta. La strada che abbiamo seguito finora ha dato i risultati migliori: la ribellione delle campagne ha trovato nelle città il grimaldello per ottenere le riforme. Cosí deve continuare a essere, non ha senso mettere a repentaglio tutto.
- Vaneggi! Sono le città che si sono giovate della rivolta contadina per strappare i municipi dalle mani dei signori! Ora devono accorrere al fianco delle schiere illuminate per spazzare via per sempre la malvagia tirannia dei principi!
- Non accadrà.
- E allora verranno travolte dal loro miserabile egoismo, nel giorno del trionfo del Signore.
Per un attimo torna la calma. Denck, come me muto finora, riempie i bicchieri del vino sottratto in grande quantità a un convento di domenicani e stappato per l'occasione: - Avremmo bisogno di non meno di mille uomini e dieci cannoni.
Il Magister non guarda neanche la coppa: - Quali cannoni? Sarà la spada di Gedeone a falciare gli eserciti.
Esce, non ha sguardi per nessuno. Dopo un attimo Denck lancia un'occhiata a Pfeiffer, poi a me, e lo segue.
Heinrich Pfeiffer mi parla con tono grave: - Almeno tu devi riuscire a farlo ragionare. È una follia.
- Follia o no, tu credi che sia saggio abbandonare i contadini al loro destino? Se le città non scenderanno in campo, agli occhi dei contadini sembrerà un tradimento. E come dargli torto? Sarà la fine dell'alleanza che abbiamo faticosamente costruito. Se saremo sconfitti, Heinrich, i prossimi sarete voi.
Un respiro profondo, la tristezza gli attanaglia il cuore: - Hai mai visto un esercito caricare?
- No. Ma ho visto Thomas Müntzer sollevare gli umili con la sola forza delle parole. Non lo lascerò adesso.
- Sàlvati. Non andare.
- La salvezza, amico mio, è alzarsi e combattere al fianco del Signore, non restare a guardare.
Silenzio. Ci abbracciamo forte, per l'ultima volta. I destini sono stati scelti.
Eltersdorf, fine gennaio 1527
Questa notte ho sognato Elias.
Camminavo di notte a piedi nudi per un sentiero tortuoso, lui era al mio fianco. D'improvviso, davanti a noi si alzava una parete di roccia bianca con una stretta fessura sopra le nostre teste. Elias mi sollevava di peso e riuscivo a infilare la testa nel buco. Mi facevo passare la torcia per guardare meglio: una specie di lunga galleria umidiccia. Una volta dentro capivo che lui non avrebbe mai potuto raggiungermi, la parete non aveva appigli. Allora tornavo indietro, ma era già sparito. Con la fiaccola in mano, a fatica, cominciavo a strisciare in quell'angusto passaggio.
Mi sono svegliato e ho atteso che il gallo di Vogel scandisse l'inizio di un altro giorno di fatica. Il fantasma di Elias non mi ha abbandonato fino a sera. Quella immensa forza, quella voce, è ancora con me.
***
Il giorno 16 di marzo la cittadinanza fu radunata presso la chiesa di Nostra Signora per eleggere il nuovo Consiglio. Da quel momento la città fu nostra.
Il compito che mi venne affidato, insieme a Elias, fu quello di organizzare la milizia cittadina. Nel caso di un attacco, i principi non ci avrebbero trovati impreparati. Elias insegnava ai popolani come schierarsi in falange, puntare le picche, affrontare un uomo corpo a corpo. Con l'aiuto del Magister li divise in manipoli di circa venti uomini, e a ognuno di essi assegnò una parte delle mura da difendere in caso di attacco. Chiunque avesse una minima esperienza militare fu scelto dalla stessa milizia come capitano. Io divenni il responsabile delle comunicazioni tra i manipoli e scelsi alcuni ragazzi svegli e fidati che potessero fungere da portaordini. Mi fu messa in mano una daga corta, la sera potevo esercitarmi a usarla con l'imbattibile Elias.
Poi in aprile insorsero i cittadini di Salza. La proposta di andare in loro aiuto fu messa ai voti ed ebbe l'unanimità. Raccogliemmo quattrocento uomini, convinti che sarebbe stata l'occasione buona per mettere alla prova quei mesi di addestramento. Il Magister e Pfeiffer parlarono a lungo con i capi degli insorti, ma quelli sembravano piú preoccupati di strappare qualche minima concessione ai signori piuttosto che di sapere cosa stesse succedendo intorno a loro. Ci regalarono due tonnellate di birra per essere andati fino lí e questo fu il loro unico gesto di ringraziamento.
Quella sera, mentre ci accampavamo sotto la luna, sentii il Magister discutere a lungo con Pfeiffer sui rischi di un'azione non concordata tra le città. Solo l'enorme stanchezza mise fine al loro animoso vociare.
Sulla via del ritorno fummo raggiunti da un messaggero che veniva da Mühlhausen, lo mandava Ottilie. Hans Hut era giunto in città con notizie e lettere molto importanti. Il Magister ne lesse alcune alla truppa: la rivolta dilagava ormai per tutta la Turingia tra Erfurt e l'Harz, tra Naunburg e l'Assia. Altre città stavano seguendo l'esempio di Mühlhausen: Sangerhausen, Frankenhausen, Sonderhausen, Nebra, Stolberg... e ancora, nella regione mineraria di Mansfeld: Allstedt, Nordhausen, Halle. Quindi la stessa Salza, Eisenach e Bibra, i contadini della Foresta Nera.
Quelle notizie innalzarono i nostri cuori, non ci saremmo piú fermati, l'ora era giunta. Mentre tornavamo verso Mühlhausen saccheggiammo un castello e un convento. Non ci furono morti, i proprietari si consegnarono a noi senza opporre resistenza, cercando di impietosirci affinché risparmiassimo i loro beni e le loro concubine. Riguardo alle donne, non una di esse fu toccata. Dell'oro, dell'argento e delle vettovaglie, non lasciammo nulla. Mühlhausen ci accolse da trionfatori e le due gigantesche botti di birra furono rapidamente svuotate dalla sete dei nostri concittadini.
La festa durò un'intera notte, con canti e balli, nel nostro centro del mondo, nel luogo di sogno che fu, in quello scorcio di primavera, la libera e gloriosa Mühlhausen. Era come se tutte le forze della vita si fossero date convegno dentro quelle mura; per omaggiare la fede degli eletti. Nessuno avrebbe potuto portarci via quel momento. Non un esercito, non un colpo di cannone.
Prima dell'alba trovai Elias seduto su una sedia, intento a ravvivare i guizzi morenti di un fuoco. La luce della brace disegnava strane sagome su quella faccia scura, su cui sembrava essersi posata un'ombra di stanchezza o di angoscia. Come se qualcosa di inaudito attraversasse i pensieri di Sansone.
Si voltò quando fui vicino: - Gran festa, eh?
- La migliore che abbia mai visto. Fratello, che succede?
Senza guardarmi, con la rara sincerità di certi momenti: - Penso che... che non so se reggerebbero a una vera battaglia.
- Li hai addestrati bene. E poi comunque lo sapremo presto, credo.
- Già, è proprio questo. Tu non hai mai visto i soldati dei principi, la gente a cui i signori affidano la difesa dei loro forzieri...
Lo sguardo perso tra i riflessi del fuoco.
- Perché... tu sí?
- Dove credi che abbia imparato a combattere?
Un'occhiata appena, lesse la domanda sulla mia faccia.
- Sí, ho fatto il mercenario. Cosí come ho fatto tanti altri mestieri di merda nella mia vita. Ho fatto il minatore e non credere che sia tanto meglio solo perché non si ammazza nessuno. Si ammazza eccome: si ammazza se stessi, sotto terra, sempre piú ciechi come talpe e con la paura di rimanere schiacciati, di restare là sotto per sempre. Ho fatto cose immonde e spero che il Signore Iddio nella sua misericordia infinita avrà pietà di me. Ma adesso penso a loro, a quei disgraziati che manderemo in battaglia contro eserciti veri.
Una mano sulla spalla: - Il Signore ci assisterà, è stato con noi finora. Non ci abbandonerà, Elias, vedrai.
- Prego per questo ogni giorno, ragazzo, ogni giorno...
***
A messer Thomas Müntzer, fratello nella fede, pastore in Nostra Signora di Mühlhausen.
Mio buon amico,
un grazie a te per la lettera che ho ricevuto giusto ieri e un grazie al Signore Dio Nostro, per le notizie di cui era foriera. Speriamo che Egli abbia finalmente trovato in Thomas Müntzer de Quedlinburg il timoniere della nave che ricaccerà Leviathan nel suo abisso.
Da quando ci siamo lasciati, non si può dire che le mie faccende private siano in sintonia con la grandiosità degli eventi che si preparano per gli afflitti di Germania; forse, il Signore desidera farmi rientrare in quest'ultima schiera per rendermi partecipe a pieno titolo della futura gloria. La mia famiglia è rimasta a Norimberga ed è vittima di continue angherie e soprusi. Proprio adesso che non sono piú a portata di mano e che mi hanno allontanato dalla città, cercano in tutti i modi di beccarmi, per mettermi a tacere senza causare sollevazioni. Fortunatamente le nostre sorelle di Norimberga sono vicine a mia moglie e la aiutano in questo momento di prova. Dal canto mio, faccio visita alle locande soltanto per dormire e le abbandono prima che spunti il sole. Non tarderò comunque ad accontentarmi del ciglio della strada: i soldi stanno finendo.
Per questi motivi ti comunico la mia intenzione di raggiungerti a Mühlhausen: sono ansioso di portare il mio contributo all'impresa degli eletti e ho bisogno di tirare il fiato. Inoltre, in città, non dovrebbero mancarmi le occasioni per guadagnare qualcosa con le mie lezioni. Vedi cosa puoi fare, tra le mille preoccupazioni di queste ore.
Possa la Luce del Signore rischiarare il tuo cammino.
Con grande riconoscenza,
Johannes Denck
Di Tubinga, il giorno 25 di Marzo 1525
Hut ci portava le notizie dal Sud. Importanti, vitali. Frugo nella sacca del Magister cercando quella meravigliosa lettera, le parole di un uomo le cui gesta hanno trovato luogo nelle ballate dei cantastorie e sono giunte fin qui.
Alla libera città di Mühlhausen, al Consiglio Perpetuo e al suo predicatore Thomas Müntzer, l'eco delle cui parole infonde speranza a tutta la valle del Tauber.
Il tempo è prossimo. Le schiere illuminate hanno intrapreso la guerra per affermare la giustizia di Dio. I contadini hanno marciato al suono dei tamburi per le vie della città imperiale di Rothenburg e, nonostante le delibere del Consiglio municipale, nessuno ha levato il bastone su di loro. Alla luce dei fatti, i cittadini temono l'impeto del contado e le conseguenze che l'essergli nemico comporterebbe.
Vengo dunque, cari fratelli, a esporre le richieste di riforma che le schiere illuminate avanzano sulla punta delle loro lance. Innanzi tutto essi espongono ai cittadini che la lega e l'accordo consistono nel predicare la parola di Dio, il Sacro Vangelo, in modo libero, chiaro e schietto e senza aggiunte di mano umana. Ma di molto importante, poiché la gente comune finora e da lungo tempo è stata oppressa e sottoposta dall'autorità al carico di insopportabili pesi, che venga la povera gente alleggerita da tali gravami e possa procurarsi il suo pezzo di pane senza essere costretta a mendicare. E che non venga a essere angariata da nessuna autorità, che non debba pagare il censo, il canone, le rendite, il laudemio, il mortuario, le decime, finché non si arrivi a una riforma generale basata sul Sacro Vangelo, la quale stabilisca ciò che è ingiusto e deve essere abolito e ciò che è giusto e deve rimanere.
Mi sia ora concesso di parlare apertamente a coloro che hanno sollevato la speranza e il cuore della povera gente. Gli eventi che si susseguono in queste terre bagnate dal fiume Tauber, ci indicano i due precetti da seguire affinché la causa di Dio non vada perduta e tutto ciò che è stato fatto non abbia a svanire.
Primamente è necessario che le schiere si ingrossino giorno dopo giorno, che come onda di mare in tempesta continuino a crescere fino a quando non raggiungano le risorse e il numero sufficiente a non temere la spada dei principi.
Altrettanto importante è tenere da conto come le diverse richieste che scavano il solco tra città e campagna trovino in fondo alla loro strada il medesimo avversario: gli intollerabili privilegi della grande nobiltà e del clero corrotto. Non possiamo permettere che tali differenze ci pongano sui fronti opposti, a tutto vantaggio del comune nemico. Inoltre, siccome risponde al vero che le città come questa non possono mantenersi senza introiti di tasse, è indispensabile trovare accordi a tale riguardo tra i consigli, le giunte e le comunità contadine su ciò che sarebbe bene intraprendere per sostenere le città. Non si vogliono infatti abolire completamente tutti i gravami, bensí arrivare a un giusto accordo, dopo aver sentito il parere di persone dotte, timorate e amanti di Dio che si esprimeranno sulla questione. A tale scopo i beni ecclesiastici, senza alcuna esclusione, saranno presi in custodia alfine di utilizzarli come si conviene a vantaggio della comunità contadina e delle schiere illuminate. Saranno nominate persone che amministrino tali beni, li conservino e permettano che alla povera gente ne venga distribuita una parte. Inoltre ciò che verrà intrapreso, ordinato e deciso per il bene e per la pace, lo dovrà essere sia per l'abitante del borgo sia per quello della campagna e da ambedue essere rispettato, affinché tutti rimangano uniti, contro le falangi dell'Iniquità.
Con l'auspicio che queste parole sollevino dentro di Voi luminose visioni, nella speranza di incontrarci presto nel giorno del trionfo del Signore, il saluto fraterno di chi combatte sotto il vostro medesimo vessillo e l'invocazione della grazia di Dio,
il comandante delle schiere contadine di Franconia,
Florian Geyer
Di Rothenburg sul Tauber, nel quarto giorno dell'Aprile 1525
Geyer, la leggenda della Foresta Nera. La Schwarztruppe, da lui formata uomo per uomo, aveva seminato il panico tra le fila della Lega Sveva: imprendibili, audaci e fulminei, erano in brevissimo tempo diventati l'esempio per le schiere contadine.
Florian Geyer. Nobile di basso rango, membro della cadetteria tedesca, fin dal '21 era entrato in rotta con lo strapotere dei principi, aveva abbandonato il proprio castello, dedicandosi al brigantaggio e alle scorrerie dentro e fuori dalla Selva, che conosceva palmo a palmo. Dotato di sorprendente intuizione e coraggio impareggiabile, già prima di abbracciare la causa degli umili, sceglieva gli uomini per il suo manipolo di banditi a uno a uno: niente ubriaconi, niente inutili tagliagole, niente stupratori di merda, solo gente decisa, sveglia e interessata al bottino per necessità o per l'ambizione di imprese degne della sua approvazione.
Ricordo, nei giorni dell'euforia di Mühlhausen quale fosse il desiderio che avevo di incontrarlo, di poter vedere da vicino l'uomo il cui nome soltanto terrorizzava la grande nobiltà di Franconia.
Diede l'assalto a decine di castelli e conventi, confiscava beni, armi e viveri e li distribuiva ai contadini e alla povera gente. Compariva all'improvviso nei villaggi, spargendo al vento dalla sua sacca di tela rossa le ceneri dell'ultimo castello bruciato. Il manipolo di cavalieri in pochi mesi crebbe a dismisura fino a poter contare su molte centinaia di reclute, bene armate, addestrate e leali.
Non di rado, la sera intorno al fuoco i contadini intonano le ballate sulle sue gesta. Con la sola ascia e il coltello cacciava cervi e cinghiali; a Rothenburg, dal centro della piazza, decapitò con un colpo la statua dell'imperatore.
Lo presero a Schwäbisch Hall, dopo averlo inseguito e braccato per tre giorni, appiccando fuoco a tre ettari di bosco dove l'avevano visto scomparire. Nascosero in fretta il suo cadavere, ma molti non sono affatto convinti che sia morto e giurano che si sia salvato tuffandosi nelle acque di un fiume sotterraneo. In ogni villaggio della Selva Nera c'è qualcuno che dice di averlo visto cavalcare al tramonto nel fitto della foresta, brandendo la spada, pronto a tornare per rendere giustizia agli umili.
***
A messer Thomas Müntzer, maestro di tutti i giusti nella retta fede, predicatore illustrissimo presso la chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen.
Maestro nostro,
le notizie che mi giungono riguardo a Voi e alla Vostra schiera di eletti, mi danno ormai certezza che la mano del Signore è sul Vostro capo, dopo le mille difficoltà e l'aspra umiliazione di Weimar, di cui mi rammarico non avervi avvisato in tempo. Proprio il Dio che ha in odio i potenti «ha innalzato gli umili» e si prepara a rimandare «i ricchi a mani vuote, soccorrendo Israele, suo servo, come aveva promesso».
Non c'è da perdere tempo: i principi sono disorientati, poiché l'area colpita dalla rivolta è troppo vasta, e il fuoco della fede incendia ogni giorno i cuori e il territorio della Germania. Sebbene il reclutamento prosegua incessante, non pochi sono gli impedimenti che incontrano nel dare vita a una repentina manovra.
Tra tutti, il giovane Filippo, langravio d'Assia, è il piú solerte, ma le sue truppe non sono compatte, si spostano lentamente e incontrano continue difficoltà, a causa di un susseguirsi di imboscate e assalti da parte dei contadini di ogni regione. Non tutti i governanti, poi, si rendono conto che la cosa riguarda ciascuno di loro, che verranno abbattuti uno dopo l'altro, e cosí chi crede di poter controllare la situazione a casa sua, concedendo qualche beneficio e facendo promesse, non accenna a voler rischiare la battaglia. Il dottor Lutero, dietro consiglio di messer Spalatino, è stato nella regione di Mansfeld, per placare l'ira dei contadini ma non è stato in grado di arrestare la rivolta, ottenendo soltanto lanci di pietre e insulti. L'Hercules Germanicus è finito.
È tempo, Maestro: lasciate respiro ai principi e devasteranno le nostre campagne, a costo di perdere il raccolto dell'anno, fino a che l'ultimo germoglio di grano sarà cenere e la testa dell'ultimo contadino non sarà caduta. Chiamate dunque a raccolta gli eletti, affinché non si disperdano. A sud di Mühlhausen il Dio degli eserciti ha già vinto molte battaglie, mentre a nordest la situazione è piú incerta. Se muoverete compatti in quella direzione, i principi non potranno stare a riflettere, dovranno cercare di fermarvi a ogni costo, e il Signore, grazie alle vostre spade, farà giustizia una volta per tutte.
Non temete lo scontro aperto: è proprio in quello che il Dio degli eletti mostrerà di esservi a fianco. Non indugiate: l'Onnipotente vuole trionfare grazie a Voi.
State saldo, dunque, e il Signore Vi illumini: il Regno di Dio in terra è prossimo.
Qoèlet
il giorno primo del maggio 1525
Primo giorno di maggio. Le truppe di Filippo d'Assia erano già alle porte di Fulda, in forze, pronte a espugnarla. Si mossero rapide. Non incontrammo un esercito in difficoltà.
Qoèlet. La terza missiva di un informatore prodigo di dettagli riservati a pochi, come per la vicenda di Weimar.
Missive importanti, che avevano conquistato la fiducia del Magister. Mi riecheggia nella testa quella decisiva discussione, Magister Thomas che brandiva la lettera... questa lettera.
Camminavo di notte a piedi nudi per un sentiero tortuoso, lui era al mio fianco. D'improvviso, davanti a noi si alzava una parete di roccia bianca con una stretta fessura sopra le nostre teste. Elias mi sollevava di peso e riuscivo a infilare la testa nel buco. Mi facevo passare la torcia per guardare meglio: una specie di lunga galleria umidiccia. Una volta dentro capivo che lui non avrebbe mai potuto raggiungermi, la parete non aveva appigli. Allora tornavo indietro, ma era già sparito. Con la fiaccola in mano, a fatica, cominciavo a strisciare in quell'angusto passaggio.
Mi sono svegliato e ho atteso che il gallo di Vogel scandisse l'inizio di un altro giorno di fatica. Il fantasma di Elias non mi ha abbandonato fino a sera. Quella immensa forza, quella voce, è ancora con me.
***
Il giorno 16 di marzo la cittadinanza fu radunata presso la chiesa di Nostra Signora per eleggere il nuovo Consiglio. Da quel momento la città fu nostra.
Il compito che mi venne affidato, insieme a Elias, fu quello di organizzare la milizia cittadina. Nel caso di un attacco, i principi non ci avrebbero trovati impreparati. Elias insegnava ai popolani come schierarsi in falange, puntare le picche, affrontare un uomo corpo a corpo. Con l'aiuto del Magister li divise in manipoli di circa venti uomini, e a ognuno di essi assegnò una parte delle mura da difendere in caso di attacco. Chiunque avesse una minima esperienza militare fu scelto dalla stessa milizia come capitano. Io divenni il responsabile delle comunicazioni tra i manipoli e scelsi alcuni ragazzi svegli e fidati che potessero fungere da portaordini. Mi fu messa in mano una daga corta, la sera potevo esercitarmi a usarla con l'imbattibile Elias.
Poi in aprile insorsero i cittadini di Salza. La proposta di andare in loro aiuto fu messa ai voti ed ebbe l'unanimità. Raccogliemmo quattrocento uomini, convinti che sarebbe stata l'occasione buona per mettere alla prova quei mesi di addestramento. Il Magister e Pfeiffer parlarono a lungo con i capi degli insorti, ma quelli sembravano piú preoccupati di strappare qualche minima concessione ai signori piuttosto che di sapere cosa stesse succedendo intorno a loro. Ci regalarono due tonnellate di birra per essere andati fino lí e questo fu il loro unico gesto di ringraziamento.
Quella sera, mentre ci accampavamo sotto la luna, sentii il Magister discutere a lungo con Pfeiffer sui rischi di un'azione non concordata tra le città. Solo l'enorme stanchezza mise fine al loro animoso vociare.
Sulla via del ritorno fummo raggiunti da un messaggero che veniva da Mühlhausen, lo mandava Ottilie. Hans Hut era giunto in città con notizie e lettere molto importanti. Il Magister ne lesse alcune alla truppa: la rivolta dilagava ormai per tutta la Turingia tra Erfurt e l'Harz, tra Naunburg e l'Assia. Altre città stavano seguendo l'esempio di Mühlhausen: Sangerhausen, Frankenhausen, Sonderhausen, Nebra, Stolberg... e ancora, nella regione mineraria di Mansfeld: Allstedt, Nordhausen, Halle. Quindi la stessa Salza, Eisenach e Bibra, i contadini della Foresta Nera.
Quelle notizie innalzarono i nostri cuori, non ci saremmo piú fermati, l'ora era giunta. Mentre tornavamo verso Mühlhausen saccheggiammo un castello e un convento. Non ci furono morti, i proprietari si consegnarono a noi senza opporre resistenza, cercando di impietosirci affinché risparmiassimo i loro beni e le loro concubine. Riguardo alle donne, non una di esse fu toccata. Dell'oro, dell'argento e delle vettovaglie, non lasciammo nulla. Mühlhausen ci accolse da trionfatori e le due gigantesche botti di birra furono rapidamente svuotate dalla sete dei nostri concittadini.
La festa durò un'intera notte, con canti e balli, nel nostro centro del mondo, nel luogo di sogno che fu, in quello scorcio di primavera, la libera e gloriosa Mühlhausen. Era come se tutte le forze della vita si fossero date convegno dentro quelle mura; per omaggiare la fede degli eletti. Nessuno avrebbe potuto portarci via quel momento. Non un esercito, non un colpo di cannone.
Prima dell'alba trovai Elias seduto su una sedia, intento a ravvivare i guizzi morenti di un fuoco. La luce della brace disegnava strane sagome su quella faccia scura, su cui sembrava essersi posata un'ombra di stanchezza o di angoscia. Come se qualcosa di inaudito attraversasse i pensieri di Sansone.
Si voltò quando fui vicino: - Gran festa, eh?
- La migliore che abbia mai visto. Fratello, che succede?
Senza guardarmi, con la rara sincerità di certi momenti: - Penso che... che non so se reggerebbero a una vera battaglia.
- Li hai addestrati bene. E poi comunque lo sapremo presto, credo.
- Già, è proprio questo. Tu non hai mai visto i soldati dei principi, la gente a cui i signori affidano la difesa dei loro forzieri...
Lo sguardo perso tra i riflessi del fuoco.
- Perché... tu sí?
- Dove credi che abbia imparato a combattere?
Un'occhiata appena, lesse la domanda sulla mia faccia.
- Sí, ho fatto il mercenario. Cosí come ho fatto tanti altri mestieri di merda nella mia vita. Ho fatto il minatore e non credere che sia tanto meglio solo perché non si ammazza nessuno. Si ammazza eccome: si ammazza se stessi, sotto terra, sempre piú ciechi come talpe e con la paura di rimanere schiacciati, di restare là sotto per sempre. Ho fatto cose immonde e spero che il Signore Iddio nella sua misericordia infinita avrà pietà di me. Ma adesso penso a loro, a quei disgraziati che manderemo in battaglia contro eserciti veri.
Una mano sulla spalla: - Il Signore ci assisterà, è stato con noi finora. Non ci abbandonerà, Elias, vedrai.
- Prego per questo ogni giorno, ragazzo, ogni giorno...
***
A messer Thomas Müntzer, fratello nella fede, pastore in Nostra Signora di Mühlhausen.
Mio buon amico,
un grazie a te per la lettera che ho ricevuto giusto ieri e un grazie al Signore Dio Nostro, per le notizie di cui era foriera. Speriamo che Egli abbia finalmente trovato in Thomas Müntzer de Quedlinburg il timoniere della nave che ricaccerà Leviathan nel suo abisso.
Da quando ci siamo lasciati, non si può dire che le mie faccende private siano in sintonia con la grandiosità degli eventi che si preparano per gli afflitti di Germania; forse, il Signore desidera farmi rientrare in quest'ultima schiera per rendermi partecipe a pieno titolo della futura gloria. La mia famiglia è rimasta a Norimberga ed è vittima di continue angherie e soprusi. Proprio adesso che non sono piú a portata di mano e che mi hanno allontanato dalla città, cercano in tutti i modi di beccarmi, per mettermi a tacere senza causare sollevazioni. Fortunatamente le nostre sorelle di Norimberga sono vicine a mia moglie e la aiutano in questo momento di prova. Dal canto mio, faccio visita alle locande soltanto per dormire e le abbandono prima che spunti il sole. Non tarderò comunque ad accontentarmi del ciglio della strada: i soldi stanno finendo.
Per questi motivi ti comunico la mia intenzione di raggiungerti a Mühlhausen: sono ansioso di portare il mio contributo all'impresa degli eletti e ho bisogno di tirare il fiato. Inoltre, in città, non dovrebbero mancarmi le occasioni per guadagnare qualcosa con le mie lezioni. Vedi cosa puoi fare, tra le mille preoccupazioni di queste ore.
Possa la Luce del Signore rischiarare il tuo cammino.
Con grande riconoscenza,
Johannes Denck
Di Tubinga, il giorno 25 di Marzo 1525
Hut ci portava le notizie dal Sud. Importanti, vitali. Frugo nella sacca del Magister cercando quella meravigliosa lettera, le parole di un uomo le cui gesta hanno trovato luogo nelle ballate dei cantastorie e sono giunte fin qui.
Alla libera città di Mühlhausen, al Consiglio Perpetuo e al suo predicatore Thomas Müntzer, l'eco delle cui parole infonde speranza a tutta la valle del Tauber.
Il tempo è prossimo. Le schiere illuminate hanno intrapreso la guerra per affermare la giustizia di Dio. I contadini hanno marciato al suono dei tamburi per le vie della città imperiale di Rothenburg e, nonostante le delibere del Consiglio municipale, nessuno ha levato il bastone su di loro. Alla luce dei fatti, i cittadini temono l'impeto del contado e le conseguenze che l'essergli nemico comporterebbe.
Vengo dunque, cari fratelli, a esporre le richieste di riforma che le schiere illuminate avanzano sulla punta delle loro lance. Innanzi tutto essi espongono ai cittadini che la lega e l'accordo consistono nel predicare la parola di Dio, il Sacro Vangelo, in modo libero, chiaro e schietto e senza aggiunte di mano umana. Ma di molto importante, poiché la gente comune finora e da lungo tempo è stata oppressa e sottoposta dall'autorità al carico di insopportabili pesi, che venga la povera gente alleggerita da tali gravami e possa procurarsi il suo pezzo di pane senza essere costretta a mendicare. E che non venga a essere angariata da nessuna autorità, che non debba pagare il censo, il canone, le rendite, il laudemio, il mortuario, le decime, finché non si arrivi a una riforma generale basata sul Sacro Vangelo, la quale stabilisca ciò che è ingiusto e deve essere abolito e ciò che è giusto e deve rimanere.
Mi sia ora concesso di parlare apertamente a coloro che hanno sollevato la speranza e il cuore della povera gente. Gli eventi che si susseguono in queste terre bagnate dal fiume Tauber, ci indicano i due precetti da seguire affinché la causa di Dio non vada perduta e tutto ciò che è stato fatto non abbia a svanire.
Primamente è necessario che le schiere si ingrossino giorno dopo giorno, che come onda di mare in tempesta continuino a crescere fino a quando non raggiungano le risorse e il numero sufficiente a non temere la spada dei principi.
Altrettanto importante è tenere da conto come le diverse richieste che scavano il solco tra città e campagna trovino in fondo alla loro strada il medesimo avversario: gli intollerabili privilegi della grande nobiltà e del clero corrotto. Non possiamo permettere che tali differenze ci pongano sui fronti opposti, a tutto vantaggio del comune nemico. Inoltre, siccome risponde al vero che le città come questa non possono mantenersi senza introiti di tasse, è indispensabile trovare accordi a tale riguardo tra i consigli, le giunte e le comunità contadine su ciò che sarebbe bene intraprendere per sostenere le città. Non si vogliono infatti abolire completamente tutti i gravami, bensí arrivare a un giusto accordo, dopo aver sentito il parere di persone dotte, timorate e amanti di Dio che si esprimeranno sulla questione. A tale scopo i beni ecclesiastici, senza alcuna esclusione, saranno presi in custodia alfine di utilizzarli come si conviene a vantaggio della comunità contadina e delle schiere illuminate. Saranno nominate persone che amministrino tali beni, li conservino e permettano che alla povera gente ne venga distribuita una parte. Inoltre ciò che verrà intrapreso, ordinato e deciso per il bene e per la pace, lo dovrà essere sia per l'abitante del borgo sia per quello della campagna e da ambedue essere rispettato, affinché tutti rimangano uniti, contro le falangi dell'Iniquità.
Con l'auspicio che queste parole sollevino dentro di Voi luminose visioni, nella speranza di incontrarci presto nel giorno del trionfo del Signore, il saluto fraterno di chi combatte sotto il vostro medesimo vessillo e l'invocazione della grazia di Dio,
il comandante delle schiere contadine di Franconia,
Florian Geyer
Di Rothenburg sul Tauber, nel quarto giorno dell'Aprile 1525
Geyer, la leggenda della Foresta Nera. La Schwarztruppe, da lui formata uomo per uomo, aveva seminato il panico tra le fila della Lega Sveva: imprendibili, audaci e fulminei, erano in brevissimo tempo diventati l'esempio per le schiere contadine.
Florian Geyer. Nobile di basso rango, membro della cadetteria tedesca, fin dal '21 era entrato in rotta con lo strapotere dei principi, aveva abbandonato il proprio castello, dedicandosi al brigantaggio e alle scorrerie dentro e fuori dalla Selva, che conosceva palmo a palmo. Dotato di sorprendente intuizione e coraggio impareggiabile, già prima di abbracciare la causa degli umili, sceglieva gli uomini per il suo manipolo di banditi a uno a uno: niente ubriaconi, niente inutili tagliagole, niente stupratori di merda, solo gente decisa, sveglia e interessata al bottino per necessità o per l'ambizione di imprese degne della sua approvazione.
Ricordo, nei giorni dell'euforia di Mühlhausen quale fosse il desiderio che avevo di incontrarlo, di poter vedere da vicino l'uomo il cui nome soltanto terrorizzava la grande nobiltà di Franconia.
Diede l'assalto a decine di castelli e conventi, confiscava beni, armi e viveri e li distribuiva ai contadini e alla povera gente. Compariva all'improvviso nei villaggi, spargendo al vento dalla sua sacca di tela rossa le ceneri dell'ultimo castello bruciato. Il manipolo di cavalieri in pochi mesi crebbe a dismisura fino a poter contare su molte centinaia di reclute, bene armate, addestrate e leali.
Non di rado, la sera intorno al fuoco i contadini intonano le ballate sulle sue gesta. Con la sola ascia e il coltello cacciava cervi e cinghiali; a Rothenburg, dal centro della piazza, decapitò con un colpo la statua dell'imperatore.
Lo presero a Schwäbisch Hall, dopo averlo inseguito e braccato per tre giorni, appiccando fuoco a tre ettari di bosco dove l'avevano visto scomparire. Nascosero in fretta il suo cadavere, ma molti non sono affatto convinti che sia morto e giurano che si sia salvato tuffandosi nelle acque di un fiume sotterraneo. In ogni villaggio della Selva Nera c'è qualcuno che dice di averlo visto cavalcare al tramonto nel fitto della foresta, brandendo la spada, pronto a tornare per rendere giustizia agli umili.
***
A messer Thomas Müntzer, maestro di tutti i giusti nella retta fede, predicatore illustrissimo presso la chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen.
Maestro nostro,
le notizie che mi giungono riguardo a Voi e alla Vostra schiera di eletti, mi danno ormai certezza che la mano del Signore è sul Vostro capo, dopo le mille difficoltà e l'aspra umiliazione di Weimar, di cui mi rammarico non avervi avvisato in tempo. Proprio il Dio che ha in odio i potenti «ha innalzato gli umili» e si prepara a rimandare «i ricchi a mani vuote, soccorrendo Israele, suo servo, come aveva promesso».
Non c'è da perdere tempo: i principi sono disorientati, poiché l'area colpita dalla rivolta è troppo vasta, e il fuoco della fede incendia ogni giorno i cuori e il territorio della Germania. Sebbene il reclutamento prosegua incessante, non pochi sono gli impedimenti che incontrano nel dare vita a una repentina manovra.
Tra tutti, il giovane Filippo, langravio d'Assia, è il piú solerte, ma le sue truppe non sono compatte, si spostano lentamente e incontrano continue difficoltà, a causa di un susseguirsi di imboscate e assalti da parte dei contadini di ogni regione. Non tutti i governanti, poi, si rendono conto che la cosa riguarda ciascuno di loro, che verranno abbattuti uno dopo l'altro, e cosí chi crede di poter controllare la situazione a casa sua, concedendo qualche beneficio e facendo promesse, non accenna a voler rischiare la battaglia. Il dottor Lutero, dietro consiglio di messer Spalatino, è stato nella regione di Mansfeld, per placare l'ira dei contadini ma non è stato in grado di arrestare la rivolta, ottenendo soltanto lanci di pietre e insulti. L'Hercules Germanicus è finito.
È tempo, Maestro: lasciate respiro ai principi e devasteranno le nostre campagne, a costo di perdere il raccolto dell'anno, fino a che l'ultimo germoglio di grano sarà cenere e la testa dell'ultimo contadino non sarà caduta. Chiamate dunque a raccolta gli eletti, affinché non si disperdano. A sud di Mühlhausen il Dio degli eserciti ha già vinto molte battaglie, mentre a nordest la situazione è piú incerta. Se muoverete compatti in quella direzione, i principi non potranno stare a riflettere, dovranno cercare di fermarvi a ogni costo, e il Signore, grazie alle vostre spade, farà giustizia una volta per tutte.
Non temete lo scontro aperto: è proprio in quello che il Dio degli eletti mostrerà di esservi a fianco. Non indugiate: l'Onnipotente vuole trionfare grazie a Voi.
State saldo, dunque, e il Signore Vi illumini: il Regno di Dio in terra è prossimo.
Qoèlet
il giorno primo del maggio 1525
Primo giorno di maggio. Le truppe di Filippo d'Assia erano già alle porte di Fulda, in forze, pronte a espugnarla. Si mossero rapide. Non incontrammo un esercito in difficoltà.
Qoèlet. La terza missiva di un informatore prodigo di dettagli riservati a pochi, come per la vicenda di Weimar.
Missive importanti, che avevano conquistato la fiducia del Magister. Mi riecheggia nella testa quella decisiva discussione, Magister Thomas che brandiva la lettera... questa lettera.
Mühlhausen, 10 marzo 1525
La riunione è a casa del pannaiolo Briegel. Pfeiffer e il Magister dovranno discutere con i rappresentanti del popolo quali rivendicazioni presentare in Consiglio municipale. Hanno invitato anche me, mentre Ottilie andrà a parlare alle donne della città. Briegel è un piccolo commerciante e cosí Hülm, fabbricante di vasellame e intagliatore. Portavoce dei contadini è il piccolo e irsuto Peter, faccia ruvida e occhi neri, spalle smisuratamente larghe, tornite dal lavoro nei campi.
Una casa umile, ma solida e pulita, ben diversa dalle stamberghe che abbiamo visto a Grünbach.
Briegel parla per primo e fa il punto della situazione.
- Dunque le cose stanno cosí. Possiamo mettere in minoranza i rappresentanti delle corporazioni. Noi proporremo l'allargamento del voto anche ai cittadini che non fanno parte dei mestieri, purché abitino entro le mura o nelle borgate a ridosso delle mura. Qualcuno di quei grassoni potrà anche fare un po' di chiasso, ma sanno bene che il popolo è tutto dalla nostra parte e penso che pur di evitare la rivolta accetteranno il nuovo ordinamento.
Lascia la parola a Hülm: - Sí. Penso anch'io che sia possibile imporre il nostro programma, non vorranno certo rischiare i loro patrimoni. In fondo chiediamo soltanto che la cittadinanza possa decidere per se stessa, senza dover piú sottostare alle loro regole.
C'è un attimo di silenzio, un rapido sguardo tra Pfeiffer e il Magister. Sotto il tavolo, un grosso cane grigio si accoccola sui miei calzari: gli accarezzo un orecchio mentre Pfeiffer prende la parola.
- Amici, lasciate che vi chieda perché dovremmo scendere a patti con un nemico che abbiamo già battuto. Come avete detto, la popolazione è dalla nostra parte, la città può essere difesa senza bisogno della sbirraglia municipale, possiamo farlo noi, senza difficoltà. Che interesse abbiamo a mantenere in Consiglio dei grassi mercanti?
Aspetta che le parole vadano a segno, poi riprende.
- Thomas Müntzer ha una proposta che mi sento di appoggiare di cuore. Buttiamo fuori le corporazioni e i birrai e diamo vita a un nuovo Consiglio.
Il Magister interviene d'impeto: - Un Consiglio Perpetuo, eletto da tutta la cittadinanza senza alcuna distinzione. Che ogni rappresentante e magistrato pubblico possa essere destituito in ogni momento, se gli elettori riterranno di non essere adeguatamente rappresentati e amministrati da lui. Il popolo potrebbe poi organizzarsi in assemblee periodiche per giudicare complessivamente dell'operato del Consiglio.
Hülm, perplesso, si liscia la barba con nervosismo: - È un'idea ardita, ma potreste anche avere ragione. E come proponete che si organizzi la tassazione?
È Pfeiffer a rispondergli: - Che ognuno versi nelle casse municipali in base a quello che ha. Deve essere consentito a tutti di sfamare e vestire la propria famiglia. Per questo una parte delle tasse verrà destinata all'aiuto dei poveri e dei nullatenenti, una sorta di cassa di mutuo soccorso per l'acquisto del pane, del latte per i bambini, e tutto il necessario.
Silenzio. Poi un mugugno dal profondo del torace di Peter, il contadino scrolla la testa.
- Tutto questo va bene per la città, - le parole sdentate escono male, - ma cosa cambia per noi?
Briegel: - Non vorrete che Mühlhausen si faccia carico di tutti i casolari della regione, spero!
Il cane si è stancato di me e rotola piú in là, un calcio del padrone di casa lo fa allontanare svogliato. Si accuccia in un angolo e si mette a rosicchiare un osso polveroso.
Peter ricomincia: - I contadini lottano. I contadini devono sapere per cosa lo fanno. Noi vogliamo che questa città e cosí anche tutte le altre che decidono di appoggiarci sostengano le nostre richieste ai signori.
Non sta guardando Hülm né Briegel, ma Pfeiffer, dritto negli occhi.
- Noi vogliamo che i dodici articoli siano approvati da tutti.
Rido tra me, pensando che sono stato io a leggerglieli, proprio ieri, quando il testo è arrivato in città fresco di stampa.
Pfeiffer: - Mi sembra una proposta ragionevole - guarda Hülm e Briegel, zitti. - Amici, la città e la campagna non sono niente l'una senza l'altra. Il fronte deve rimanere unito, i nostri interessi sono comuni: una volta scacciati i grandi faccendieri saranno i principi a pagare!
Il suo incitamento rimane per un attimo sospeso sulla tavola, poi: - E sia - sbotta Hülm. - Che i dodici articoli siano approvati dalla città e inclusi nel nostro programma. Ma prima di tutto risolviamo le questioni qui, altrimenti finisce tutto in merda.
Una casa umile, ma solida e pulita, ben diversa dalle stamberghe che abbiamo visto a Grünbach.
Briegel parla per primo e fa il punto della situazione.
- Dunque le cose stanno cosí. Possiamo mettere in minoranza i rappresentanti delle corporazioni. Noi proporremo l'allargamento del voto anche ai cittadini che non fanno parte dei mestieri, purché abitino entro le mura o nelle borgate a ridosso delle mura. Qualcuno di quei grassoni potrà anche fare un po' di chiasso, ma sanno bene che il popolo è tutto dalla nostra parte e penso che pur di evitare la rivolta accetteranno il nuovo ordinamento.
Lascia la parola a Hülm: - Sí. Penso anch'io che sia possibile imporre il nostro programma, non vorranno certo rischiare i loro patrimoni. In fondo chiediamo soltanto che la cittadinanza possa decidere per se stessa, senza dover piú sottostare alle loro regole.
C'è un attimo di silenzio, un rapido sguardo tra Pfeiffer e il Magister. Sotto il tavolo, un grosso cane grigio si accoccola sui miei calzari: gli accarezzo un orecchio mentre Pfeiffer prende la parola.
- Amici, lasciate che vi chieda perché dovremmo scendere a patti con un nemico che abbiamo già battuto. Come avete detto, la popolazione è dalla nostra parte, la città può essere difesa senza bisogno della sbirraglia municipale, possiamo farlo noi, senza difficoltà. Che interesse abbiamo a mantenere in Consiglio dei grassi mercanti?
Aspetta che le parole vadano a segno, poi riprende.
- Thomas Müntzer ha una proposta che mi sento di appoggiare di cuore. Buttiamo fuori le corporazioni e i birrai e diamo vita a un nuovo Consiglio.
Il Magister interviene d'impeto: - Un Consiglio Perpetuo, eletto da tutta la cittadinanza senza alcuna distinzione. Che ogni rappresentante e magistrato pubblico possa essere destituito in ogni momento, se gli elettori riterranno di non essere adeguatamente rappresentati e amministrati da lui. Il popolo potrebbe poi organizzarsi in assemblee periodiche per giudicare complessivamente dell'operato del Consiglio.
Hülm, perplesso, si liscia la barba con nervosismo: - È un'idea ardita, ma potreste anche avere ragione. E come proponete che si organizzi la tassazione?
È Pfeiffer a rispondergli: - Che ognuno versi nelle casse municipali in base a quello che ha. Deve essere consentito a tutti di sfamare e vestire la propria famiglia. Per questo una parte delle tasse verrà destinata all'aiuto dei poveri e dei nullatenenti, una sorta di cassa di mutuo soccorso per l'acquisto del pane, del latte per i bambini, e tutto il necessario.
Silenzio. Poi un mugugno dal profondo del torace di Peter, il contadino scrolla la testa.
- Tutto questo va bene per la città, - le parole sdentate escono male, - ma cosa cambia per noi?
Briegel: - Non vorrete che Mühlhausen si faccia carico di tutti i casolari della regione, spero!
Il cane si è stancato di me e rotola piú in là, un calcio del padrone di casa lo fa allontanare svogliato. Si accuccia in un angolo e si mette a rosicchiare un osso polveroso.
Peter ricomincia: - I contadini lottano. I contadini devono sapere per cosa lo fanno. Noi vogliamo che questa città e cosí anche tutte le altre che decidono di appoggiarci sostengano le nostre richieste ai signori.
Non sta guardando Hülm né Briegel, ma Pfeiffer, dritto negli occhi.
- Noi vogliamo che i dodici articoli siano approvati da tutti.
Rido tra me, pensando che sono stato io a leggerglieli, proprio ieri, quando il testo è arrivato in città fresco di stampa.
Pfeiffer: - Mi sembra una proposta ragionevole - guarda Hülm e Briegel, zitti. - Amici, la città e la campagna non sono niente l'una senza l'altra. Il fronte deve rimanere unito, i nostri interessi sono comuni: una volta scacciati i grandi faccendieri saranno i principi a pagare!
Il suo incitamento rimane per un attimo sospeso sulla tavola, poi: - E sia - sbotta Hülm. - Che i dodici articoli siano approvati dalla città e inclusi nel nostro programma. Ma prima di tutto risolviamo le questioni qui, altrimenti finisce tutto in merda.
Mühlhausen, 15 febbraio 1525
Articolo decimo: Siamo gravati dal fatto che alcuni si siano appropriati di pascoli e campi, che in passato appartenevano alla comunità. Questi noi ce li riprendiamo, rimettendoli nelle mani della comunità, a meno che non siano stati acquistati legittimamente. [...]
Articolo undicesimo: Vogliamo abolire completamente l'usanza chiamata mortuario.
Articolo dodicesimo: È nostra decisione e convinzione definitiva che, se uno o piú articoli di quelli elencati non dovessero essere conformi alla parola di Dio, allora è nostra opinione che essi non debbano valere piú. [...] Vogliamo pregare Dio perché solo Lui e nessun altro ci può dare tutto questo. La pace di Cristo sia con tutti noi.
La notizia del suo arrivo vola di bocca in bocca, su per la strada principale. Due ali di folla si accalcano per poter salutare l'uomo che ha sfidato i principi, popolani e contadini accorsi dai borghi limitrofi. Quasi piango dall'emozione. Magister, devo raccontarti tutto, di come abbiamo lottato e di come siamo riusciti a essere qui, oggi, ad accoglierti, senza che ci sia uno sbirro in giro. Hanno una gran paura, se la fanno sotto, se provano a farsi vedere rischiano grosso. Siamo qui, Magister, e con te possiamo rivoltare questa città da capo a piedi e stanare il Consiglio. Ottilie è accanto a me, gli occhi lucidi, un vestito lindo, di un bianco che la fa spiccare nella massa dei rozzi borghigiani. Eccolo! Sbuca dalla curva su un cavallo nero, al suo fianco Pfeiffer, che gli è andato incontro sulla strada. Due braccia d'acciaio mi stringono da dietro e mi sollevano a mezz'aria.
- Elias!
- Amico, ora che c'è lui, quelli del Consiglio si cagheranno addosso, vedrai!
Una risata sguaiata, anche il rude minatore dell'Erz non riesce a contenere l'entusiasmo.
Magister Thomas si avvicina, mentre la folla si richiude dietro di lui e lo segue. Scorge il segno di saluto di sua moglie e si abbassa sul cavallo. Un abbraccio forte e una parola sussurrata che non posso cogliere. Poi si rivolge a me: - Salute, amico mio, sono contento di trovarti sano e salvo in un giorno come questo.
- Non sarei mancato neanche se avessi perso le gambe, Magister. Il Signore è stato con noi.
- E con loro... - un gesto a indicare la folla.
Pfeiffer sorride: - Andiamo, devi parlare in chiesa adesso, loro vogliono sentire le tue parole.
Un gesto: - Muoviti, non vorrai rimanere indietro!?
Tende la mano a Ottilie e l'aiuta a salire sul cavallo.
Corro verso il portale di Nostra Signora.
La navata è gremita, la gente si accalca fin sul piazzale antistante la chiesa. Dal pulpito, il Magister spazia con lo sguardo su quel mare di occhi, e ne trae la forza della parola. Il silenzio si diffonde rapidamente.
- La benedizione di Dio scenda su di voi, fratelli e sorelle, e vi conceda di ascoltare queste parole con cuore saldo e aperto. Non un respiro.
- Il digrignar di denti che oggi si alza, dai palazzi e dai conventi contro di voi, gli insulti e le bestemmie che i nobili e i monaci scagliano contro questa città, non scuotano le vostre menti. Io, Thomas Müntzer, saluto in voi, in questa folla qui riunita, la gloriosa, finalmente desta, Mühlhausen!
Un'ovazione si alza sulle teste, il saluto ricambiato del popolo.
- Ascoltate. Ora sentite tutt'intorno a voi il vociare confuso, stizzito, rabbioso, di coloro che da sempre ci opprimono: i principi, i grassi abati, i vescovi, i notabili delle città. Sentite il loro sbraitare, là fuori, sotto le mura!? È l'abbaiare dei cani a cui sono state strappate le zanne, fratelli e sorelle. Sí, i cani che con le orde dei loro soldati, dei loro esattori, ci hanno insegnato cos'è la paura, ci hanno insegnato a ubbidire sempre, a chinare la testa in loro presenza, a ossequiarli come schiavi davanti ai padroni. Coloro che ci hanno regalato l'incertezza, la fame, le tasse, le corvée... Costoro, oggi, fratelli miei, piangono di rabbia perché il popolo di Mühlhausen si è alzato in piedi. Quando uno solo di voi rifiutava di pagar loro i tributi, o di riverirli a dovere, potevano farlo fustigare dai loro mercenari, potevano imprigionarlo e ucciderlo. Ma voi oggi, qui, siete migliaia. E non potranno piú frustarvi, perché ora voi avete in mano la frusta, non potranno piú imprigionarvi, perché voi avete preso le prigioni e ne avete divelto le porte, non potranno piú uccidervi né rubare al Signore la devozione del Suo popolo, perché il Suo popolo è in piedi e volge lo sguardo verso il Regno. Nessuno potrà piú dirvi fai questo, fai quello, perché da oggi vivrete in fratellanza e comunione, secondo l'ordine gradito al Signore, e non ci sarà piú chi lavora la terra e chi ne gode i frutti, poiché tutti lavoreranno la terra e ne godranno i frutti in comunità, da fratelli. E il Signore sarà onorato, poiché non ci saranno piú padroni!
Un altro boato d'entusiasmo risuona nella grancassa dell'abside e sembra il grido di diecimila.
- Mühlhausen è pietra di scandalo per gli empi della terra, è la premonizione dell'ira di Dio che sta per travolgerli ed è per questo che essi tremano come cani. Ma questa città non è sola. Nella strada che ho percorso per giungere qui da Basilea, dovunque, in ogni borgo, dalla Foresta Nera alla Turingia, ho visto i contadini insorgere armati della loro fede. Dietro di voi si sta formando l'esercito degli umili che vogliono spezzare le catene della schiavitú. Essi hanno bisogno di un segnale. Voi dovete essere i primi. Fare ciò che tanti, altrove, per paura stentano ancora a fare. Ma siate certi che il vostro esempio sarà seguito da altre città, vicine o cosí distanti che ne ignoriamo perfino il nome. Voi dovete aprire la strada del Signore. Nessuno mai potrà sottrarvi l'orgoglio di questa impresa. Io saluto in voi la libera Mühlhausen, la città su cui Dio ha posato il Suo sguardo e la Sua benedizione, la città della rivincita degli umili sugli empi della terra! La speranza del mondo comincia da qui, fratelli, comincia da voi!
Le ultime parole vengono coperte dal frastuono, Magister Thomas deve urlarle a squarciagola. Salto anch'io in mezzo a quella gioia: non ci scacceranno mai piú da nessuna città.
Articolo undicesimo: Vogliamo abolire completamente l'usanza chiamata mortuario.
Articolo dodicesimo: È nostra decisione e convinzione definitiva che, se uno o piú articoli di quelli elencati non dovessero essere conformi alla parola di Dio, allora è nostra opinione che essi non debbano valere piú. [...] Vogliamo pregare Dio perché solo Lui e nessun altro ci può dare tutto questo. La pace di Cristo sia con tutti noi.
La notizia del suo arrivo vola di bocca in bocca, su per la strada principale. Due ali di folla si accalcano per poter salutare l'uomo che ha sfidato i principi, popolani e contadini accorsi dai borghi limitrofi. Quasi piango dall'emozione. Magister, devo raccontarti tutto, di come abbiamo lottato e di come siamo riusciti a essere qui, oggi, ad accoglierti, senza che ci sia uno sbirro in giro. Hanno una gran paura, se la fanno sotto, se provano a farsi vedere rischiano grosso. Siamo qui, Magister, e con te possiamo rivoltare questa città da capo a piedi e stanare il Consiglio. Ottilie è accanto a me, gli occhi lucidi, un vestito lindo, di un bianco che la fa spiccare nella massa dei rozzi borghigiani. Eccolo! Sbuca dalla curva su un cavallo nero, al suo fianco Pfeiffer, che gli è andato incontro sulla strada. Due braccia d'acciaio mi stringono da dietro e mi sollevano a mezz'aria.
- Elias!
- Amico, ora che c'è lui, quelli del Consiglio si cagheranno addosso, vedrai!
Una risata sguaiata, anche il rude minatore dell'Erz non riesce a contenere l'entusiasmo.
Magister Thomas si avvicina, mentre la folla si richiude dietro di lui e lo segue. Scorge il segno di saluto di sua moglie e si abbassa sul cavallo. Un abbraccio forte e una parola sussurrata che non posso cogliere. Poi si rivolge a me: - Salute, amico mio, sono contento di trovarti sano e salvo in un giorno come questo.
- Non sarei mancato neanche se avessi perso le gambe, Magister. Il Signore è stato con noi.
- E con loro... - un gesto a indicare la folla.
Pfeiffer sorride: - Andiamo, devi parlare in chiesa adesso, loro vogliono sentire le tue parole.
Un gesto: - Muoviti, non vorrai rimanere indietro!?
Tende la mano a Ottilie e l'aiuta a salire sul cavallo.
Corro verso il portale di Nostra Signora.
La navata è gremita, la gente si accalca fin sul piazzale antistante la chiesa. Dal pulpito, il Magister spazia con lo sguardo su quel mare di occhi, e ne trae la forza della parola. Il silenzio si diffonde rapidamente.
- La benedizione di Dio scenda su di voi, fratelli e sorelle, e vi conceda di ascoltare queste parole con cuore saldo e aperto. Non un respiro.
- Il digrignar di denti che oggi si alza, dai palazzi e dai conventi contro di voi, gli insulti e le bestemmie che i nobili e i monaci scagliano contro questa città, non scuotano le vostre menti. Io, Thomas Müntzer, saluto in voi, in questa folla qui riunita, la gloriosa, finalmente desta, Mühlhausen!
Un'ovazione si alza sulle teste, il saluto ricambiato del popolo.
- Ascoltate. Ora sentite tutt'intorno a voi il vociare confuso, stizzito, rabbioso, di coloro che da sempre ci opprimono: i principi, i grassi abati, i vescovi, i notabili delle città. Sentite il loro sbraitare, là fuori, sotto le mura!? È l'abbaiare dei cani a cui sono state strappate le zanne, fratelli e sorelle. Sí, i cani che con le orde dei loro soldati, dei loro esattori, ci hanno insegnato cos'è la paura, ci hanno insegnato a ubbidire sempre, a chinare la testa in loro presenza, a ossequiarli come schiavi davanti ai padroni. Coloro che ci hanno regalato l'incertezza, la fame, le tasse, le corvée... Costoro, oggi, fratelli miei, piangono di rabbia perché il popolo di Mühlhausen si è alzato in piedi. Quando uno solo di voi rifiutava di pagar loro i tributi, o di riverirli a dovere, potevano farlo fustigare dai loro mercenari, potevano imprigionarlo e ucciderlo. Ma voi oggi, qui, siete migliaia. E non potranno piú frustarvi, perché ora voi avete in mano la frusta, non potranno piú imprigionarvi, perché voi avete preso le prigioni e ne avete divelto le porte, non potranno piú uccidervi né rubare al Signore la devozione del Suo popolo, perché il Suo popolo è in piedi e volge lo sguardo verso il Regno. Nessuno potrà piú dirvi fai questo, fai quello, perché da oggi vivrete in fratellanza e comunione, secondo l'ordine gradito al Signore, e non ci sarà piú chi lavora la terra e chi ne gode i frutti, poiché tutti lavoreranno la terra e ne godranno i frutti in comunità, da fratelli. E il Signore sarà onorato, poiché non ci saranno piú padroni!
Un altro boato d'entusiasmo risuona nella grancassa dell'abside e sembra il grido di diecimila.
- Mühlhausen è pietra di scandalo per gli empi della terra, è la premonizione dell'ira di Dio che sta per travolgerli ed è per questo che essi tremano come cani. Ma questa città non è sola. Nella strada che ho percorso per giungere qui da Basilea, dovunque, in ogni borgo, dalla Foresta Nera alla Turingia, ho visto i contadini insorgere armati della loro fede. Dietro di voi si sta formando l'esercito degli umili che vogliono spezzare le catene della schiavitú. Essi hanno bisogno di un segnale. Voi dovete essere i primi. Fare ciò che tanti, altrove, per paura stentano ancora a fare. Ma siate certi che il vostro esempio sarà seguito da altre città, vicine o cosí distanti che ne ignoriamo perfino il nome. Voi dovete aprire la strada del Signore. Nessuno mai potrà sottrarvi l'orgoglio di questa impresa. Io saluto in voi la libera Mühlhausen, la città su cui Dio ha posato il Suo sguardo e la Sua benedizione, la città della rivincita degli umili sugli empi della terra! La speranza del mondo comincia da qui, fratelli, comincia da voi!
Le ultime parole vengono coperte dal frastuono, Magister Thomas deve urlarle a squarciagola. Salto anch'io in mezzo a quella gioia: non ci scacceranno mai piú da nessuna città.
Mühlhausen, 1 dicembre 1524
Articolo settimo: D'ora in poi un signore non deve piú aumentare gli oneri a suo piacere. [...] Quando però il signore ha bisogno di un servigio, il contadino lo fornirà obbediente e volentieri; lo farà però nei giorni e nelle ore in cui non gliene può venire del danno, e in cambio di un adeguato compenso in denaro.
Articolo ottavo: [...] Noi chiediamo che il signore faccia esaminare questi beni [dei quali usufruiamo] da gente fidata, per decidere qual è il giusto canone, affinché il contadino non faccia un lavoro senza mercede, poiché chi fa un lavoro ha diritto a essere ricompensato.
Articolo nono: [...] È nostra convinzione che bisogna fare riferimento alle pene del vecchio ordinamento giuridico scritto, il quale prevede un giudizio obbiettivo e non uno dettato dall'arbitrio.
L'odore pungente e disgustoso delle sostanze usate per conciare le pelli mette fretta alla guardia che presidia la porta. Il pellicciaio viene fatto passare dopo un controllo molto sbrigativo, e cosí il suo folto seguito, nel quale nessuno ha modo di individuare una vecchia conoscenza della città imperiale, un ex studente di Wittenberg, un colossale minatore e una giovane donna con occhi di giada.
Le strade di Mühlhausen sono gonfie di carri, trascinati nel pantano di gente dalla fatica di buoi, cavalli, somari e, non raramente, umani. Enormi insaccati, stritolati da un groviglio di funi e cordelle, spesso cosí alti da oscurare le finestre delle case. Carichi di arnesi per ogni tipo di mestiere, mobili per ogni genere di abitazione, abiti per ogni sorta di individuo. Spuntano da ogni angolo, quando meno te l'aspetti, preceduti d'un soffio dalle grida del conducente che chiede strada, a una velocità sempre troppo elevata per non dar luogo a spinte, urti e calpestamenti.
Nelle strade piú larghe, ai due lati, si sistemano i venditori meno attrezzati, con la merce adagiata per terra; mentre in piazza stanno quelli che hanno almeno due pali e un telo da riparo o carri lussuosi che con giochi di cerniere e incastri si trasformano in vere e proprie botteghe. C'è chi illustra urlando le qualità dei suoi prodotti e chi preferisce chiamarti con un bisbiglio, come se avesse intuito che proprio tu saprai apprezzare la sua incredibile offerta; altri ancora mandano in giro i garzoni ad abbordare i clienti e offrono birra a chi si trattiene per contrattare. Molte famiglie girano aggrappate a una corda, nel timore che il marasma trascini via qualcuno.
Elias scruta la folla. Nella zona dei mercanti di stoviglie ha già riconosciuto quelli di Allstedt. Un'occhiata dalla parte dei vetrai conferma l'arrivo dei contadini dell'Hainich. Piú in là, quelli che salutano alzando la Bibbia dovrebbero essere di Salza.
Ottilie alza gli occhi, in attesa del segnale. Ha già individuato il merlo, uno del Consiglio cittadino, indicatole da Pfeiffer. Bisogna aspettare i minatori di Mansfeld, che ancora non si sono fatti vedere. Senza di loro, non si fa niente.
Un ragazzino si fa largo tra la folla: - Signore, vi serve un vestito nuovo! Venite a visitare la bottega di mio padre, vi ci porto io, signore... - Si aggrappa alla mia casacca.
Mi giro infastidito, sussurra: - I fratelli minatori sono qui, dietro a un carro di mattoni.
Strattono Elias: - Si comincia, ci siamo tutti.
Lascio cadere una moneta sul palmo teso del piccolo messaggero, una carezza sulla fronte, e mi preparo a godermi la scena.
Ottilie si avvicina al suo uomo, nel punto di maggior folla, di fronte a un liutaio. Gli si piazza dietro e preme leggermente il seno sulla schiena di lui, bisbiglia qualcosa accostando le labbra al suo orecchio e lasciando che i capelli biondi gli striscino sulla spalla. Poi, con una mano, comincia a lavorarlo in mezzo alle gambe. Vedo la nuca del povero coglione diventare color vermiglio. Si liscia la barba nervoso: non resiste. Restando voltato si piega leggermente e comincia a infilarle il braccio sotto la gonna. Quando ha ormai raggiunto le zone alte, Ottilie leva la mano tentatrice, si tira indietro e, bloccandogli il braccio in quella scandalosa postura, comincia a gridare, mentre con l'altra mano lo schiaffeggia a piú non posso.
- Bastardo, verme, verme schifoso, Dio ti maledica!
È il segnale. Intorno a Ottilie si accende la mischia, mentre dai quattro angoli della piazza cominciano ad avanzare compatti i nostri fratelli. Rovesciano la merce, malmenano i mercanti, calpestano i birrai.
- Infilare le mani sotto le sottane, è questo che sanno fare i signori di Mühlhausen?!
Il primo a raggiungerci è un contadino, che si è aperto un varco come un ariete, afferrando i borghigiani che gli capitavano a tiro per il bavero e spaccandogli la faccia a craniate. Subito dopo arriva uno dei minatori, con un fascio di archibugi, bastoni, e coltelli rubati a un armaiolo.
- Queste per voi, - dice. - E ce ne sono ancora parecchie!
- Maledetto birraio, - continua a urlare Ottilie. - Lo riconosco: è uno del Consiglio!
Urlo a squarciagola: - Ci hanno venduti ai mercanti di birra!
Le voci si moltiplicano e aumentano di volume: - Consiglieri bastardi, venduti, fuori da Mühlhausen!
Molti di quelli che urlano non hanno nemmeno assistito alla messa in scena e pensano si tratti di un tumulto di piazza per soppiantare il Consiglio. E hanno ragione.
Tutto avviene con la massima rapidità. La marea, come attratta da un misterioso magnete, comincia a inondare la Kilansgasse, che dalla piazza del mercato conduce fino al Municipio. Rivoli si disperdono qua e là: anime pie bisognose di far visita alle chiese.
A un tratto mi guardo intorno e scopro di essere rimasto solo; Elias, Heinrich e Ottilie sono spariti. Un contadino di fianco a me atterra il suo avversario, vestito fin troppo bene, con una gomitata alla mascella e un pugno sotto le costole.
- Sí, fratello, pestiamo gli empi come cani! - gli urlo esaltato.
Le guardie stanno ben attente a non farsi vedere. La città è nostra.
***
Suona la prima campana del coprifuoco. Ritrovo gli altri al Pozzo dell'Arcangelo, dove ci siamo dati appuntamento nel caso ci si fosse persi di vista. Ci sono altri due che non mi pare di conoscere.
Pfeiffer fa gli onori di casa: - Oh, eccolo qua, il nostro studente ribelle! Questi sono Briegel e Hülm, due degli otto rappresentanti del popolo di Mühlhausen.
- E queste, - mi fa uno dei due, agitando quello che sembra un grosso sonaglio - sono le chiavi della nostra città!
- ...cioè, - completa l'altro, - il diritto di decidere chi deve star fuori e chi può entrare.
- Ce l'abbiamo fatta. Thomas potrà tornare, - annuncia Ottilie con un sorriso.
- Quanto a voi, - prosegue Briegel o Hülm, - la libera città imperiale di Mühlhausen vi dà il suo benvenuto.
Articolo ottavo: [...] Noi chiediamo che il signore faccia esaminare questi beni [dei quali usufruiamo] da gente fidata, per decidere qual è il giusto canone, affinché il contadino non faccia un lavoro senza mercede, poiché chi fa un lavoro ha diritto a essere ricompensato.
Articolo nono: [...] È nostra convinzione che bisogna fare riferimento alle pene del vecchio ordinamento giuridico scritto, il quale prevede un giudizio obbiettivo e non uno dettato dall'arbitrio.
L'odore pungente e disgustoso delle sostanze usate per conciare le pelli mette fretta alla guardia che presidia la porta. Il pellicciaio viene fatto passare dopo un controllo molto sbrigativo, e cosí il suo folto seguito, nel quale nessuno ha modo di individuare una vecchia conoscenza della città imperiale, un ex studente di Wittenberg, un colossale minatore e una giovane donna con occhi di giada.
Le strade di Mühlhausen sono gonfie di carri, trascinati nel pantano di gente dalla fatica di buoi, cavalli, somari e, non raramente, umani. Enormi insaccati, stritolati da un groviglio di funi e cordelle, spesso cosí alti da oscurare le finestre delle case. Carichi di arnesi per ogni tipo di mestiere, mobili per ogni genere di abitazione, abiti per ogni sorta di individuo. Spuntano da ogni angolo, quando meno te l'aspetti, preceduti d'un soffio dalle grida del conducente che chiede strada, a una velocità sempre troppo elevata per non dar luogo a spinte, urti e calpestamenti.
Nelle strade piú larghe, ai due lati, si sistemano i venditori meno attrezzati, con la merce adagiata per terra; mentre in piazza stanno quelli che hanno almeno due pali e un telo da riparo o carri lussuosi che con giochi di cerniere e incastri si trasformano in vere e proprie botteghe. C'è chi illustra urlando le qualità dei suoi prodotti e chi preferisce chiamarti con un bisbiglio, come se avesse intuito che proprio tu saprai apprezzare la sua incredibile offerta; altri ancora mandano in giro i garzoni ad abbordare i clienti e offrono birra a chi si trattiene per contrattare. Molte famiglie girano aggrappate a una corda, nel timore che il marasma trascini via qualcuno.
Elias scruta la folla. Nella zona dei mercanti di stoviglie ha già riconosciuto quelli di Allstedt. Un'occhiata dalla parte dei vetrai conferma l'arrivo dei contadini dell'Hainich. Piú in là, quelli che salutano alzando la Bibbia dovrebbero essere di Salza.
Ottilie alza gli occhi, in attesa del segnale. Ha già individuato il merlo, uno del Consiglio cittadino, indicatole da Pfeiffer. Bisogna aspettare i minatori di Mansfeld, che ancora non si sono fatti vedere. Senza di loro, non si fa niente.
Un ragazzino si fa largo tra la folla: - Signore, vi serve un vestito nuovo! Venite a visitare la bottega di mio padre, vi ci porto io, signore... - Si aggrappa alla mia casacca.
Mi giro infastidito, sussurra: - I fratelli minatori sono qui, dietro a un carro di mattoni.
Strattono Elias: - Si comincia, ci siamo tutti.
Lascio cadere una moneta sul palmo teso del piccolo messaggero, una carezza sulla fronte, e mi preparo a godermi la scena.
Ottilie si avvicina al suo uomo, nel punto di maggior folla, di fronte a un liutaio. Gli si piazza dietro e preme leggermente il seno sulla schiena di lui, bisbiglia qualcosa accostando le labbra al suo orecchio e lasciando che i capelli biondi gli striscino sulla spalla. Poi, con una mano, comincia a lavorarlo in mezzo alle gambe. Vedo la nuca del povero coglione diventare color vermiglio. Si liscia la barba nervoso: non resiste. Restando voltato si piega leggermente e comincia a infilarle il braccio sotto la gonna. Quando ha ormai raggiunto le zone alte, Ottilie leva la mano tentatrice, si tira indietro e, bloccandogli il braccio in quella scandalosa postura, comincia a gridare, mentre con l'altra mano lo schiaffeggia a piú non posso.
- Bastardo, verme, verme schifoso, Dio ti maledica!
È il segnale. Intorno a Ottilie si accende la mischia, mentre dai quattro angoli della piazza cominciano ad avanzare compatti i nostri fratelli. Rovesciano la merce, malmenano i mercanti, calpestano i birrai.
- Infilare le mani sotto le sottane, è questo che sanno fare i signori di Mühlhausen?!
Il primo a raggiungerci è un contadino, che si è aperto un varco come un ariete, afferrando i borghigiani che gli capitavano a tiro per il bavero e spaccandogli la faccia a craniate. Subito dopo arriva uno dei minatori, con un fascio di archibugi, bastoni, e coltelli rubati a un armaiolo.
- Queste per voi, - dice. - E ce ne sono ancora parecchie!
- Maledetto birraio, - continua a urlare Ottilie. - Lo riconosco: è uno del Consiglio!
Urlo a squarciagola: - Ci hanno venduti ai mercanti di birra!
Le voci si moltiplicano e aumentano di volume: - Consiglieri bastardi, venduti, fuori da Mühlhausen!
Molti di quelli che urlano non hanno nemmeno assistito alla messa in scena e pensano si tratti di un tumulto di piazza per soppiantare il Consiglio. E hanno ragione.
Tutto avviene con la massima rapidità. La marea, come attratta da un misterioso magnete, comincia a inondare la Kilansgasse, che dalla piazza del mercato conduce fino al Municipio. Rivoli si disperdono qua e là: anime pie bisognose di far visita alle chiese.
A un tratto mi guardo intorno e scopro di essere rimasto solo; Elias, Heinrich e Ottilie sono spariti. Un contadino di fianco a me atterra il suo avversario, vestito fin troppo bene, con una gomitata alla mascella e un pugno sotto le costole.
- Sí, fratello, pestiamo gli empi come cani! - gli urlo esaltato.
Le guardie stanno ben attente a non farsi vedere. La città è nostra.
***
Suona la prima campana del coprifuoco. Ritrovo gli altri al Pozzo dell'Arcangelo, dove ci siamo dati appuntamento nel caso ci si fosse persi di vista. Ci sono altri due che non mi pare di conoscere.
Pfeiffer fa gli onori di casa: - Oh, eccolo qua, il nostro studente ribelle! Questi sono Briegel e Hülm, due degli otto rappresentanti del popolo di Mühlhausen.
- E queste, - mi fa uno dei due, agitando quello che sembra un grosso sonaglio - sono le chiavi della nostra città!
- ...cioè, - completa l'altro, - il diritto di decidere chi deve star fuori e chi può entrare.
- Ce l'abbiamo fatta. Thomas potrà tornare, - annuncia Ottilie con un sorriso.
- Quanto a voi, - prosegue Briegel o Hülm, - la libera città imperiale di Mühlhausen vi dà il suo benvenuto.
Eltersdorf, capodanno 1527
Il vento picchia contro le assi della porta come un cane impazzito. Le candele sembrano vacillare anche qui dentro, come se potessero essere raggiunte dal soffio gelido dell'inverno. Cosí i ricordi si mescolano e tremano, percorsi ancora dai brividi di quella rabbia: furono i giorni della tempesta. Giacigli al cui confronto questa branda è un letto principesco; bambini magri e sporchi, volti dignitosi incapaci di un lamento che si riempivano della voglia di riscatto; sempre in strada, attraverso cascine, borghi, villaggi. Eravamo seminatori solerti, che accendevano la scintilla della guerra contro gli usurpatori della gloria di Dio, i vessatori del Suo popolo. Vidi falci trasformarsi in spade, zappe divenire lance e uomini semplici lasciare l'aratro per mutarsi nei piú impavidi guerrieri. Vidi un piccolo falegname incidere un grande crocifisso e guidare le schiere di Cristo come il capitano del piú invincibile esercito. Vidi tutto questo e vidi quegli uomini e quelle donne raccogliere la propria fede e farne bandiera di rivincita. L'amore stringeva i cuori in quell'unico fuoco che avvampava dentro di noi: eravamo liberi ed eguali nel nome di Dio e avremmo spaccato le montagne, fermato i venti, ucciso tutti i nostri tiranni per realizzare il Suo regno di pace e fratellanza. Potevamo farlo, finalmente potevamo farlo: la vita ci apparteneva.
Themar, Unterhof, Regendorf, Swartzfeld, Ohrdruf, mai due giorni nello stesso posto. A metà novembre decidemmo di fermarci in un minuscolo paesino di nome Grünbach, poco piú di una giornata di cammino da Mühlhausen. Il villaggio era abitato esclusivamente da contadini al servizio del cavaliere di Entzenberger, presso il quale anni prima il poliedrico Pfeiffer aveva svolto funzioni di cuoco e di confessore. Ci assicurò che il cavaliere era un nemico giurato della città imperiale e che non avrebbe certo impedito la nostra azione di evangelizzazione nei suoi possedimenti.
In cambio di un aiuto nei lavori piú pesanti, trovammo sistemazione in una vecchia stalla in disuso, accanto alla casupola di una vedova di nome Frida. Come letto paglia e coperte di lana grezza. La donna si dimostrò, fin dal mattino del nostro arrivo, molto lieta di ospitarci, sostenendo che per tutta la settimana precedente aveva avuto presagi di ogni tipo sull'arrivo nella sua casa di persone di grande riguardo. Per la prima volta provai la strana sensazione di ascoltare una persona parlare la mia lingua senza capire alcunché di quello che stesse dicendo. Escluso Pfeiffer, che era nato da queste parti, l'unica ad afferrare qualcosa di quello che disse l'anziana contadina fu Ottilie, che nel suo girovagare insieme al marito aveva cominciato a fare l'orecchio ai mille modi in cui può essere storpiato lo stesso vernacolo.
La vedova Frenner aveva una figlia, di circa sedici anni, che si occupava delle mucche del padrone e le mungeva tutte le mattine. La ragazza era la piú piccola di sei fratelli, finiti tutti al seguito di un valoroso capitano al soldo del conte di Mansfeld.
Fin dal giorno successivo al nostro arrivo a Grünbach, di buon mattino, cominciammo a visitare campi, orti e stalle e a prendere contatto con la gente, distribuendo i fogli volanti e annunciando l'imminente caduta dei potenti. La concorrenza fu molto agguerrita: nella stessa giornata incontrammo un predicatore luterano, due vagabondi che cercavano di ottenere ospitalità e cibo spiegando la Bibbia e predicendo il futuro; e da ultimo un reclutatore di truppe mercenarie che magnificava la vita nel suo esercito, la paga generosa, i facili guadagni, la gloria.
La gran parte dei contadini che incontrammo ci ascoltò con una certa attenzione, fece domande molto puntigliose riguardo alla fine del mondo, si inorgoglí nel sentirsi chiamare popolo eletto e mostrò un certo spavento di fronte all'idea che per cambiare la loro situazione non sarebbe sceso Dio in persona a rovesciare i potenti, ma avrebbero dovuto farlo loro con falci e forconi. Alcuni di loro, grazie ai fogli che gli mettemmo in mano, fecero conoscenza con la stampa, mentre altri dimostrarono di essere in grado di leggere qualcosa e ci spiegarono di aver imparato grazie a un venditore ambulante di almanacchi e profezie. Grande successo riscuoteva la stampa dell'immagine di Martin Lutero che randella vescovi e papisti. Decidemmo cosí che nei prossimi fogli volanti avremmo stampato piú che altro immagini: sovrani costretti a zappare la terra, contadini in rivolta sotto lo sguardo protettore dell'Onnipotente e via discorrendo.
La sera, a Grünbach, fummo invitati nella bottega di un certo Lambert, che faceva il fabbro e accomodava gli attrezzi. La fornace spenta da poco diffondeva nella stanza il suo calore. Ci venne offerto pane condito con cumino e coriandolo ed Elias, senza dare troppo nell'occhio, convinse anche Ottilie, che odiava quei sapori, a mangiarne almeno un poco. Piú tardi, mentre ci avvolgevamo nelle coperte ruvide, ci spiegò che soltanto streghe e stregoni rifiutano di mangiare il cumino, perché si dice che annulli ogni loro potere.
Il fabbro Lambert lanciò una sfida di canzoni al contrario e cominciò a proporre la sua: Sono uscito stamattina che faceva già buio, con la falce per andare a zappare, per la strada son salito su una quercia, e ho mangiato tutte le ciliegie, è arrivato il padrone di quel melo, mi ha detto di pagargli la sua uva.
Altri rilanciarono con filastrocche che raccontavano di lupi che belano, di gusci che trascinano lumache, di pulcini che si trasformano in uova. Ma il premio finale se lo aggiudicò Elias, con la sua voce da orco: Conosco una canzone al contrario, presto al dritto la dovrò cantare, ho spiegato il Vangelo al parroco, che s'ostinava a parlare in latino, gli ho detto il grano lo devi pagare, quel che avanza è di chi non l'ha. Son salito da solo a palazzo, col mio amico siamo andati dal signore, in cinque gli abbiam detto che la terra è nostra, in dieci gliel'abbiamo spiegato, in venti lo abbiamo fatto scappare, in cinquanta ci siam presi il castello, in cento lo abbiamo bruciato, in mille abbiam passato il fiume, in diecimila andiamo alla battaglia finale!
Grazie a quella canzone, che presto diventò un vero e proprio inno, ci conquistammo da subito la simpatia dei contadini di Grünbach. Elias preparava la battaglia finale: veri e propri addestramenti, tutti i giorni al tramonto, insegnando a usare la spada e il coltello, a disarmare l'avversario, ad atterrarlo e a conciarlo per le feste a mani nude. Prima di allora non avevo mai maneggiato nessun tipo di arma, e devo ammettere che i contadini si dimostrarono allievi ben piú abili di me.
E poiché la gente delle campagne non ama le cose astratte, dopo qualche giorno mettemmo alla prova il nostro piccolo esercito. Tuttavia non ci fu molto da combattere; il parroco si diede alla fuga non appena scorse i forconi alti sopra le teste, e non fu difficile requisire il grano dell'ultima decima per ridistribuirlo tra la gente dei villaggi circostanti.
Qualche giorno dopo organizzammo una grande festa a Sneedorf, nel corso della quale venne eletto il nuovo parroco della comunità e per la prima volta dopo molti anni venne concesso dall'autorità religiosa di ballare la danza del Gallo, che era stata fino ad allora proibita, per via di certe piroette molto lascive, che lasciavano scoprire le gambe delle donne. Prima di ubriacarmi come poche volte mi era successo, finché le gambe mi sorressero, accompagnai nelle danze Dana, la giovane figlia della vedova Frenner.
Nei giorni successivi, la notizia di un parroco eletto dai fedeli raggiunse anche le comunità vicine, che inviarono messaggeri a Grünbach per chiederci di intervenire a loro sostegno, ora contro il parroco, ora contro il signore. Senza esitazioni i nostri confratelli lasciavano i loro lavori e accorrevano dove c'era bisogno, fino a quando tre giorni ininterrotti di neve bloccarono ogni possibile spostamento.
Oltre al vento e al gelo un'altra tempesta raggiunse il nostro villaggio. Poco prima dell'alba venimmo svegliati dalle urla dei contadini che erano andati sui campi per controllare gli effetti della gelata.
Quando uscimmo sull'aia, Frida correva impazzita da ogni parte e Dana piangeva inginocchiata nella neve. Pfeiffer bloccò la vedova per capire cosa stesse succedendo, ma nello stato in cui era, la sua parlata si faceva ancor piú incomprensibile. Allora mi avvicinai a Dana e piegandomi su di lei chiesi lentamente: - Cosa sta succedendo, sorella? Dicci qualcosa...
Singhiozzando: - I lanzichenecchi, sono di nuovo qui... Hanno ucciso mio padre, portato via i miei fratelli, a me e a mia madre... - Non riuscí a continuare.
Spuntati dal nulla, chiamati da chissà quale guerra, affamati dal freddo e stanchi, un manipolo di mercenari puntava dritto sul paesello, con la speranza di portar via un po' di cibo, e la minaccia di stupri, incendi e uccisioni se non ne avessero trovato.
Elias fu il primo a cercare una soluzione.
- Se non sbaglio qui in paese siamo trenta uomini e venti donne. Loro sono sicuramente molti di piú. Batterci non possiamo. Propongo di lasciargli le mucche del cavaliere: quattro vacche dovrebbero sfamarli -. Detto questo si allontanò per avvertire gli altri. Io gli andai dietro, mentre Pfeiffer restò con le donne.
I contadini erano abituati a difendere i beni del loro signore a costo della vita, perché in alternativa avrebbero passato anni interi a cedere al padrone quasi tutta la loro parte del raccolto per ripagare il danno da lui subito. Per questo non fu facile convincerli che questa volta, quando il padrone fosse venuto a reclamare i suoi privilegi, gli avremmo risposto come meritava, mentre ora, isolati come eravamo, bisognava pensare soltanto a salvare la pelle.
Accogliemmo i mercenari sulla strada del villaggio, con la neve alle ginocchia e ogni tipo di attrezzo stretto in pugno. Erano almeno un centinaio, ma ci accorgemmo subito che la marcia e il freddo li avevano stremati. Molti di loro non si reggevano sulle gambe a causa dei piedi congelati, altri non erano lontani dall'assideramento. Con loro anche parecchie donne, probabilmente prostitute, in condizioni miserevoli.
- Abbiamo bisogno di cibo, di un fuoco e di qualche erba contro la febbre, - disse il capitano giunto a distanza di voce.
- Li avrete, - fu la risposta del fabbro Lambert.
- Però, - aggiunse Elias, che aveva intuito la situazione, - lascerete liberi tutti gli uomini e le donne che non voghono piú seguirvi.
- Nessuno se ne vuole andare dal mio esercito! - rispose il capitano cercando di essere convincente, ma non aveva finito di dire quelle parole che almeno una trentina, tra uomini e donne, inciampando nella neve, vennero a nascondersi dietro di noi.
Il capitano restò immobile, la mascella serrata. Poi disse di nuovo: - Avanti, allora, mostrateci il cibo, la legna.
Consegnammo ai cuochi quattro mucche piuttosto in carne, che quelli cominciarono a sgozzare e a macellare immediatamente, e il sangue si mescolava alla neve sciolta.
Quella notte Dana, intirizzita dal freddo e dalla paura, venne a trovarmi nel mio letto di paglia, pregandomi di farla restare lí e di proteggerla, perché temeva che i soldati potessero rifarle quello che lei e sua madre avevano dovuto subire due anni prima.
Scivolò sotto di me, prima di emettere un fiato, ordinare un pensiero. Era magra, gomiti spigolosi, lunghe gambe diritte come i seni, piccoli, appuntiti contro di me, che già faticavo a trattenere il respiro piú intenso, proprio sulla sua faccia tutta grandi occhi neri. Si fece piú piccola, viso premuto contro il mio petto, piano una gamba avvolse il bacino.
Nessuno ti farà del male.
Sciolsi dentro di lei, senza irruenza, giorni, mesi di tensioni e desiderio, ansimando a ogni tocco e lieve movimento. I sottili gemiti di Dana non chiedevano parole né promesse: mi incurvai, la bocca cercava il suo seno, prima sfiorai, poi premetti le labbra su un capezzolo. Tenni il suo viso e i capelli, piú corti di quelli di un ragazzo di bottega, tra le mani, dentro di lei, a lungo, per un tempo che non ricordo, fin quando non si addormentò avvinghiata a me.
Se ne andarono tre giorni dopo, abbandonando i resti delle carcasse accanto ai fori nerastri dei fuochi nella neve e quella trentina di disperati senza paga da mesi. I nuovi arrivi si dimostrarono utili: quasi tutta gente di campagna, ma sapeva usare le armi e schierarsi in battaglia.
Il primo venerdí di ogni mese si teneva a Mühlhausen un grande mercato artigianale, al quale accorreva gente dai quattro angoli della Turingia, da Halle e da Fulda, da Allstedt e da Kassel. Secondo Pfeiffer quello era il giorno in cui avremmo dovuto tentare il rientro in città, nascosti dalla gran massa di persone che ne attraversava le porte. Dicembre si avvicinava. Cominciammo a prendere contatti dentro Mühlhausen, tra i minatori del conte di Mansfeld, tra gli abitanti di Salza e Sangerhausen. Il primo venerdí di dicembre la città dei birrai si sarebbe riempita di una folla interessata a ben altro che a qualche cesto di paglia.
Themar, Unterhof, Regendorf, Swartzfeld, Ohrdruf, mai due giorni nello stesso posto. A metà novembre decidemmo di fermarci in un minuscolo paesino di nome Grünbach, poco piú di una giornata di cammino da Mühlhausen. Il villaggio era abitato esclusivamente da contadini al servizio del cavaliere di Entzenberger, presso il quale anni prima il poliedrico Pfeiffer aveva svolto funzioni di cuoco e di confessore. Ci assicurò che il cavaliere era un nemico giurato della città imperiale e che non avrebbe certo impedito la nostra azione di evangelizzazione nei suoi possedimenti.
In cambio di un aiuto nei lavori piú pesanti, trovammo sistemazione in una vecchia stalla in disuso, accanto alla casupola di una vedova di nome Frida. Come letto paglia e coperte di lana grezza. La donna si dimostrò, fin dal mattino del nostro arrivo, molto lieta di ospitarci, sostenendo che per tutta la settimana precedente aveva avuto presagi di ogni tipo sull'arrivo nella sua casa di persone di grande riguardo. Per la prima volta provai la strana sensazione di ascoltare una persona parlare la mia lingua senza capire alcunché di quello che stesse dicendo. Escluso Pfeiffer, che era nato da queste parti, l'unica ad afferrare qualcosa di quello che disse l'anziana contadina fu Ottilie, che nel suo girovagare insieme al marito aveva cominciato a fare l'orecchio ai mille modi in cui può essere storpiato lo stesso vernacolo.
La vedova Frenner aveva una figlia, di circa sedici anni, che si occupava delle mucche del padrone e le mungeva tutte le mattine. La ragazza era la piú piccola di sei fratelli, finiti tutti al seguito di un valoroso capitano al soldo del conte di Mansfeld.
Fin dal giorno successivo al nostro arrivo a Grünbach, di buon mattino, cominciammo a visitare campi, orti e stalle e a prendere contatto con la gente, distribuendo i fogli volanti e annunciando l'imminente caduta dei potenti. La concorrenza fu molto agguerrita: nella stessa giornata incontrammo un predicatore luterano, due vagabondi che cercavano di ottenere ospitalità e cibo spiegando la Bibbia e predicendo il futuro; e da ultimo un reclutatore di truppe mercenarie che magnificava la vita nel suo esercito, la paga generosa, i facili guadagni, la gloria.
La gran parte dei contadini che incontrammo ci ascoltò con una certa attenzione, fece domande molto puntigliose riguardo alla fine del mondo, si inorgoglí nel sentirsi chiamare popolo eletto e mostrò un certo spavento di fronte all'idea che per cambiare la loro situazione non sarebbe sceso Dio in persona a rovesciare i potenti, ma avrebbero dovuto farlo loro con falci e forconi. Alcuni di loro, grazie ai fogli che gli mettemmo in mano, fecero conoscenza con la stampa, mentre altri dimostrarono di essere in grado di leggere qualcosa e ci spiegarono di aver imparato grazie a un venditore ambulante di almanacchi e profezie. Grande successo riscuoteva la stampa dell'immagine di Martin Lutero che randella vescovi e papisti. Decidemmo cosí che nei prossimi fogli volanti avremmo stampato piú che altro immagini: sovrani costretti a zappare la terra, contadini in rivolta sotto lo sguardo protettore dell'Onnipotente e via discorrendo.
La sera, a Grünbach, fummo invitati nella bottega di un certo Lambert, che faceva il fabbro e accomodava gli attrezzi. La fornace spenta da poco diffondeva nella stanza il suo calore. Ci venne offerto pane condito con cumino e coriandolo ed Elias, senza dare troppo nell'occhio, convinse anche Ottilie, che odiava quei sapori, a mangiarne almeno un poco. Piú tardi, mentre ci avvolgevamo nelle coperte ruvide, ci spiegò che soltanto streghe e stregoni rifiutano di mangiare il cumino, perché si dice che annulli ogni loro potere.
Il fabbro Lambert lanciò una sfida di canzoni al contrario e cominciò a proporre la sua: Sono uscito stamattina che faceva già buio, con la falce per andare a zappare, per la strada son salito su una quercia, e ho mangiato tutte le ciliegie, è arrivato il padrone di quel melo, mi ha detto di pagargli la sua uva.
Altri rilanciarono con filastrocche che raccontavano di lupi che belano, di gusci che trascinano lumache, di pulcini che si trasformano in uova. Ma il premio finale se lo aggiudicò Elias, con la sua voce da orco: Conosco una canzone al contrario, presto al dritto la dovrò cantare, ho spiegato il Vangelo al parroco, che s'ostinava a parlare in latino, gli ho detto il grano lo devi pagare, quel che avanza è di chi non l'ha. Son salito da solo a palazzo, col mio amico siamo andati dal signore, in cinque gli abbiam detto che la terra è nostra, in dieci gliel'abbiamo spiegato, in venti lo abbiamo fatto scappare, in cinquanta ci siam presi il castello, in cento lo abbiamo bruciato, in mille abbiam passato il fiume, in diecimila andiamo alla battaglia finale!
Grazie a quella canzone, che presto diventò un vero e proprio inno, ci conquistammo da subito la simpatia dei contadini di Grünbach. Elias preparava la battaglia finale: veri e propri addestramenti, tutti i giorni al tramonto, insegnando a usare la spada e il coltello, a disarmare l'avversario, ad atterrarlo e a conciarlo per le feste a mani nude. Prima di allora non avevo mai maneggiato nessun tipo di arma, e devo ammettere che i contadini si dimostrarono allievi ben piú abili di me.
E poiché la gente delle campagne non ama le cose astratte, dopo qualche giorno mettemmo alla prova il nostro piccolo esercito. Tuttavia non ci fu molto da combattere; il parroco si diede alla fuga non appena scorse i forconi alti sopra le teste, e non fu difficile requisire il grano dell'ultima decima per ridistribuirlo tra la gente dei villaggi circostanti.
Qualche giorno dopo organizzammo una grande festa a Sneedorf, nel corso della quale venne eletto il nuovo parroco della comunità e per la prima volta dopo molti anni venne concesso dall'autorità religiosa di ballare la danza del Gallo, che era stata fino ad allora proibita, per via di certe piroette molto lascive, che lasciavano scoprire le gambe delle donne. Prima di ubriacarmi come poche volte mi era successo, finché le gambe mi sorressero, accompagnai nelle danze Dana, la giovane figlia della vedova Frenner.
Nei giorni successivi, la notizia di un parroco eletto dai fedeli raggiunse anche le comunità vicine, che inviarono messaggeri a Grünbach per chiederci di intervenire a loro sostegno, ora contro il parroco, ora contro il signore. Senza esitazioni i nostri confratelli lasciavano i loro lavori e accorrevano dove c'era bisogno, fino a quando tre giorni ininterrotti di neve bloccarono ogni possibile spostamento.
Oltre al vento e al gelo un'altra tempesta raggiunse il nostro villaggio. Poco prima dell'alba venimmo svegliati dalle urla dei contadini che erano andati sui campi per controllare gli effetti della gelata.
Quando uscimmo sull'aia, Frida correva impazzita da ogni parte e Dana piangeva inginocchiata nella neve. Pfeiffer bloccò la vedova per capire cosa stesse succedendo, ma nello stato in cui era, la sua parlata si faceva ancor piú incomprensibile. Allora mi avvicinai a Dana e piegandomi su di lei chiesi lentamente: - Cosa sta succedendo, sorella? Dicci qualcosa...
Singhiozzando: - I lanzichenecchi, sono di nuovo qui... Hanno ucciso mio padre, portato via i miei fratelli, a me e a mia madre... - Non riuscí a continuare.
Spuntati dal nulla, chiamati da chissà quale guerra, affamati dal freddo e stanchi, un manipolo di mercenari puntava dritto sul paesello, con la speranza di portar via un po' di cibo, e la minaccia di stupri, incendi e uccisioni se non ne avessero trovato.
Elias fu il primo a cercare una soluzione.
- Se non sbaglio qui in paese siamo trenta uomini e venti donne. Loro sono sicuramente molti di piú. Batterci non possiamo. Propongo di lasciargli le mucche del cavaliere: quattro vacche dovrebbero sfamarli -. Detto questo si allontanò per avvertire gli altri. Io gli andai dietro, mentre Pfeiffer restò con le donne.
I contadini erano abituati a difendere i beni del loro signore a costo della vita, perché in alternativa avrebbero passato anni interi a cedere al padrone quasi tutta la loro parte del raccolto per ripagare il danno da lui subito. Per questo non fu facile convincerli che questa volta, quando il padrone fosse venuto a reclamare i suoi privilegi, gli avremmo risposto come meritava, mentre ora, isolati come eravamo, bisognava pensare soltanto a salvare la pelle.
Accogliemmo i mercenari sulla strada del villaggio, con la neve alle ginocchia e ogni tipo di attrezzo stretto in pugno. Erano almeno un centinaio, ma ci accorgemmo subito che la marcia e il freddo li avevano stremati. Molti di loro non si reggevano sulle gambe a causa dei piedi congelati, altri non erano lontani dall'assideramento. Con loro anche parecchie donne, probabilmente prostitute, in condizioni miserevoli.
- Abbiamo bisogno di cibo, di un fuoco e di qualche erba contro la febbre, - disse il capitano giunto a distanza di voce.
- Li avrete, - fu la risposta del fabbro Lambert.
- Però, - aggiunse Elias, che aveva intuito la situazione, - lascerete liberi tutti gli uomini e le donne che non voghono piú seguirvi.
- Nessuno se ne vuole andare dal mio esercito! - rispose il capitano cercando di essere convincente, ma non aveva finito di dire quelle parole che almeno una trentina, tra uomini e donne, inciampando nella neve, vennero a nascondersi dietro di noi.
Il capitano restò immobile, la mascella serrata. Poi disse di nuovo: - Avanti, allora, mostrateci il cibo, la legna.
Consegnammo ai cuochi quattro mucche piuttosto in carne, che quelli cominciarono a sgozzare e a macellare immediatamente, e il sangue si mescolava alla neve sciolta.
Quella notte Dana, intirizzita dal freddo e dalla paura, venne a trovarmi nel mio letto di paglia, pregandomi di farla restare lí e di proteggerla, perché temeva che i soldati potessero rifarle quello che lei e sua madre avevano dovuto subire due anni prima.
Scivolò sotto di me, prima di emettere un fiato, ordinare un pensiero. Era magra, gomiti spigolosi, lunghe gambe diritte come i seni, piccoli, appuntiti contro di me, che già faticavo a trattenere il respiro piú intenso, proprio sulla sua faccia tutta grandi occhi neri. Si fece piú piccola, viso premuto contro il mio petto, piano una gamba avvolse il bacino.
Nessuno ti farà del male.
Sciolsi dentro di lei, senza irruenza, giorni, mesi di tensioni e desiderio, ansimando a ogni tocco e lieve movimento. I sottili gemiti di Dana non chiedevano parole né promesse: mi incurvai, la bocca cercava il suo seno, prima sfiorai, poi premetti le labbra su un capezzolo. Tenni il suo viso e i capelli, piú corti di quelli di un ragazzo di bottega, tra le mani, dentro di lei, a lungo, per un tempo che non ricordo, fin quando non si addormentò avvinghiata a me.
Se ne andarono tre giorni dopo, abbandonando i resti delle carcasse accanto ai fori nerastri dei fuochi nella neve e quella trentina di disperati senza paga da mesi. I nuovi arrivi si dimostrarono utili: quasi tutta gente di campagna, ma sapeva usare le armi e schierarsi in battaglia.
Il primo venerdí di ogni mese si teneva a Mühlhausen un grande mercato artigianale, al quale accorreva gente dai quattro angoli della Turingia, da Halle e da Fulda, da Allstedt e da Kassel. Secondo Pfeiffer quello era il giorno in cui avremmo dovuto tentare il rientro in città, nascosti dalla gran massa di persone che ne attraversava le porte. Dicembre si avvicinava. Cominciammo a prendere contatti dentro Mühlhausen, tra i minatori del conte di Mansfeld, tra gli abitanti di Salza e Sangerhausen. Il primo venerdí di dicembre la città dei birrai si sarebbe riempita di una folla interessata a ben altro che a qualche cesto di paglia.
Eltersdorf, autunno 1526
Riparo le stie per i polli, in previsione dell'inverno, inchiodo le assi perché le bestie non soffrano troppo il freddo. La sera mi reimmergo nelle memorie.
Ricordo che venne il tempo del Föhn, lo stesso che spira ora su un mondo diverso.
Il Föhn: vento caldo, denso d'umido e secrezioni che spira da meridione, si insinua per la catena alpina e sfocia nei campi e le vallate, risalendo col suo carico d'umori folli e violente passioni, per cui va famoso. Si impadroní di noi e di quell'inverno di febbre e delirio, avvinghiò i nostri corpi in un fremito privo di controllo, prima di scagliarli in una danza di morte che incide ancora tutti quei nomi sulla mia carne. Nomi. Dei luoghi, dei volti. Nomi di morti. Li leggevo nelle Scritture, prima, e saettavano fuori dai fogli racchiusi nei tomi, unendosi indissolubilmente alla gioia degli occhi delle sorelle, assumendo le espressioni luminose dei loro bambini, i profili affilati, ruvidi, di contadini e minatori liberi nello Spirito di Dio.
Jacob, Matthias, Johannes, Elias, Gudrun, Ottilie, Hansi.
Nomi di morti, adesso. Non avrò piú nomi, mai piú. Non legherò la vita al cadavere di un nome. Cosí li avrò tutti. Oggi sono vivo per ricordarli, e posso ascoltare la pioggia battere sul tetto, mentre un altro autunno si consuma sotto l'incalzare del tempo ed Eltersdorf si prepara a ricevere la prossima neve, il gelo dopo quest'ultimo alito caldo.
L'ottobre del '24 finí con un'altra espulsione extra muros. Stavolta si trattava di Norimberga. Da circa una settimana i due addetti della stamperia di Hergott ci avevano consegnato il frutto di notti senza sonno e giornate di lavoro furibondo; i due scritti che il Magister aveva portato con sé da Mühlhausen: cinquecento esemplari della Esplicita messa a nudo, piú altrettanti della Confutazione. Inoltre le modifiche apportate al metodo di composizione dei quarti di pagina, ci avevano fatto ricavare diverse migliaia di fogli separati, di piccole dimensioni, sui quali era riprodotta una versione brevissima del nostro programma, insieme a incitamenti, rivolti soprattutto alle donne, e alla benedizione del Signore che ci avrebbe protetto anche con la spada, se necessario. Avremmo potuto distribuirli liberamente, durante gli spostamenti tra campagne, borghi, contadi. Dopo una discussione non priva di momenti di ilarità, decidemmo di chiamarli flugblatt («foglio volante») proprio per via di quella caratteristica di fogli singoli dalla forma ridotta, che potevano passare agevolmente di mano in mano, adatti alla gente umile, in una lingua semplice che molti avrebbero compreso direttamente o facendosene dare lettura da qualcuno.
Quella settimana era trascorsa tra il via vai di emissari e corrieri che garantivano il primo giro di distribuzione dei testi del Magister in varie regioni: cento copie erano già state spedite ad Augusta. Ma il clima cittadino non era molto rassicurante. Grande scalpore aveva suscitato, ad esempio, l'ennesima impresa di Denck, che il 24 o 25 di ottobre aveva arringato oltre ogni misura gli studenti di San Sebaldo, con aperti inviti a far strage di chi si arrogava il diritto esclusivo d'interpretare la parola di Dio. Discorso al termine del quale, Johannes la volpe, con una tipica improvvisazione, si era autoproclamato rettore della scuola stessa, acclamato dagli studenti entusiasti. Tutto ciò era piaciuto molto poco alle autorità locali, pressate anche dalle notizie incessanti sul dilagare di rivolte nella Selva e in tutte le regioni circostanti, per cui fin dal giorno successivo si era sparsa la voce di un'imminente cacciata di Denck dalle mura cittadine.
E cosí fu. Il 27 ottobre il carico di libri di fratello Höltzel venne fermato alla Porta Spitfler, mentre usciva dalla città per dirigersi a Magonza. Tra i volumi le guardie del Consiglio cittadino, evidentemente già messe in preallarme, trovarono venti copie dell'Esplicita messa a nudo, sequestrarono tutta la partita e scacciarono in malo modo Höltzel, che aveva ricevuto dal Magister il compito di diffondere e ristampare lo scritto. Nell'arco della stessa giornata la voce sull'imminente espulsione di Denck divenne certezza. All'alba del 28 ottobre eravamo già tutti in arresto. Agli sbirri sarebbe occorso ancora un giorno intero per rintracciare il nostro deposito: Hergott era tornato, non aveva esitato a denunciarci e a permettere alle guardie di interrogare a lungo i due apprendisti. L'intera tiratura venne sequestrata. Solo Hut il giorno prima era riuscito a far trasferire a Bibra i fogli volanti, insieme ad alcune copie degli scritti del Magister.
Il Consiglio non voleva guai. Due borgomastri ci fecero visita a tarda sera nella cella e ci comunicarono che la decisione era stata presa: prima dell'alba ci avrebbero condotto fuori città senza dare notizia dell'arresto e dell'espulsione.
Magister Thomas, Ottilie, Pfeiffer, Denck, Hut, Elias e me. Ci ritrovammo di nuovo sulla strada, a contemplare lo spettacolo incredibile dell'alba che spuntava timidamente dietro i pinnacoli di Norimberga, tingendoli di rosa. Questa volta il Magister non sembrava affatto turbato dagli eventi: Hut ci condusse a casa sua, a Bibra, a poche miglia di cammino, un posto sicuro in cui decidere il da farsi.
Lí il Magister ci disse che era necessario separarsi e questo ci inquietò non poco: l'aver condiviso le disavventure degli ultimi mesi ci aveva affiatato molto e sembrava assurdo sciogliere la compagnia.
Ricordo la determinazione nei suoi occhi: - Lo so, ma noi sette dobbiamo fare il lavoro di cento - disse - e se resteremo tutti uniti non ci riusciremo mai. Ci sono compiti che hanno la priorità assoluta e che dobbiamo suddividerci. Il tempo è maturo, gli empi possono essere messi alle strette, mezza Germania è in rivolta, non c'è un attimo da perdere.
Si voltò verso Hut: - Innanzi tutto è necessario assicurarsi che almeno i libri spediti ad Augusta siano giunti a destinazione, e cercare di diffonderli il piú rapidamente possibile...
Hut annuí senza aggiungere nulla. La missione era sua.
Il Magister continuò: - Per quanto riguarda me, è di vitale importanza che raggiunga Basilea. Devo incontrare Ecolampadio e verificare se davvero la situazione è cosí fervida come mi hanno scritto i fratelli di laggiú. Se la piú importante città della Confederazione Elvetica passasse dalla nostra parte i principi avrebbero vita dura... - il suo sguardo cadde su Denck. - Credo che tu Johannes dovresti venire con me. Hai già operato in una grande città e il tuo consiglio sarebbe di grande aiuto.
- E noi altri? - Pfeiffer sembrò preoccupato. - Dove ci andremo a ficcare?
Magister Thomas raccolse un pesante sacco di iuta e lo aprí sul tavolo, quanto bastò per rovesciare parte del contenuto davanti ai nostri occhi. I fogli volanti scivolarono sulle assi come se una mano invisibile li muovesse.
- Ecco i semi. Le campagne saranno il vostro campo.
Il mio sguardo disorientato incontrò quelli di Pfeiffer e di Elias.
Ottilie raccolse alcuni fogli: - Certo, i contadini... i contadini, - guardò me. - Devono poter sapere, bisogna fargli sapere che i loro fratelli in tutta la Germania si stanno sollevando. E per chi non sa leggere, leggeremo noi... - Poi, rivolta a Pfeiffer: - Un esercito, Heinrich, un'armata di contadini che liberi palmo a palmo questa terra dall'empietà... - cerca l'approvazione del Magister. - Marceremo coi contadini su Mühlhausen, là c'è ancora molta gente che vuole spezzare il giogo dei tiranni e dei falsi profeti!
Sentii il calore del coraggio che mi gonfiava il cuore e i muscoli, gli occhi e le parole di quella donna accesero un fuoco che pensai niente e nessuno avrebbe mai piú potuto estinguere.
Indicandoci, Magister Thomas si rivolse a lei con un sorriso e disse: - Moglie, affido a te questi tre uomini. Fa che li ritrovi sani e salvi al mio ritorno. Dovrete essere prudenti, gli sgherri dei principi sono sguinzagliati per il contado, non fermatevi mai, non dormite mai due notti consecutive nello stesso posto, non fidatevi di nessuno il cui cuore non sia per voi come un libro aperto. E confidate in Dio, ogni momento. Sua è la luce che illumina il nostro cammino. Badate di non perderla mai. Confido che in capo al nuovo anno ci ritroveremo tutti alla chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen. Buona fortuna, e che il Signore sia con ognuno di voi.
Ricordo che venne il tempo del Föhn, lo stesso che spira ora su un mondo diverso.
Il Föhn: vento caldo, denso d'umido e secrezioni che spira da meridione, si insinua per la catena alpina e sfocia nei campi e le vallate, risalendo col suo carico d'umori folli e violente passioni, per cui va famoso. Si impadroní di noi e di quell'inverno di febbre e delirio, avvinghiò i nostri corpi in un fremito privo di controllo, prima di scagliarli in una danza di morte che incide ancora tutti quei nomi sulla mia carne. Nomi. Dei luoghi, dei volti. Nomi di morti. Li leggevo nelle Scritture, prima, e saettavano fuori dai fogli racchiusi nei tomi, unendosi indissolubilmente alla gioia degli occhi delle sorelle, assumendo le espressioni luminose dei loro bambini, i profili affilati, ruvidi, di contadini e minatori liberi nello Spirito di Dio.
Jacob, Matthias, Johannes, Elias, Gudrun, Ottilie, Hansi.
Nomi di morti, adesso. Non avrò piú nomi, mai piú. Non legherò la vita al cadavere di un nome. Cosí li avrò tutti. Oggi sono vivo per ricordarli, e posso ascoltare la pioggia battere sul tetto, mentre un altro autunno si consuma sotto l'incalzare del tempo ed Eltersdorf si prepara a ricevere la prossima neve, il gelo dopo quest'ultimo alito caldo.
L'ottobre del '24 finí con un'altra espulsione extra muros. Stavolta si trattava di Norimberga. Da circa una settimana i due addetti della stamperia di Hergott ci avevano consegnato il frutto di notti senza sonno e giornate di lavoro furibondo; i due scritti che il Magister aveva portato con sé da Mühlhausen: cinquecento esemplari della Esplicita messa a nudo, piú altrettanti della Confutazione. Inoltre le modifiche apportate al metodo di composizione dei quarti di pagina, ci avevano fatto ricavare diverse migliaia di fogli separati, di piccole dimensioni, sui quali era riprodotta una versione brevissima del nostro programma, insieme a incitamenti, rivolti soprattutto alle donne, e alla benedizione del Signore che ci avrebbe protetto anche con la spada, se necessario. Avremmo potuto distribuirli liberamente, durante gli spostamenti tra campagne, borghi, contadi. Dopo una discussione non priva di momenti di ilarità, decidemmo di chiamarli flugblatt («foglio volante») proprio per via di quella caratteristica di fogli singoli dalla forma ridotta, che potevano passare agevolmente di mano in mano, adatti alla gente umile, in una lingua semplice che molti avrebbero compreso direttamente o facendosene dare lettura da qualcuno.
Quella settimana era trascorsa tra il via vai di emissari e corrieri che garantivano il primo giro di distribuzione dei testi del Magister in varie regioni: cento copie erano già state spedite ad Augusta. Ma il clima cittadino non era molto rassicurante. Grande scalpore aveva suscitato, ad esempio, l'ennesima impresa di Denck, che il 24 o 25 di ottobre aveva arringato oltre ogni misura gli studenti di San Sebaldo, con aperti inviti a far strage di chi si arrogava il diritto esclusivo d'interpretare la parola di Dio. Discorso al termine del quale, Johannes la volpe, con una tipica improvvisazione, si era autoproclamato rettore della scuola stessa, acclamato dagli studenti entusiasti. Tutto ciò era piaciuto molto poco alle autorità locali, pressate anche dalle notizie incessanti sul dilagare di rivolte nella Selva e in tutte le regioni circostanti, per cui fin dal giorno successivo si era sparsa la voce di un'imminente cacciata di Denck dalle mura cittadine.
E cosí fu. Il 27 ottobre il carico di libri di fratello Höltzel venne fermato alla Porta Spitfler, mentre usciva dalla città per dirigersi a Magonza. Tra i volumi le guardie del Consiglio cittadino, evidentemente già messe in preallarme, trovarono venti copie dell'Esplicita messa a nudo, sequestrarono tutta la partita e scacciarono in malo modo Höltzel, che aveva ricevuto dal Magister il compito di diffondere e ristampare lo scritto. Nell'arco della stessa giornata la voce sull'imminente espulsione di Denck divenne certezza. All'alba del 28 ottobre eravamo già tutti in arresto. Agli sbirri sarebbe occorso ancora un giorno intero per rintracciare il nostro deposito: Hergott era tornato, non aveva esitato a denunciarci e a permettere alle guardie di interrogare a lungo i due apprendisti. L'intera tiratura venne sequestrata. Solo Hut il giorno prima era riuscito a far trasferire a Bibra i fogli volanti, insieme ad alcune copie degli scritti del Magister.
Il Consiglio non voleva guai. Due borgomastri ci fecero visita a tarda sera nella cella e ci comunicarono che la decisione era stata presa: prima dell'alba ci avrebbero condotto fuori città senza dare notizia dell'arresto e dell'espulsione.
Magister Thomas, Ottilie, Pfeiffer, Denck, Hut, Elias e me. Ci ritrovammo di nuovo sulla strada, a contemplare lo spettacolo incredibile dell'alba che spuntava timidamente dietro i pinnacoli di Norimberga, tingendoli di rosa. Questa volta il Magister non sembrava affatto turbato dagli eventi: Hut ci condusse a casa sua, a Bibra, a poche miglia di cammino, un posto sicuro in cui decidere il da farsi.
Lí il Magister ci disse che era necessario separarsi e questo ci inquietò non poco: l'aver condiviso le disavventure degli ultimi mesi ci aveva affiatato molto e sembrava assurdo sciogliere la compagnia.
Ricordo la determinazione nei suoi occhi: - Lo so, ma noi sette dobbiamo fare il lavoro di cento - disse - e se resteremo tutti uniti non ci riusciremo mai. Ci sono compiti che hanno la priorità assoluta e che dobbiamo suddividerci. Il tempo è maturo, gli empi possono essere messi alle strette, mezza Germania è in rivolta, non c'è un attimo da perdere.
Si voltò verso Hut: - Innanzi tutto è necessario assicurarsi che almeno i libri spediti ad Augusta siano giunti a destinazione, e cercare di diffonderli il piú rapidamente possibile...
Hut annuí senza aggiungere nulla. La missione era sua.
Il Magister continuò: - Per quanto riguarda me, è di vitale importanza che raggiunga Basilea. Devo incontrare Ecolampadio e verificare se davvero la situazione è cosí fervida come mi hanno scritto i fratelli di laggiú. Se la piú importante città della Confederazione Elvetica passasse dalla nostra parte i principi avrebbero vita dura... - il suo sguardo cadde su Denck. - Credo che tu Johannes dovresti venire con me. Hai già operato in una grande città e il tuo consiglio sarebbe di grande aiuto.
- E noi altri? - Pfeiffer sembrò preoccupato. - Dove ci andremo a ficcare?
Magister Thomas raccolse un pesante sacco di iuta e lo aprí sul tavolo, quanto bastò per rovesciare parte del contenuto davanti ai nostri occhi. I fogli volanti scivolarono sulle assi come se una mano invisibile li muovesse.
- Ecco i semi. Le campagne saranno il vostro campo.
Il mio sguardo disorientato incontrò quelli di Pfeiffer e di Elias.
Ottilie raccolse alcuni fogli: - Certo, i contadini... i contadini, - guardò me. - Devono poter sapere, bisogna fargli sapere che i loro fratelli in tutta la Germania si stanno sollevando. E per chi non sa leggere, leggeremo noi... - Poi, rivolta a Pfeiffer: - Un esercito, Heinrich, un'armata di contadini che liberi palmo a palmo questa terra dall'empietà... - cerca l'approvazione del Magister. - Marceremo coi contadini su Mühlhausen, là c'è ancora molta gente che vuole spezzare il giogo dei tiranni e dei falsi profeti!
Sentii il calore del coraggio che mi gonfiava il cuore e i muscoli, gli occhi e le parole di quella donna accesero un fuoco che pensai niente e nessuno avrebbe mai piú potuto estinguere.
Indicandoci, Magister Thomas si rivolse a lei con un sorriso e disse: - Moglie, affido a te questi tre uomini. Fa che li ritrovi sani e salvi al mio ritorno. Dovrete essere prudenti, gli sgherri dei principi sono sguinzagliati per il contado, non fermatevi mai, non dormite mai due notti consecutive nello stesso posto, non fidatevi di nessuno il cui cuore non sia per voi come un libro aperto. E confidate in Dio, ogni momento. Sua è la luce che illumina il nostro cammino. Badate di non perderla mai. Confido che in capo al nuovo anno ci ritroveremo tutti alla chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen. Buona fortuna, e che il Signore sia con ognuno di voi.
Norimberga, Franconia, 10 ottobre 1524
Articolo quarto: [...] Perciò noi avanziamo questa richiesta: se uno ha un ruscello e, con sufficiente documentazione, può dimostrarne la proprietà, avendo comprato il corso d'acqua in buona fede, allora non vogliamo espropriarlo con la violenza, ma addivenire a un accordo fraterno con lui. Chi però non può dimostrare adeguatamente tutto questo, deve restituirlo alla comunità, come è giusto.
Articolo quinto: [...] che una comunità abbia la libertà di permettere che ognuno possa raccogliere e portarsi a casa, senza pagare, la legna che gli è necessaria per il fuoco e anche quella che gli serve per costruire [...]
Articolo sesto: Siamo enormemente gravati dal servigio che dobbiamo prestare al signore e che viene continuamente aumentato [...] Facciamo richiesta che venga ammesso, come è giusto, di non gravarci piú in questo modo, ma di permetterci [...] di prestare il servigio allo stesso modo dei nostri genitori e soltanto secondo la parola di Dio.
Entriamo a Norimberga dalla porta piú a nord. Sulla sinistra, le torri imponenti della Fortezza imperiale ci ricordano quello che già sappiamo: questa città è una delle piú grandi, piú belle e piú ricche di tutta Europa. Davanti a noi si arrampicano fino al cielo le sagome slanciate dei campanili di San Sebaldo, e ai due lati della strada pittori e scultori seguono il lavoro nelle loro botteghe. Ottilie giura che la casa del grande Albrecht Dürer è a pochi passi da qui. Quella di Johannes Denck, con il quale dovremmo incontrarci già questa mattina, è invece dalle parti della Königstrasse, all'angolo sud del rombo che delimita il cuore della città.
Passiamo dalla Piazza del Mercato, inebriata dall'odore di incensi, profumi e spezie delle Indie, i colori delle sete cinesi che fluttuano al sole, i sette Elettori che si inchinano all'Imperatore proprio sopra le nostre teste, sull'orologio della Chiesa di Nostra Signora.
Hans Hut, il libraio, da quando siamo entrati in città, si attarda con il Magister subito dietro di noi, a passo volutamente piú lento. Motivo: sostiene che a Norimberga, da qualunque porta entri, chiunque segua istintivamente il fluire della folla si troverà presto o tardi adagiato da una corrente invisibile sulla Piazza di San Lorenzo. Cosí, per non influenzare il risultato dell'esperimento, si mantiene a distanza, dato che queste strade non hanno per lui alcun segreto. Nonostante questa precauzione, la dimostrazione viene ugualmente falsata, poiché le torri di San Lorenzo appaiono in tutta la loro imponenza non appena attraversiamo il ponte sul fiume che taglia la città.
***
C'è un via vai frenetico nella stamperia. Giornata di incontri importanti: un ribollire di contatti, dialoghi, progetti che preannunciano nuove settimane di terremoto e rivolgimenti. I contadini sono scatenati: non passa giorno senza che arrivino notizie di saccheggi, insurrezioni, banali risse che si trasformano in tumulti, di regione in regione. La rete di contatti che il Magister va coltivando con ossessiva precisione da anni, è estesa e ramificata e non cessa mai di allargarsi e fornire notizie. In piú c'è la stampa, appunto; questa tecnica stupefacente, che come un incendio d'estate secca e ventosa, si sviluppa giorno dopo giorno, ci dà idee in quantità per inviare lontano e piú velocemente i messaggi e gli incitamenti che raggiungono i fratelli, spuntati come funghi in ogni anfratto del paese.
I due apprendisti sono furiosamente al lavoro, nella grande stamperia di messer Hergott in Norimberga. Le mani trasformano l'inchiostro sulla semplice carta in caratteri di piombo che moltiplicano le parole. Rapide occhiate e dita agili che ricompongono gli scritti del Magister: proiettili che verranno scagliati in tutte le direzioni dal piú potente dei cannoni. Il torchio, nell'angolo, sembra dormire in attesa di imprimere il suggello finale.
Non è stato difficile convincerli. Hergott è fuori città per una settimana e la presenza contemporanea di Hut, Pfeiffer, Denck e Magister Thomas avrebbe convinto chiunque: il turbinio dei discorsi, la passione e la fede di questi uomini, persuaderebbero i morti a tornare al lavoro.
Sorrido trasognato, comunque attento al dialogo che si svolge (attorno al tavolo, sul retro della stamperia. Discutono fitti. Hans Hut è di queste parti, dimora a Bibra, poche miglia da qui, eccellente diffusore di stampe già da qualche anno. Stampò le prime parti del Vangelo tradotto da Lutero, e ciò gli valse molto credito, che però non riscosse ai banchi dei principi. Data l'ingente mole di lavoro sta cercando di aprire una stamperia propria, a Bibra: iniziativa importante, che forse vedrà la luce in queste settimane. In ogni caso, conosce tutte le tecniche correnti di stampa e il suo parere è imprescindibile.
Johannes Denck dimostra i miei anni, scaltro come una faina, anch'egli di queste parti, ben conosciuto dalle autorità locali, ma già da parecchio tempo in giro per contrade e paesi fino alle regioni del Mare del Nord. Provocatore, agitatore di mestiere, bisogna averlo amico per evitare che il suo spirito libero ti si rivolti contro. Un'intelligenza brillante mostra anche per le Scritture: la città è in subbuglio per una sua orazione dove elencava quaranta paradossi riscontrati nei Vangeli. Dice che per il fedele «non c'è altra guida» nella lettura «che il mondo interiore di Dio, che proviene dallo Spirito Santo». Il Magister ne apprezza l'acume, la scaltrezza e il bagaglio di notizie che ha riportato dai suoi viaggi. Il testo che ha scritto a Mühlhausen e che abbiamo portato qui parla anche di queste cose.
- Quell'ammasso di carne flaccida che risiede a Wittenberg, fra' Soppiattone, vuole tenere la Scrittura ben lontana dagli occhi dei contadini. Ha paura di essere sbalzato dal trono su cui poggia il culo! I contadini dovrebbero tenere la testa bassa sull'aratro mentre lui fa il nuovo Papa! Quest'infamia non deve durare oltre, va smascherato! La parola del Signore deve essere accessibile a tutti, soprattutto gli umili devono poterla incontrare direttamente e meditarla in coscienza, senza per forza passare dalla bocca bavosa degli scribi.
È il Magister che parla. Denck annuisce e interviene: - Questo è senz'altro vero. Ma bisogna fare i conti anche con altri problemi. I contadini non sono tutto. Ci sono anche le città: avete visto a Mühlhausen. Come ti dicevo, ho trascorso mesi incredibili in questo porto del Mare del Nord, Anversa. Lí i mercanti sono ricchi e forti, il traffico delle navi aumenta di ora in ora e la città ribolle di animi inquieti. C'è un fratello lí, un copritetti d'ardesia, per molti rozzo e ignorante, che predica e incita alla ribellione degli spiriti liberi contro gli empi. Vedessi chi riesce a tirarsi dietro: pellicciai, armatori, mercanti di pietre con le loro famiglie illustri, assieme a birrai, carpentieri e vagabondi. C'è la grana insomma, e la grana serve a sostenere tutte le cause. I fottuti borghigiani delle nostre città sono bigotti e inclini a barattare piccoli vantaggi con la sottomissione dei contadini e la conservazione dei principi. Sono i loro culi che vanno presi a calci!
- Se riusciamo a impadronirci delle loro botteghe per stampare i nostri scritti non c'è poi cosí bisogno di grana! - se la ride Hut.
- Ma sta' zitto, che sono mesi che fai progetti per la tua nuova stamperia e intanto ci costringi a fare i saltimbanchi! - lo sfotte Pfeiffer.
- No, no, stavolta si fa! In meno d'un mese sarà pronta. Mi hanno assicurato che il torchio è già in viaggio e se non ci fosse tanta confusione in giro sarebbe già pronta da settimane.
Denck gli dà di gomito: - Eh già che a te cuor di leone la confusione non piace...
Scoppiamo a ridere.
Nel frattempo gli apprendisti di Hergott non hanno mai alzato la testa dal tavolo di composizione: ne avranno ancora per un pezzo. Da un po' di tempo osservo una cesta ricolma di strisce di carta di varie dimensioni. La indico a Hut: - A cosa serve?
- A niente. Sono gli scarti: questo torchio imprime quattro pagine su ogni foglio grande. Quando le tagli ne rimane sempre d'avanzo.
- Si possono stringere i caratteri e ottenere un margine d'avanzo piú grande?
- Sí, ma perché? Non ti basta tutta questa carta sprecata?
- Forse è una sciocchezza, ma pensavo che oltre allo scritto del Magister, da ogni imprimatur si potrebbero ottenere dei fogli sfusi, dove esprimere in poche righe efficaci il nostro messaggio, cosí da portarceli dietro agevolmente, e poterli distribuire a mano nelle campagne, in giro. Potremmo farli circolare attraverso i fratelli sparsi ovunque, potremmo raggiungere tutti, non so, è un'idea...
Silenzio. Pfeiffer dà una manata sul tavolo: - Potremmo stamparne centinaia! Migliaia!
Gli occhi del Magister lampeggiano come quando si accinge a uno dei suoi sermoni, il suo sorriso mi fa avvampare.
- Sei diventato grande, ragazzo: dovrai solo imparare a sostenerle con piú forza le tue idee.
Hut afferra una striscia di carta dal cesto, prende penna e calamaio e inizia a far di conto. Borbotta tra sé: - Può funzionare, può funzionare...
Quasi si ribalta dalla sedia per girarsi e gridare agli stampatori: - Fermi voi due! Fermate tutto!
Articolo quinto: [...] che una comunità abbia la libertà di permettere che ognuno possa raccogliere e portarsi a casa, senza pagare, la legna che gli è necessaria per il fuoco e anche quella che gli serve per costruire [...]
Articolo sesto: Siamo enormemente gravati dal servigio che dobbiamo prestare al signore e che viene continuamente aumentato [...] Facciamo richiesta che venga ammesso, come è giusto, di non gravarci piú in questo modo, ma di permetterci [...] di prestare il servigio allo stesso modo dei nostri genitori e soltanto secondo la parola di Dio.
Entriamo a Norimberga dalla porta piú a nord. Sulla sinistra, le torri imponenti della Fortezza imperiale ci ricordano quello che già sappiamo: questa città è una delle piú grandi, piú belle e piú ricche di tutta Europa. Davanti a noi si arrampicano fino al cielo le sagome slanciate dei campanili di San Sebaldo, e ai due lati della strada pittori e scultori seguono il lavoro nelle loro botteghe. Ottilie giura che la casa del grande Albrecht Dürer è a pochi passi da qui. Quella di Johannes Denck, con il quale dovremmo incontrarci già questa mattina, è invece dalle parti della Königstrasse, all'angolo sud del rombo che delimita il cuore della città.
Passiamo dalla Piazza del Mercato, inebriata dall'odore di incensi, profumi e spezie delle Indie, i colori delle sete cinesi che fluttuano al sole, i sette Elettori che si inchinano all'Imperatore proprio sopra le nostre teste, sull'orologio della Chiesa di Nostra Signora.
Hans Hut, il libraio, da quando siamo entrati in città, si attarda con il Magister subito dietro di noi, a passo volutamente piú lento. Motivo: sostiene che a Norimberga, da qualunque porta entri, chiunque segua istintivamente il fluire della folla si troverà presto o tardi adagiato da una corrente invisibile sulla Piazza di San Lorenzo. Cosí, per non influenzare il risultato dell'esperimento, si mantiene a distanza, dato che queste strade non hanno per lui alcun segreto. Nonostante questa precauzione, la dimostrazione viene ugualmente falsata, poiché le torri di San Lorenzo appaiono in tutta la loro imponenza non appena attraversiamo il ponte sul fiume che taglia la città.
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C'è un via vai frenetico nella stamperia. Giornata di incontri importanti: un ribollire di contatti, dialoghi, progetti che preannunciano nuove settimane di terremoto e rivolgimenti. I contadini sono scatenati: non passa giorno senza che arrivino notizie di saccheggi, insurrezioni, banali risse che si trasformano in tumulti, di regione in regione. La rete di contatti che il Magister va coltivando con ossessiva precisione da anni, è estesa e ramificata e non cessa mai di allargarsi e fornire notizie. In piú c'è la stampa, appunto; questa tecnica stupefacente, che come un incendio d'estate secca e ventosa, si sviluppa giorno dopo giorno, ci dà idee in quantità per inviare lontano e piú velocemente i messaggi e gli incitamenti che raggiungono i fratelli, spuntati come funghi in ogni anfratto del paese.
I due apprendisti sono furiosamente al lavoro, nella grande stamperia di messer Hergott in Norimberga. Le mani trasformano l'inchiostro sulla semplice carta in caratteri di piombo che moltiplicano le parole. Rapide occhiate e dita agili che ricompongono gli scritti del Magister: proiettili che verranno scagliati in tutte le direzioni dal piú potente dei cannoni. Il torchio, nell'angolo, sembra dormire in attesa di imprimere il suggello finale.
Non è stato difficile convincerli. Hergott è fuori città per una settimana e la presenza contemporanea di Hut, Pfeiffer, Denck e Magister Thomas avrebbe convinto chiunque: il turbinio dei discorsi, la passione e la fede di questi uomini, persuaderebbero i morti a tornare al lavoro.
Sorrido trasognato, comunque attento al dialogo che si svolge (attorno al tavolo, sul retro della stamperia. Discutono fitti. Hans Hut è di queste parti, dimora a Bibra, poche miglia da qui, eccellente diffusore di stampe già da qualche anno. Stampò le prime parti del Vangelo tradotto da Lutero, e ciò gli valse molto credito, che però non riscosse ai banchi dei principi. Data l'ingente mole di lavoro sta cercando di aprire una stamperia propria, a Bibra: iniziativa importante, che forse vedrà la luce in queste settimane. In ogni caso, conosce tutte le tecniche correnti di stampa e il suo parere è imprescindibile.
Johannes Denck dimostra i miei anni, scaltro come una faina, anch'egli di queste parti, ben conosciuto dalle autorità locali, ma già da parecchio tempo in giro per contrade e paesi fino alle regioni del Mare del Nord. Provocatore, agitatore di mestiere, bisogna averlo amico per evitare che il suo spirito libero ti si rivolti contro. Un'intelligenza brillante mostra anche per le Scritture: la città è in subbuglio per una sua orazione dove elencava quaranta paradossi riscontrati nei Vangeli. Dice che per il fedele «non c'è altra guida» nella lettura «che il mondo interiore di Dio, che proviene dallo Spirito Santo». Il Magister ne apprezza l'acume, la scaltrezza e il bagaglio di notizie che ha riportato dai suoi viaggi. Il testo che ha scritto a Mühlhausen e che abbiamo portato qui parla anche di queste cose.
- Quell'ammasso di carne flaccida che risiede a Wittenberg, fra' Soppiattone, vuole tenere la Scrittura ben lontana dagli occhi dei contadini. Ha paura di essere sbalzato dal trono su cui poggia il culo! I contadini dovrebbero tenere la testa bassa sull'aratro mentre lui fa il nuovo Papa! Quest'infamia non deve durare oltre, va smascherato! La parola del Signore deve essere accessibile a tutti, soprattutto gli umili devono poterla incontrare direttamente e meditarla in coscienza, senza per forza passare dalla bocca bavosa degli scribi.
È il Magister che parla. Denck annuisce e interviene: - Questo è senz'altro vero. Ma bisogna fare i conti anche con altri problemi. I contadini non sono tutto. Ci sono anche le città: avete visto a Mühlhausen. Come ti dicevo, ho trascorso mesi incredibili in questo porto del Mare del Nord, Anversa. Lí i mercanti sono ricchi e forti, il traffico delle navi aumenta di ora in ora e la città ribolle di animi inquieti. C'è un fratello lí, un copritetti d'ardesia, per molti rozzo e ignorante, che predica e incita alla ribellione degli spiriti liberi contro gli empi. Vedessi chi riesce a tirarsi dietro: pellicciai, armatori, mercanti di pietre con le loro famiglie illustri, assieme a birrai, carpentieri e vagabondi. C'è la grana insomma, e la grana serve a sostenere tutte le cause. I fottuti borghigiani delle nostre città sono bigotti e inclini a barattare piccoli vantaggi con la sottomissione dei contadini e la conservazione dei principi. Sono i loro culi che vanno presi a calci!
- Se riusciamo a impadronirci delle loro botteghe per stampare i nostri scritti non c'è poi cosí bisogno di grana! - se la ride Hut.
- Ma sta' zitto, che sono mesi che fai progetti per la tua nuova stamperia e intanto ci costringi a fare i saltimbanchi! - lo sfotte Pfeiffer.
- No, no, stavolta si fa! In meno d'un mese sarà pronta. Mi hanno assicurato che il torchio è già in viaggio e se non ci fosse tanta confusione in giro sarebbe già pronta da settimane.
Denck gli dà di gomito: - Eh già che a te cuor di leone la confusione non piace...
Scoppiamo a ridere.
Nel frattempo gli apprendisti di Hergott non hanno mai alzato la testa dal tavolo di composizione: ne avranno ancora per un pezzo. Da un po' di tempo osservo una cesta ricolma di strisce di carta di varie dimensioni. La indico a Hut: - A cosa serve?
- A niente. Sono gli scarti: questo torchio imprime quattro pagine su ogni foglio grande. Quando le tagli ne rimane sempre d'avanzo.
- Si possono stringere i caratteri e ottenere un margine d'avanzo piú grande?
- Sí, ma perché? Non ti basta tutta questa carta sprecata?
- Forse è una sciocchezza, ma pensavo che oltre allo scritto del Magister, da ogni imprimatur si potrebbero ottenere dei fogli sfusi, dove esprimere in poche righe efficaci il nostro messaggio, cosí da portarceli dietro agevolmente, e poterli distribuire a mano nelle campagne, in giro. Potremmo farli circolare attraverso i fratelli sparsi ovunque, potremmo raggiungere tutti, non so, è un'idea...
Silenzio. Pfeiffer dà una manata sul tavolo: - Potremmo stamparne centinaia! Migliaia!
Gli occhi del Magister lampeggiano come quando si accinge a uno dei suoi sermoni, il suo sorriso mi fa avvampare.
- Sei diventato grande, ragazzo: dovrai solo imparare a sostenerle con piú forza le tue idee.
Hut afferra una striscia di carta dal cesto, prende penna e calamaio e inizia a far di conto. Borbotta tra sé: - Può funzionare, può funzionare...
Quasi si ribalta dalla sedia per girarsi e gridare agli stampatori: - Fermi voi due! Fermate tutto!
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